Se il superfluo diventa necessario
Come buona parte dei maschi adulti anch’io, tendenzialmente, odio lo shopping. Non mi piace girovagare tra bazar e mercati solo per il piacere di farlo: se necessito di qualcosa, prima mi informo con attenzione poi vado dritto all’acquisto senza perdere tempo e senza quasi mai disquisire sul prezzo. C’è però un’eccezione a questa mia idiosincrasia nei confronti dei negozi di ogni tipo: i mercatini dell’usato, le bancarelle che, soprattutto il weekend, si ritrovano un po’ ovunque e sulle quali commercianti spesso improvvisati, svuotano il contenuto delle loro cantine o i loro armadi mettendo in vendita tutto il superfluo delle cose superflue dalle quali hanno deciso di staccarsi. Anche in quel caso, tuttavia, non sono un assiduo acquirente: le uniche cose su cui solitamente mi soffermo sono i dischi in vinile usati alla vana ricerca di qualche rarità. Per il resto mi limito a osservare, spesso riflettendo su quanti sono gli oggetti inutili che si possono scovare e che la gente acquista sia nuovi che di seconda o terza mano. «Vendo solo inutilità ma di qualità», diceva a tal proposito la scorsa settimana un commerciante del settore in un’intervista a una televisione locale, ribadendo il fatto che, quanto meno nella nostra civiltà occidentale, da tempo i nostri sforzi non sono indirizzati tanto a garantirci il necessario quanto un superfluo divenuto ai nostri occhi sempre più indispensabile. Certo non tutti agiscono allo stesso modo: ci sono ancora larghi segmenti di popolazione che l’acquisto di futilità non se lo possono permettere, ma la domanda che in molti, soprattutto gli economisti, si pongono su questa questione è: nel caso venisse raggiunto un equo livello di distribuzione dei consumi, quando anche l’acquisto del superfluo sarà alla portata di tutti, cosa accadrà? Si continuerà a produrre «ad libitum» facendo in modo che il desiderio di possedere, non importa cosa, venga ulteriormente amplificato o si cambierà rotta? Produrre diventerà ancor più di oggi un fine, oppure la nostra visione cambierà e ci incammineremo verso l’auspicata – da qualcuno – trasformazione del mercato in un semplice mezzo per migliorare la qualità della vita di tutti, svincolato da ogni gara per la ricchezza fine a se stessa? Personalmente, pur condividendo idealmente questo pensiero, ritengo che questo tipo di società sia a oggi ancora confinata nei territori dell’utopia. Per una semplice quanto banale ragione: manca purtroppo ancora molto al raggiungimento quel diffuso e generalizzato benessere, che dovrebbe tenere noi, abitanti dei Paesi cosiddetti ricchi lontani dai mercatini del superfluo e buona parte della popolazione della Terra un po’ più vicina a quei mercati dove riuscire a garantirsi il necessario.