Energia

Gas: «La Norvegia ha sostituito la Russia»

Depositi pressoché pieni e prezzi in calo: forse il prossimo inverno trascorrerà tranquillo — L'esperto: «Attenzione: si tratta di una situazione ancora molto delicata e instabile»
Andrea Stern
Andrea Stern
16.10.2022 09:45

Forse la crisi del gas sarà stato solo un brutto sogno. Forse il prossimo inverno trascorrerà tranquillo senza che il 18% delle economie domestiche svizzere, quelle riscaldate a gas, debba spegnere i caloriferi. Forse andrà tutto bene.

Di sicuro negli ultimi giorni i segnali distensivi non sono mancati. In Germania il ministro dell’economia Robert Habeck ha annunciato che i depositi di gas sono riempiti al 92% e che entro fine ottobre arriveranno al 95%. L’Italia è attorno al 92%. Ancora meglio sta la Francia, dove già il 5 ottobre le autorità hanno annunciato di aver toccato il tetto. I depositi francesi hanno ora gas a sufficienza per coprire un consumo di 130 miliardi di chilowattora ed è altamente probabile che anche la Svizzera possa beneficiare di questo tesoretto.

Allo stesso tempo le quotazioni del gas sul TTF, il mercato di riferimento per l’Europa continentale, hanno raggiunto questa settimana il livello minimo degli ultimi tre mesi. Negli ultimi giorni oscillavano attorno ai 150 euro per megawattora, circa il doppio rispetto all’inizio dell’anno ma comunque meno della metà dei picchi di fine agosto.

Tutto questo nonostante la guerra in Ucraina sia ancora lungi dall’essersi conclusa.

Cala la domanda, aumenta l’offerta

«La riduzione del prezzo del gas che stiamo osservando è determinata da due fattori spiega Massimo Filippini, professore di economia al Politecnico di Zurigo e all’USI di Lugano -. In parte da una diminuzione della domanda e in parte da un aumento dell’offerta dovuto alla maggiore produzione di gas norvegese e all’aumento delle importazioni di gas naturale liquefatto (LNG)».

La Norvegia ha ora soppiantato la Russia come principale fornitore di gas all’Europa. Nei primi otto mesi dell’anno ha esportato gas per un valore di 775 miliardi di corone norvegesi, pari a circa 77 miliardi di franchi, il 315% in più rispetto allo stesso periodo del 2021.

La reazione dei consumatori

D’altra parte l’aumento dei prezzi ha provocato un calo dei consumi. «La riduzione della domanda può essere stata determinata dai diversi fattori - riprende Filippini -, in primis il forte aumento del prezzo, che ha indotto i consumatori industriali e residenziali europei a contenere il consumo. In questo senso un nostro recente studio mostra che i consumatori finali reagiscono ad aumenti del prezzo».

Ma c’è dell’altro. «A ridurre i consumi hanno contribuito anche il lancio delle campagne pubbliche di risparmio energetico promosse dal Consiglio federale e dai governi europei - spiega Filippini -. Poi bisogna anche considerare che gli acquisti di gas per completare le riserve nei singoli stati europei sono più o meno terminati».

È tuttavia presto per cantare vittoria. «Attenzione - avverte Filippini -, si tratta di una situazione del mercato del gas molto delicata ed instabile. Dobbiamo attenderci durante i prossimi mesi ancora variazioni di prezzo».

La profezia sbagliata di Parmelin

Idem per la benzina, sebbene il peggio sia ormai passato. Tutti ricorderanno che in marzo, quando per la prima volta il prezzo del litro di benzina superò i 2 franchi, Guy Parmelin ipotizzò che sarebbe anche potuto salire fino a 4 franchi. Invece, dopo qualche mese di passione per gli automobilisti, i prezzi alla pompa sono tornati sotto la fatidica soglia e nelle ultime settimane c’è pure chi è riuscito a fare il pieno spendendo meno di 1,80 franchi al litro. «Negli ultimi mesi il prezzo del petrolio è sceso di molto - nota Massimo Filippini, professore di economia al Politecnico di Zurigo e all’USI di Lugano -. Di conseguenza anche il prezzo della benzina si è ridotto». Un po’ in ritardo, verrebbe da aggiungere, visto che il barile di petrolio era tornato sotto i 100 dollari già a luglio mentre gli effetti alla pompa di benzina si sono visti solo nelle ultime settimane. Meglio tardi che mai.

L’OPEC frena il ribasso

Peccato però che se da una parte il mercato è riuscito a superare gli effetti dell’invasione russa dell’Ucraina, dall’altra parte si nota che l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC) non è affatto intenzionata a far proseguire questa tendenza al ribasso. «Alcuni giorni fa l’OPEC ha deciso di ridurre la produzione di petrolio - osserva Filippini -. Questa mossa dei più grandi produttori di petrolio porterà probabilmente ad una riduzione dell’offerta globale e quindi a una stabilizzazione del prezzo o addirittura ad un lieve aumento». La mossa dell’OPEC non è stata gradita in un’Occidente già alla prese con un’inflazione galoppante. Il presidente statunitense Joe Biden ha duramente criticato l’Arabia Saudita, minacciando di non venderle più armi. Ma per il semplice automobilista cambia poco. Il coltello è interamente in mano ai baroni del petrolio, lui può solo pagare e tacere.

E sperare che l’OPEC non voglia accanirsi sulle sue tasche, già messe a dura prova. «In generale, è sempre molto difficile fare previsioni sui prezzi dei combustibili fossili - afferma Filippini - poiché questi prezzi sono influenzati sia da fattori economici, come la domanda e l’offerta, che da fattori geopolitici e da strategie di mercato che vengono definite da grandi produttori e da importanti cartelli.

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