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Engadina

Come si temprano le montagne
Davide Macullo
13.07.2021 11:19

Furono di sicuro una lei e un lui, tremila anni or sono, a cogliere la prima opportunità: gettare le basi di una stirpe attorno alle fonti termali dell’Engadina e non girovagare più. Costruire cisterne col larice del luogo per dominare l’acqua è un esercizio d’arte concettuale contemporanea che delizierebbe il pubblico della prossima St. Moritz Art Master, ma appunto: ci hanno già pensato. Lei. Lui. Tremila anni fa. È sul filo del loro rapporto - d’amore? - che possiamo parlare di un paesaggio spettacolare che non cessa di essere goduto, pensato e costruito: ingranaggio di giochi di prestigio in eruzioni continue, da quella prima cisterna fino al consumo d’arte globale d’oggi. Stracciamo la cartolina, con un gesto della mano allontaniamo il folklore: l’Engadina è una fantascienza ancora sconosciuta che troverà sempre più amanti assetati di un ulteriore miraggio. Tutti sono passati da qui, e anche


si sono fermati. In controtendenza rispetto ad altre regioni alpine, la popolazione qui non ha mai smesso di crescere di numero, di lingue, di culture, malgrado una forte emigrazione necessaria per governare l’alternanza di difficoltà e di prosperità peculiare di questi milleottocento metri sul livello del mare. Ed ecco, in ordine convulso di viavai senza tempo, i Protocelti, i Leponti, i Reti e soprattutto: la conquista di Augusto per annettere il Nord Europa all’Impero e le sue legioni rimaste qui, poco per volta, come pietre sulla via del ritorno, in un va e vieni durato mezzo millennio; le stesse pietre delle case con tetti in tegole o in lastre. Ed ecco che s’affacciano lo spirito romancio e i nuovi governatori dal Sud, e San Lucio con religione cristiana al seguito; poi i tempi più autonomi ma meno prosperi degli Ostrogoti, dove si torna a costruire in legno, ma con leggi a protezione dagli incendi così precise che sembrano scritte ora. Iniziano la pianificazione del territorio, la razionalizzazione di una tipologia abitativa e lavorativa basata sul risparmio energetico: alle pareti delle stanze si aggiungono rivestimenti in legno lavorato e, in seguito, decorato. E l’andirivieni prosegue: i Merovingi, gli Zacconi / Vittoridi, i Carolingi, gli Svevi, poi duchi e conti e una schiera di nobili europei alle prese con l’influenza del vescovo di Coira.

Austriaci, francesi e spagnoli, spesso in guerra tra loro e con la vicina Penisola, si avvicendano su una terra - dentro una terra - rimasta «romana» fino al pragmatismo protestante e alla costruzione di quei Comuni che attestano finalmente l’energia di uno spirito d’indipendenza forgiato da una geografia impervia e impegnativa, con gli abitanti al contempo soldati e mercenari impegnati a riportare i guadagni in patria per costruire dimore particolari, molto fiere, e ancora molto amate. Sempre grazie alla geografia rivolta ai quattro angoli della terra, e a un territorio ben vasto, quest’angolo di Rezia diventa di fatto uno Stato di Comuni proto-democratici, ostili alle ingerenze esterne, abili nella diplomazia e affinatori di un’identità originaria-straordinaria fondata sull’assimilare.

Eccetto qualche battaglia e una combattuta adesione alla Confederazione, la perdita della Valtellina fu la sola stonatura nella storia di una Regione che riusciva a trattare direttamente con i Paesi Bassi. Il tempo «spirituale» della costruzione dei castelli e delle fortezze difensive, epoca aspra e indelebile, però finisce, e la capacità di trasformare le difficoltà in opportunità rifiorisce. Nemmeno gli ostacoli alzati dai veneziani per disfarsi del successo del migliaio di engadinesi impegnati nell’industria dei dolci e della ristorazione ha fermato l’estro di questa gente: lasciata Venezia, si conquista l’Europa delle pasticcerie e degli alberghi, e financo del tessile, con aziende datrici di lavoro fino a un migliaio di dipendenti ciascuna. Ma sempre riportando i guadagni e il sapere a casa, pronti a nuove sfide da innestare sugli antichi ingranaggi che fanno girare le illusioni e la realtà, per estrarre il meglio dal Sud come dal Nord. Arrivano i sanatori e i grandi alberghi ottocenteschi, e il potenziamento fulmineo delle vie già lastricate dai romani. Non poteva andare altrimenti: il primo e più protetto parco naturale d’Europa è qui (1914). Gli engadinesi sono pure tra i primi a utilizzare l’energia elettrica e a capire le necessità del lusso e degli intrattenimenti d’alto livello per sfavorire la concorrenza: prende quota l’industria turistica, e si inventa pure il bob, con gli inglesi trasportati a peso a St. Moritz per godere degli scandali mondani.

E poi le guerre, certo, ma la macchina è oliata, riprende a girare: gli antenati illusionisti mai hanno lasciato davvero queste terre e hanno molto da insegnare nel corso d’ogni alba che sorge dietro una tempesta di neve. Abitanti in aumento, boom edilizio, boom dei servizi (terziario al 70%) e - tra i più recenti - boom dell’arte contemporanea: sdraiata comodamente sulle spalle, irrobustite dal consenso pubblico indigeno, dei Segantini, dei Giacometti, dei Varlin e degli Amiet. La pianificazione del territorio, qui, è frutto di una complicità efficace - l’aggettivo cardine è questo - tra pubblico e privato. Gli insediamenti sono compatti: non scalfiscono la forza prevaricante della natura, come non ci riescono nemmeno la stratificazione urbana cacofonica di St. Moritz o il potpourri kitsch di Celerina. La costruzione di un circuito fisico-culturale legato all’arte fa parte del mondo delle opportunità che accorciano le distanze tra il locale e il globale, come il nuovo museo d’arte contemporanea di Susch che dimezza il tragitto fra il feudo ben sedimentato e il set di un mondo «altro» e favoloso. E c’è Not Vital a Tarasp. Ci sono le pregiate gallerie di St. Moritz, Madulain, Zuoz, S-chanf. E gli art-talks, gli art-master, gli art-events, gli art-lunch che s’innestano sullo sci, tra installazioni e performances che aggiungono un strato effimero di neve fresca agli splendidi pendii inondati da una luce tagliente che fende gli spiriti. La frequentazione degli attori di questo mondo teso tra commercio e cultura (artisti, curatori, collezionisti, galleristi, bella gente e influencer) si fa mordendo e fuggendo con soggiorni in hotel d’arte. Essi sono vere e proprie istituzioni: facile trovarvi opere di giovani artisti come la nostra fotografa Muriel Hediger, da poco approdata in questo universo stratificato di simboli tra passato e presente, che lei ha colto per Hub senza mai dimenticare le parole di Peider Lansel: «Ni Talians, ni Tudais-chs! Rumantschs vulains restar!». Tra le rocce e gli steli d’erba delle fotografie di Muriel, sgorga la capacità dell’Engadina di assorbire pozioni e veleni e di trasformarli in medicine economiche, e la volontà di rinnovarsi senza cadere nel perbenismo agonizzante che si chiude alle opportunità: non sia mai che dopo la Valtellina si perdano pure Los Angeles o Tokyo. È l’indole degli indigeni ed è pure una questione di coraggio: le sfide vanno inghiottite.

Di

Davide Macullo
Foto di Muriel Hediger