Fogli al vento

Pasqua con chi vuoi

Ma soprattutto dove vuoi, basta andare: so di toccare un tasto delicato perché una maggioranza di amici e parenti miei hanno spiccato il volo come colombe pasquali
Michele Fazioli
Michele Fazioli
17.04.2023 06:00

«Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi». Ma soprattutto dove vuoi, basta andare. So di toccare un tasto delicato perché una maggioranza di amici e parenti miei hanno spiccato il volo come colombe pasquali. Chi al mare primaverile di Liguria, Toscana, Sardegna, chi volando nelle capitali glamour d’Europa, chi solcando gli oceani verso mari del sud e Americhe partecipando, magari da ecologisti dentro ma poco fuori, all’incendio di milioni di ettolitri di cherosene. E quindi non voglio criticare o offendere nessuno, tantomeno le persone care. Ma sono incuriosito dal fenomeno e cerco di capirlo. Il mio è solo un ragionamento libero, con tutto il rispetto per chi ha alzato le vele nei giorni pasquali. Poi lo ammetto: io ho fatto Pasqua qui, con calma e riposo, ho seguito un poco i riti pasquali, ho respirato l’odore di erba nuova suscitato dalla pioggia finalmente giunta (poca) e il vento d’aprile che porta cari ricordi e pollini infìdi.

Una scelta come un’altra, ecco. Durante la quale ho avuto modo di udire i bollettini di guerra sul traffico congestionato e sugli assalti turistici e di riflettere sulle odierne migrazioni pasquali andata e ritorno. È davvero singolare questa molla quasi inconscia, scattata dal profondo delle persone, verso il balzo pasquale: c’è persino chi non teme il tappo di due o tre ore di coda al San Gottardo (e altrettante al ritorno) pur di partecipare al grande esodo. Quando ero ragazzo, l’esodo pasquale era quello della memoria biblica della fuga degli israeliti dall’Egitto (Pasqua vuol dire in ebraico «passaggio» e il Cristianesimo vi ha innestato la memoria del passaggio dalla morte alla resurrezione). Adesso l’esodo pasquale è quello rapido dei nordici verso le terre meridionali con le masse in movimento a creare ingorghi affollatissimi: sembra quasi la celebrazione memoriale delle calate barbariche. La corsa all’esodo pasquale viene favorita anche dal fatto che a nord i giorni di festa sono quattro e con poco congedo si ottiene una vacanza lunga, tanto più che sempre meno la dimensione religiosa della Pasqua interessa la maggioranza della gente: due uova colorate, un coniglio di cioccolata e via.

Ma voglio andare oltre. C’è in generale come un’ansia di partire, una frenesia che viene dal di dentro, da una sorta di irrequietudine. Comprendo i giovani, che hanno ardimento, curiosità, energia nelle vene e desiderio di altro e di nuovo, capisco meno le orde di terza età che si sobbarcano code, disagi, check-in ansiosi e talvolta lasagne dubbiose e cappuccini cari come l’oro.

Certo, si sta bene a casa propria (e come no?): eppure prendere il largo fa parte dell’umana vocazione e dell’umana tentazione. Esiste una tensione continua fra il desiderio di quiete nel proprio cerchio noto e il prurito di mente e di cuore che ti porta a correre verso la vertigine dell’oltre, del viaggio, della mutazione di cieli sopra la testa e di terre sotto i piedi.

Un guaio aggiunto però viene dagli affollamenti indotti da questi esodi concentrati in certi periodi, come Pasqua. Le belle mete turistiche diventano irrespirabili, nelle celebri piazzette di Portofino, Capri e Cinque Terre o a Venezia o nel duomo e nel campanile di Giotto a Firenze hanno introdotto il numero chiuso e applicato i turni: i turisti entrano a ondate senza realmente vedere, giusto per scattare foto e selfie che dimostreranno agli altri e anche a loro stessi di esserci stati.

Anche da noi: siamo sicuri che il «pienone» agognato da albergatori ed esercenti sia sempre la soluzione migliore per una politica turistica di lungo respiro? Sicuri che non si possa selezionare in base a offerte di qualità diversificate rispetto alla dittatura dei tassi di pernottamenti, che paga oggi ma forse ripagherà meno domani?

Vogliamo i vantaggi del sostantivo «turismo» ma detestiamo l’aggettivo «turistico». Le masse vanno in vacanza ma nessuno ama le vacanze di massa. Diventiamo almeno una volta all’anno tutti dei turisti ma disprezziamo gli itinerari turistici, i ristoranti turistici, le folle di turisti. Turisti sono sempre gli altri, mai noi.

Da qui la contraddizione: come ammettere il diritto di milioni di persone a migrare a Pasqua e ormai in quasi tutte le stagioni e al tempo stesso garantire isolamenti deliziosi, spiagge rarefatte, litorali puliti, piazze non calpestate? Si potrebbe cominciare con un po’ di immaginazione: scombinare date, tracciati, luoghi. E sobrietà. E stare un po’ anche a casa, che costa meno e talvolta si gode di più.