La posta di carlo silini

Per chi batte il cuore di un prete in pensione

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© Crello
Carlo Silini
10.08.2021 06:00

Per tutti, nella vita, arriva il momento di deporre i «ferri» del lavoro. Un momento non facile, pieno di commozione. E di rinunce, di resa, di impossibilità di continuare ad essere attivi come si vorrebbe. Capita anche ai preti quando l’età fa sentire il suo peso. E prossimamente anche a don Domenico Galli, parroco a Coldrerio, mio comune di origine. A don Domenico ho dedicato un capitolo nel mio libro «La filigrana dei giorni» (Ritter Edizioni, Lugano) prendendo a prestito i suoi pensieri pubblicati su un bollettino parrocchiale di dieci anni fa. Quasi un testamento spirituale che resiste nel tempo. Attuale. Vademecum per giovani e genitori. Vi si legge tutta la preoccupazione di un sacerdote confrontato con gli anni che passano e la società che muta di valori e tradizioni. A quasi novant’anni don Domenico trascorrerà il suo tempo come cappellano in una struttura per anziani. Rivivrà la sua vita di ministro di Dio in una nuova dimensione, forte della sua fede e dell’esperienza conquistata anno dopo anno. I ricordi saranno la sua forza, la certezza di aver operato per far conoscere il Vangelo e la Parola di Dio. Penso che un prete non andrà mai in pensione. Avrà sempre nel cuore lo stimolo di fare del bene, di avere dei fedeli da aiutare e consolare, di seguire i giovani che rappresentano il futuro. Come vive un prete questi anni della sua vita?

Giacomo Realini, Caslano

La risposta

Caro Giacomo Realini, credo che per un prete – per chiunque, in realtà – la pensione sia un dono prezioso. È anzitutto una questione di giustizia: anche il sole ha il diritto di tramontare. Fuor di metafora, checché ne dicano i guru dell’antiaging tanto in voga e i predicatori dell’eterna gioventù (secondo i quali l’anzianità sarebbe solo una faccenda mentale), l’anagrafe non è un’opinione, ma un fatto. E l’usura del tempo, in parrocchia così come in officina o in ufficio, merita rispetto. E riposo. Non siamo macchine, non è giusto «buttarci via» alla fine del ciclo produttivo: la pensione è un’invenzione stupenda, consente di gustare l’autunno e i suoi frutti meritati e deliziosi. È la prova che non si vive solo per correre e per dare, ma anche per fermarsi e ricevere. Perché tutto questo dovrebbe essere negato a un prete? Forse perché il sacerdozio è un sacramento e non un mestiere? Non so come vivano in generale i preti questa fase della loro vita, ma ne conosco molti già in pensione che continuano a dire messa e di tanto in tanto, con calma e se se la sentono, danno una mano ai confratelli, confessano o danno assistenza spirituale (sarà il caso di don Domenico) senza lo stress e l’agenda fitta dei tempi in cui dirigevano una parrocchia. Questo non significa che non si godano la pensione. Meglio non confondere le cose: il sacerdozio è uno stato esistenziale. Uno resta prete anche quando smette di avere la responsabilità di una comunità di credenti, così come uno resta padre anche quando i figli sono diventati grandi e non deve più occuparsene direttamente. Ma il cuore, nel primo e nel secondo caso, batte sempre per loro.