Teatro

La magia del gesto

Mezzo secolo di attività dei Mummenschanz in «50 Years» in scena nel weekend al LAC
© Mummenschanz Stiftung / Noe Flum
Dimitri Loringett
08.04.2022 12:00

«Un po’ di suono c’è», chiarisce subito Floriana Frassetto, co-fondatrice dei Mummenschanz. «Oltre ai fruscii naturali provocati dai movimenti degli attori sul palco e dai vari materiali usati, nel mio numero più recente you&me sentiamo anche il pizzicato del violino e della viola che i due attori indossano come maschere. Tra loro c’è una sorta di dialogo fra lei, chiacchierona e lui più silente, musicato sulle note – un po’ stonate a dire il vero (ride, ndr) – di un brano di Lucio Dalla. Ma è l’unico suono musicale del nostro spettacolo».

E spettacolo sarà. Anzi, tre: sabato 9 (alle 16.00 e alle 20.30) e domenica 10 (alle 16.00) va infatti in scena al LAC di Lugano 50 Years, show che ripercorre l’importante carriera del collettivo svizzero creato nel 1972 dal bernese Bernie Schürch, dallo zurighese Andres Bossard, e dall’italo-americana Floriana Frassetto, con cui ci siamo intrattenuti per parlare di questa realtà teatrale unica nel suo genere, conosciuta e apprezzata in tutto il mondo, come sostiene il «New York Times» secondo il quale il loro spettacolo «è particolarmente vitale per il pubblico giovane che è cresciuto con dispositivi che suonano e cuffie, e che raramente ha sperimentato lo straordinario potere del silenzio». Ma ha ancora senso oggi, nell’era del «rumore digitale», il silenzio? Ci risponde Frassetto: «Secondo me sì, e ha ancora più senso e importanza di prima. Nel silenzio ognuno si può immaginare quello che vuole, c’è la libertà di interpretazione. Persone di generazioni diverse possono essere sedute assieme in sala e vedere ognuno lo spettacolo con la propria fantasia. Con Mummenschanz uno può fare un viaggio nell’immaginario e ritrovare il proprio bambino, la propria innocenza, e penso che questo sia importante, e anche molto bello».

In principio fu Parigi
L’avventura dei Mummenschanz inizia agli albori degli anni Settanta del secolo scorso, quando Schürch e Bossard si conobbero a Parigi durante gli studi alla Scuola internazionale di teatro Jacques Lecoq. Le prime performance del duo, che allora si faceva chiamare Avant et perdu, erano dei cosiddetti Jeux de fous et de masques, poiché in alcuni spettacoli andavano in scena mascherando tutto il corpo e, in altri, recitavano. «Ho conosciuto Bernie e Andres nel ’71», ci racconta Frassetto. «Assieme abbiamo iniziato col togliere tutti i numeri parlati, come quello della carta igienica, un numero un po’ dadaista in cui Andres parlava dicendo cose del tipo “tutti i rotoli di carta igienica sono arrotolati nel modo sbagliato, caro pubblico aiutateci a trovare il verso giusto”. Però non riuscivamo a tradurre questo nelle varie lingue, non funzionava, e quindi abbiamo deciso di togliere tutte le parole e di visualizzarle con delle maschere, con dei costumi che chiamavamo “maschere per il corpo”. Certo, l’obiettivo era avere successo, ma per noi quella decisione era dettata più che altro da una necessità, ovvero di allontanarci dalla parola e cercare di tradurre tutte le parole, i concetti, le critiche e gli scherzi surrealisti nel corpo, nel movimento. In un movimento oltretutto astratto e minimalista». E ha funzionato, al punto tale che nel ‘73 i tre sono riusciti ad andare, poco dopo una prima tournée in Europa, negli Stati Uniti, dove hanno riscontrato un enorme successo e aperto una porta importante sul loro futuro. «In Svizzera, bisogna pur dirlo, riesci a fare una tournée, ma poi devi aspettare qualche anno prima di farne un’altra», commenta Frassetto. «Ma all’epoca sentivamo comunque il bisogno di andare all’estero per fare esperienza con un pubblico internazionale. Il grande successo ottenuto negli States è stato un po’ inaspettato. Infatti, pensavamo di restarci per solo quattro settimane, invece ci siamo rimasti tre anni. In quel periodo abbiamo iniziato anche a insegnare e a vivere queste forme, questi concetti, questo bellissimo linguaggio che avevamo creato. Non era facile, ma ci siamo riusciti, pur lasciando un po’ di libertà alle diverse personalità degli attori con cui abbiamo lavorato. Insomma, senza parole abbiamo trovato un linguaggio che ci ha portato in giro per il mondo».

Sperimentazione e tenacia
Il nuovo linguaggio creato da Schürch, Bossard e Frassetto è stato sviluppato in un’epoca in cui c’era ancora molto spazio per la sperimentazione e l’improvvisazione. E oggi? «Penso che oggi, come allora, vi sia ancora spazio per sperimentare, esplorare cose nuove e improvvisare in scena. Sempre che lo si voglia e che si abbia la passione per ciò che si fa. Vedo purtroppo spesso dei giovani che creano uno spettacolo e che dopo poco tempo, anche solo dopo un anno, abbandonano per via di divergenze di idee o altro. Con Andres e Bernie siamo stati spesso in disaccordo, ogni tanto si litigava pure, ma fra noi c’era questo amore, questa passione per quello che facevamo. Perché ci credevamo fino in fondo, nonostante non fossimo certi di avere successo oppure che lo spettacolo potesse maturare e durare negli anni. Ma devo anche dire che, soprattutto agli inizi, Mummenschanz non era solo una questione di passione ma di sopravvivenza. Insomma, dovevamo pur pagare l’affitto... Ho l’impressione che oggi gli artisti, e non solo quelli più giovani, siano un po’ troppo viziati. Se una cosa non funziona, mollano subito e vanno a fare un’altra cosa. Ma è un discorso molto individuale. Con Mummenchanz ci siamo sempre messi in discussione. E lo facciamo tuttora, anche coi giovani che arrivano da noi che, pur consapevoli di entrare in qualche cosa di affermato e ben rodato, magari vorrebbero aggiungere qualcosa delle loro simpatiche e talentuose personalità. Certo, se uno mi porta unicamente una mimica, non sarò molto d’accordo, ma ne discutiamo, continuamente. «La scuola non finisce mai», affermò il grande drammaturgo italiano Eduardo De Filippo, come ci ricorda la nostra interlocutrice. «È vero. Si impara ogni giorno e mi capita spesso di dare ragione ai miei colleghi più giovani. Questo è bello, perché il conflitto generazionale esiste, ma solo in piccole dosi. Con i miei ragazzi ci capiamo, ci facciamo delle risate, magari abbiamo dei gusti di film e musica diversi, ma non fa niente. Per me è interessante imparare. Per dirne una, io adoro l’hip-hop. Infatti in uno dei numeri che ho creato c’è un po’ di hip-hop, ed è il frutto dell’amore e della passione che ho per i giovani. Non c’è un muro fra me e loro. È chiaro che la mia storia è diversa dalla loro, ma se chiudi quella porta, se non ascolti più, allora è peccato, perché poi le cose si spengono».

Un linguaggio inedito
L’attuale organico dei Mummenschanz è composto da Floriana Frassetto e da sei giovani talentuosi, quasi tutti svizzeri - di cui uno ticinese, Kevin Blasser, che tra le altre cose ha recitato nel film Tutti giù di Niccolò Castelli - e diplomati all’Accademia Teatro Dimitri di Verscio. «Con Mummenschanz abbiamo creato un linguaggio nuovo che non si impara nelle scuole», precisa con orgoglio la nostra interlocutrice. «È qualcosa che si impara facendo, naturalmente con la mia assistenza, ma anche con il talento dei miei colleghi, molti dei quali vengono dalla scuola Dimitri. Devo dire che le tecniche e gli insegnamenti impartiti all’Accademia di Verscio, come l’acrobazia, la gestualità, la mimica ecc., sono un’altra cosa rispetto a ciò che insegno e faccio in Mummenschanz. E, soprattutto, noi non siamo mimi. Lo dico per rispetto all’arte del mimo che è sostanzialmente diversa da Mummenschanz, che ritengo essere una tecnica a sé. Certo, usiamo delle gestualità, ad esempio con le mani, che possono far pensare alla mimica, ma non siamo mimi. Il mimo segue la mimica del volto, noi invece usiamo le mani per manipolare le diverse forme delle maschere, come quelle di argilla per intenderci, che in seguito sottolineiamo con un piccolo gesto delle mani. Ma, come detto, è una tecnica originale tutta nostra». Un’originalità tutta svizzera, uno «Swiss Made» esportato in tutto il mondo. «Nei Mummenschanz c’è la disciplina, la puntualità, la pazienza tipicamente svizzere. Ma c’è anche un po’ di follia americana, che ho portato io. I miei colleghi Andres e Bernie però erano uno più matto dell’altro, in senso creativo naturalmente. Parlare di “Swissness” mi sembra una bella cosa, come è bello che il nostro Paese, con le sue quattro lingue e altro, sia sempre pronto e capace di portare l’internazionalità svizzera nel mondo», conclude Frassetto.

Floriana Frassetto: poetessa del silenzio

Figlia di emigrati italiani negli Stati Uniti, Floriana Frassetto ha studiato all’Accademia del Teatro di Alessandro Fersen a Roma dal 1967 al 1969. Completata la formazione di attrice frequentando un corso completo (mimo, acrobatica, danza) al Teatro Studio di Roy Bosier, tra il 1969 e il novembre 1970 lavora a Roma in diverse produzioni di pantomima e teatro. L’idea di fondare Mummenschanz nasce dall’incontro, nel 1972, con due giovani clown svizzeri: Andres Bossard e Bernie Schürch. Da allora ha co-creato il repertorio dell’ensemble (il cui nome è una combinazione di «Mummen», che significa nascondere o mascherare e «Schanz», «caso») e ha recitato in ogni spettacolo. La creazione dei costumi, la coreografia di Giancarlo Sbragia per il Faust rappresentato nell’anfiteatro romano di Taormina, la messa in scena di alcune scene dei Mummenschanz per il musical Body and Soul di André Heller, la collaborazione artistica con Isabelle Baudet per il musical per bambini Oliver Twist a Losanna sono tra i suoi migliori successi individuali.

Con la morte di Andres Bossard nel 1992 e il ritiro dalle scene di Bernie Schürch nel 2012, Floriana Frassetto è rimasta a oggi il motore artistico del pluripremiato ensemble. In questo mezzo secolo Mummenschanz ha dato vita a oltre 100 numeri di successo portati in scena in tutto il mondo. Per celebrare l’anniversario, la «poetessa del silenzio» ha ideato il programma presentato a Lugano che ripercorrerà il cinquantennale percorso dei Mummenschanz attraverso gli sketch più celebri e amati, con personaggi leggendari come le maschere d’argilla o i volti realizzati con rotoli di carta igienica. In 50 Years non mancheranno i fragili giganti d’aria, l’uomo tubo, le maschere di violino e viola di you&me, e altri oggetti e forme che prendono vita grazie alla fantasia dei sei attori naffiancati a numeri dalle forme inedite e sorprendenti nonché a cocciutissimi personaggi nel tipico stile di Mummenschanz. 50 Years andrà in scena sabato 9 alle 16.00 e alle 20.30, e domenica 10 aprile alle 16.00, al LAC Lugano.

Biglietti qui.

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