Tutti i rischi economici della politica monetaria

Bisognerebbe analizzare quanto della ripresa attuale sia dovuta alla formazione di bolle speculative
Alfonso Tuor
31.08.2017 02:05

di ALFONSO TUOR - Ora la missione è disinnescare la bomba rappresentata dall'enorme quantità di liquidità iniettata nel circuito monetario dalle banche centrali per evitare che la grande crisi finanziaria di dieci anni fa sfociasse in una grande depressione. I responsabili delle politiche monetarie dei principali Paesi occidentali nell'incontro annuale di Jackson Hole hanno giustamente espresso soddisfazione per il rafforzamento della crescita economica che si è diffusa nella maggior parte del mondo, ma non hanno fornito alcuna indicazione su quali saranno le loro prossime mosse. Appare ormai chiaro che hanno scelto di procedere con estrema prudenza sulla strada di una normalizzazione della politica monetaria. In pratica non vogliono correre il rischio di far deragliare l'espansione economica con un affrettato aumento dei tassi di interesse e con il riassorbimento delle migliaia di miliardi di dollari messi in circolazione.

Questa scelta presenta tuttavia enormi rischi: il proseguimento di condizioni monetarie fortemente espansive, come quelle attuali, può provocare gravi danni collaterali. In particolare, l'enorme quantità di moneta in circolazione a tassi molto bassi può gonfiare ulteriormente le bolle speculative, che sono già sotto gli occhi di tutti, nei prezzi delle azioni, delle obbligazioni e in molti Paesi anche degli immobili, e di favorire l'esplosione dell'indebitamento privato che già negli Stati Uniti e in Gran Bretagna ha superato i livelli di dieci anni fa. Insomma, la storia rischia di ripetersi in modo drammatico. Il motivo è semplice: la politica monetaria può regolare il ciclo economico, ma non può sostituirsi alle misure politiche indispensabili per curare le cause della crisi finanziaria del 2007-2008. E queste cause sono tuttora presenti. Esse si chiamano stagnazione (e in molti casi anche diminuzione) dei salari, esplosione delle diseguaglianze sociali e concentrazione della ricchezza. Insomma, chi vorrebbe consumare di più non ha i soldi per farlo, mentre coloro che guadagnano sempre più usano questi soldi supplementari per investimenti finanziari.

Che non si tratti di formule vuote o ideologiche è confermato dalle stesse preoccupazioni che esprimono spesso i banchieri centrali. La prima preoccupazione è che i salari e i redditi non salgono; la seconda preoccupazione è che non vi è alcun segno di rialzo dell'inflazione, che le autorità monetarie si prefiggono di riportare attorno al 2%. Il motivo è semplice: non vi è rialzo dei salari, poiché il mercato del lavoro è stato destrutturato e poiché la crescita dell'occupazione nasconde in realtà la proliferazione di impieghi a tempi parziali e a tempo determinato. Quindi è stato completamente rotto il meccanismo di rincorsa tra prezzi e salari che è sempre stato la causa prima del rincaro dei prezzi. Ma l'inflazione non è scomparsa: si è trasferita dal mercato dei beni e dei servizi a quello delle attività finanziarie. Bisognerebbe analizzare quanto della ripresa attuale, che è molto debole e fragile rispetto alle continue iniezioni di droga da parte delle banche centrali, sia dovuta alla formazione di bolle speculative.

A mio parere, il contributo di queste ultime è notevole e ciò vuol due cose: che la ripresa non è sana ma è drogata dai bassi tassi di interesse e dall'enorme liquidità in circolazione e che la prudenza dei banchieri centrali prolungherà i tempi di questa fase di espansione, ma non basterà ad evitare il ripetersi di una nuova grave crisi. Curare queste ferite dovrebbe spettare alla politica, ma sia in Europa sia negli Stati Uniti non si vede alcun segnale in tale direzione. Non è quindi da escludere che anche piccoli passi tesi a normalizzare la politica monetaria possano provocare sconquassi sui mercati finanziari afflitti da un'esuberanza irrazionale. Ed è proprio quanto temono le autorità monetarie ed è quanto le spinge a muoversi con grande prudenza, anche perché sono perfettamente consapevoli che l'economia non ha imboccato un sentiero di crescita sana e duratura.

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