L'editoriale

Tra torri d'avorio e scenari di guerra

Una decina di giorni fa la Banca nazionale svizzera (BNS) ha deciso, prima tra le principali banche centrali, di ritoccare al ribasso il tasso che guida il costo del denaro: da 1,75% a 1,5% – Tra le motivazioni di tale scelta, la fine dell’emergenza inflazione
Generoso Chiaradonna
02.04.2024 06:00

La politica monetaria è una prerogativa della Banca centrale, la quale opera in modo indipendente da governi e parlamenti anche se a volte i banchieri centrali sono tirati per la giacchetta da una parte o dall’altra da chi vorrebbe rigore a tutti i costi e chi invece un rubinetto monetario sempre aperto. Inoltre, le banche centrali, almeno quelle del mondo libero, non decidono la propria politica in base agli umori di chi guida protempore l’istituzione. La stabilità dei prezzi e quella finanziaria dovrebbero essere i soli fari guida di ogni banchiere. È però legittimo e spesso doveroso che una o più parti delle componenti di un’economia si facciano sentire. Si sa che quando i tassi d’interesse salgono si «puniscono» i debitori che devono pagare di più il servizio dei loro debiti, mentre gioiscono i creditori nel caso contrario. Basta vedere gli ottimi risultati ottenuti lo scorso anno dalle banche focalizzate sui prestiti commerciali e ipotecari. Utili che sono in gran parte frutto anche delle scelte di politica monetaria.

Una decina di giorni fa la Banca nazionale svizzera (BNS) ha deciso, prima tra le principali banche centrali, di rifare il percorso inverso, ritoccando al ribasso il tasso che guida il costo del denaro: da 1,75% a 1,5%. Tra le motivazioni di tale scelta, la fine dell’emergenza inflazione.

In questa situazione a insistere con una politica monetaria restrittiva si rischiava di peggiorare il quadro economico nazionale oltre misura. Nel caso della Svizzera, c’è anche un altro fattore che è spesso croce e delizia per l’economia: il valore del franco. Il suo rafforzamento nei confronti di euro e dollaro ha contribuito a frenare la spinta inflazionistica interna. Un processo abilmente condotto dai timonieri della BNS che ha impedito che parte dell’inflazione generatasi all’estero per varie ragioni fosse importata attraverso i prezzi più alti di materie prime e petrolio, per esempio. Ciò non ha però impedito che i redditi più bassi - ma non solo, anche quelli del ceto medio sono stati falcidiati negli ultimi due anni - perdessero potere d’acquisto visto che quest’ultimo è influenzato soprattutto da spese obbligatorie (cassa malati, imposte ed elettricità) su cui la politica monetaria può poco o nulla.

Come per la leva dei tassi, anche per quella valutaria quando azionata dalla BNS ci sono vincitori e vinti: gli importatori quando il franco si rafforza e gli esportatori quando si indebolisce. E il settore industriale svizzero, per definizione orientato all’export, è quello che ha risentito di più oltre che delle bizze del ciclo economico a livello internazionale, della forza del franco.

Questa dicotomia emerge chiaramente da quanto rilevato dalla rete regionale di contatto della BNS e sintetizzato nella pubblicazione trimestrale «Segnali congiunturali» di qualche giorno fa. Si tratta di antenne dell’istituto centrale sul territorio - Ticino compreso - che incontrano regolarmente gli imprenditori di tutti i comparti dell’economia, a eccezione del settore pubblico e dell’agricoltura. A cadenza trimestrale, le delegate e i delegati della BNS svolgono oltre 200 colloqui con imprenditori e dirigenti di aziende. Le imprese sono scelte in base alla struttura settoriale dell’economia svizzera secondo il prodotto interno lordo (PIL) e l’occupazione. Una pubblicazione che aiuta a capire tra le righe le ultime scelte di politica monetaria. La principale fonte di preoccupazione nell’industria - si fa sapere nella pubblicazione - oltre alla perdurante debole domanda mondiale è il tasso di cambio del franco indicato come una sfida da un numero crescente di aziende. Una situazione - quella della robustezza della moneta elvetica - che riduce al minimo lo spazio di manovra nella fissazione dei prezzi ed erode ulteriormente i margini di guadagno che nel settore manifatturiero sono già di loro bassi.

Le voci dal basso, se così vogliamo chiamarle, sembrano quindi essere state colte dal vertice della BNS che ha dimostrato questa volta di non vivere in una torre d’avorio. I prossimi mesi, infine, saranno decisivi per capire come evolverà la congiuntura internazionale alla luce delle decisioni di politica monetaria di Europa e Stati Uniti, i principali mercati di sbocco dei prodotti svizzeri, con sullo sfondo gli onnipresenti e oppressivi scenari di guerra.