L'editoriale

Uno schiaffo al nostro orgoglio nazionale

Torniamo alla nostra identità, al nostro cuore di svizzeri e di ticinesi, ai nostri ricordi d’infanzia, e diciamoci la verità: quello che è accaduto nelle ultime ore è un inconcepibile disastro
Paride Pelli
21.03.2023 06:00

Lasciamo da parte, solo per un momento, le infinite considerazioni tecniche e le analisi macroeconomiche, finanziarie e manageriali che in questi giorni stanno inondando i media di tutto il mondo e continueranno a farlo. Torniamo invece alla nostra identità, al nostro cuore di svizzeri e di ticinesi, ai nostri ricordi d’infanzia, e diciamoci la verità: quello che è accaduto nelle ultime ore è un inconcepibile disastro. L’unico modo per alleviarlo è che almeno sia di insegnamento per il futuro, anche se qui, purtroppo, si aprono molte incognite. Stiamo parlando - ça va sans dire - della vicenda Credit Suisse, la «compagnia di bandiera» del sistema bancario svizzero, il più elvetico tra tutti gli istituti e uno dei più antichi, certo il più rappresentativo: oggi finito nella polvere, ma c’è chi dice anche nel fango, e non senza qualche ragione.

Quella di Credit Suisse è un disastro dove i fili della reputazione (ormai traballante da tempo), della comunicazione (pessima) degli attori coinvolti e infine della fiducia (di questi tempi, già grami, fragilissima per definizione) si sono annodati l’uno con l’altro fino a formare un cappio intorno al collo non solo dell’istituto bancario sull’orlo dell’abisso, ma anche, bisogna ammetterlo, del nostro legittimo orgoglio.

Ci vorrà tempo per risalire la china e tornare a guardarci, e a farci guardare, con una certa considerazione. Quando un simbolo nazionale – perché a tutte le latitudini tale era Credit Suisse – collassa in questo modo, non si può far finta che si tratti di una sferzata di vento passeggera che ha fatto crollare un edificio già malmesso di suo. Certo, ci siamo risollevati dal fallimento di Swissair - che era stata per lunghi anni la miglior compagnia aerea al mondo, un esempio da imitare - dal salvataggio in extremis di UBS da parte della Confederazione quindici anni fa e ci risolleveremo anche da questo tracollo grazie alla resilienza tipicamente svizzera.

Ma, come si diceva, occorre imparare dagli errori che in questi giorni sono balzati sotto i riflettori. Sui passi falsi di Credit Suisse e la relativa frastagliata storia reputazionale della banca, lasciamo l’incombenza a storici ed economisti. Qui vogliamo parlare degli altri due aspetti: comunicazione e fiducia.  Circa la prima, tutti gli attori privati e istituzionali coinvolti nel naufragio degli ultimi giorni hanno dimostrato, chi più chi meno, di procedere a tentoni in un momento di altissima pressione. Probabilmente pochi si aspettavano uno tsunami simile e non era stata elaborata una strategia comunicativa capace di contenere con mano ferma le derive, non solo speculative, che abbiamo visto. Mai come al giorno d’oggi – un’epoca in cui cospicui patrimoni si possono spostare da una banca all’altra con un click sul telefonino – la comunicazione è anche sostanza. Esempi passati non ne mancano e anziché sperare che alcuni disastri non si ripetano più, sarebbe auspicabile comunicare meglio ai mercati le proprie decisioni, sapendo che ogni onda, in una tempesta del genere, nasconde un potenziale scoglio.

Sulla fiducia, invece, tocchiamo un tasto fondamentale, perché il disastro di Credit Suisse è innanzitutto, né più né meno, un profondo rosso della fiducia più che della liquidità. Ve ne fosse rimasta in circolo almeno un briciolo, non avremmo osservato nelle ultime ore quelle scene che abbiamo purtroppo dovuto registrare. L’impressione finale – in realtà una certezza confermata persino dal Governo nella conferenza di domenica sera e dai tracolli in Borsa di ieri mattina – è che se manca la fiducia manca tutto, e la storia si chiude. Inevitabilmente quanto amaramente.

 

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