Taca la bala

Quei due soli contro tutti

Il Tour, feudo inespugnabile della coppia di marziani Vingegaard-Pogacar avanza verso il finale di Parigi che proporrà la tradizionale parata sugli Champs-Élysées
Tarcisio Bullo
Tarcisio Bullo
22.07.2022 06:00

Condannati a soffrire, senza speranza, mentre il Tour, feudo inespugnabile della coppia di marziani Vingegaard-Pogacar (ma per lo sloveno dopo la tappa di ieri la partita è chiusa) avanza verso il finale di Parigi che proporrà la tradizionale parata sugli Champs-Élysées. Agli altri corridori in lizza rimangono solo le ragioni dell’ottimismo, quelle che permettono a Thomas, Quintana e Gaudu (d’accordo, siamo generosi...), di battersi per un terzo posto che vale comunque come una vittoria, soprattutto in questo 2022, anno che ci sta regalando uno dei più bei Tour di sempre. O di porsi come unico obiettivo possibile una vittoria di tappa, che se non ti rende immortale consegna comunque il tuo nome ad un pezzo della storia sportiva.

Oddio, scottati come siamo stati da uno sport sempre pronto a tradire e a scendere a patto coi diavoli del doping, non metteremmo la mano sul fuoco per nessuno dei corridori che stanno dando spettacolo sulle strade di Francia a medie orarie da capogiro, nonostante salite che inviterebbero un ciclista della domenica come chi scrive a scendere dalla sella e proseguire con la bici guidata a mano. Però non ci sono prove – e nemmeno sospetti fondati – contro nessuno e dunque rendiamo merito a questi extraterrestri col rischio di prenderci l’ennesima cantonata. 

Per come si son messe le cose, il Tour ha rammentato ai suoi protagonisti che il ciclismo, nonostante i giochi di squadra, le tattiche e gli sforzi ammirevoli dei gregari alla fine rimane uno sport individuale. E infatti nelle ultime tappe prima di arrivare a Parigi i due che si contendevano la maglia gialla hanno dovuto vedersela praticamente da soli: Tadej Pogacar è rimasto senza squadra (degli otto partiti sono rimasti in quattro, lui compreso, con lo svizzero Hirschi a mezzo servizio), mentre Jonas Vingegaard si avvale di cinque compagni di squadra ormai quasi alle corde. Tutto questo esalta ancora di più l’impresa dei due corridori che hanno dominato la corsa, capaci di  resistere in vetta alla classifica nonostante la mancanza di aiuto dei compagni nella fasi cruciali della sfida, l’esposizione agli attacchi da parte di avversari per la verità ormai rassegnati, l’assenza di protezione e di un progetto strategico di squadra.

Sia quel che sia, Vingegaard e Pogacar erano destinati a controllarsi reciprocamente, a scrutarsi, a cercare sul viso dell’altro il segno della fatica, a tentare di imbrogliarsi fino alla tappa di ieri, quella che ormai ha consegnato il Tour al danese. Non sarà la cronometro di sabato, esercizio che si fa un baffo dei giochi di squadra perché quando corri contro le lancette dell’orologio sei irrimediabilmente solo e devi unicamente spingere sui pedali come un indemoniato, a produrre un ribaltone che avrebbe reso epica una corsa di per sè già bellissima e che ci ha mostrato tanti uomini coraggiosi e tenaci.

Non solo tra i leader: l’altro ieri abbiamo visto il velocista olandese Fabio Jakobsen sputare sangue sulle salite pirenaiche, restare in gara per una manciata di secondi, superare il traguardo a zig-zag, quasi fosse ubriaco in sella alla sua bici. Ubriaco ma di fatica, il cervello annebbiato, il corpo quasi incapace di controllare la bicicletta che, dopo il traguardo, è andata a sbattere contro le staccionate. Quale orgoglio è riuscito a spingere Jakobsen, perso e abbandonato da tutti lungo le strade dei Pirenei, fin sul traguardo? A suo modo, anche lui, ultimo di una tappa estenuante, è un eroe del Tour, uno di quelli che la penna miracolosa di Gianni Mura ci avrebbe raccontato come nessun altro sa fare. Avrebbe goduto un sacco, Mura, fosse stato a questo Tour. Invece manca, eccome se manca. E ci mancano i suoi racconti.    

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