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Kojima City - Nella Mecca del denim

Nessun dubbio: i jeans più spettacolari sono prodotti in Giappone
/ Artigianalità vintage
Tommy Cappellini
Tommy Cappellini
25.11.2021 14:30

Chi avrebbe mai immaginato che il pantalone di stoffa blu indossato da operai, minatori e contadini del XIX secolo nel Nord America sarebbe diventato un giorno un esclusivissimo capo d’abbigliamento fatto a mano in Giappone? Benvenuti nella località costiera di Kojima, nella prefettura di Okayama, che oggi è considerata la Mecca di uno dei denim migliori al mondo, forse il migliore tout court. Qui si trova la «Kojima Jeans Street», una strada dipinta di color indaco, i cordoli rossi e bianchi, evocativi delle cuciture applicate sul tessuto dei jeans qui prodotti. Tra gli edifici sono sempre tirati dei fili sui quali sono appesi i nuovi modelli di pantaloni, come se fossero freschi di bucato e stesi ad asciugare. Il quartiere conta oltre trenta negozi che vendono i preziosi denim nipponici: tra essi quello della prestigiosa Momotaro Jeans, azienda che prende il nome dal leggendario guerriero di Okayama che aveva difeso quel territorio. Ma la storia di Momotaro Jeans è anche quella degli abili artigiani e del sogno di «dare al mondo dei veri jeans». Il marchio, fondato nel 2005, si ispira al denim vintage e da allora è diventato famoso per il suo processo di produzione artigianale che si avvale delle migliori materie prime e della tintura indaco naturale. Lo slogan: «Fatto a mano senza compromessi». Il credo: «Coloro che si realizzano nella vita si prendono cura di se stessi e usano solo gli strumenti della migliore qualità, come incoraggiamento per il miglioramento di se stessi e per avere fortuna e successo». Momotaro lavora con una rete di fabbriche nella regione di Okayama: una vera e propria filiera che produce tutto, dal cotone grezzo al prodotto finito. Da qui parte un denim venduto in tutto il mondo che ha uno stile proprio, lo «Shutsujin» - ispirato all’antica storia della bandiera che Momotaro sventolava quando andava a combattere i demoni. Quella di Momotaro, però, è solo il capitolo più recente di una storia che inizia negli anni ‘50 del secolo scorso. A quei tempi Kojima City era conosciuta soprattutto per la produzione di divise per scolari, ma quando nel secondo Dopoguerra la domanda di denim crebbe fortemente in Giappone, a Kojima si intravide un’opportunità. Il processo di fabbricazione di questo tessuto coinvolge molte fasi, come la tessitura, il taglio, il cucito, la tintura, il lavaggio e la pulizia. E così molti artigiani specializzati nelle varie fasi di lavorazione si stabilirono a Kojima e la ragione divenne famosa per la produzione di jeans, grazie anche all’insediamento di molte fabbriche tessili a partire dalla metà degli anni ‘60. Poi, negli anni ‘70, gli appassionati giapponesi, sempre più insoddisfatti della produzione di massa e del prewashed, sentirono il bisogno di tornare alle origini: cioè di produrre il jeans con cimosa grezza. I produttori di Kojima iniziarono ad adottare i metodi di tessitura originali e la secolare tintura indaco per creare un tessuto di gran pregio, oggi giustamente celebre a tutte le latitudini, anche per alcuni dettagli. Prima degli anni ‘50 il denim veniva realizzato su telai che utilizzavano una navetta per far passare i fili avanti e indietro tra i due lati e produrre così strisce intrecciate di tessuto pesante. I bordi di queste strisce si «sigillano» con una finitura a trama fitta, dando vita a un denim con cimosa. Anche se la tecnologia moderna è in grado di replicare le variazioni di tintura e di tessitura, il denim con cimosa è ottenibile solo con un telaio a navetta. Kuroki Mills, fondata nel 1950 da Tamotsu Kuroki, è uno dei pochi produttori di tessuto denim in Giappone e una delle principali strutture della prefettura di Okayama ad avere i propri impianti di tintura, tessitura e finitura. Il presidente Tatsushi Kuroki racconta a Hub: «Tenendo presente il futuro della Terra, Kuroki Denim continua a produrre tessuti di alta qualità, a Ibara, una città ricca di acqua pura». Kuroki, di fatto, si è sempre impegnata nella sostenibilità dei suoi processi di produzione attraverso il recupero e la purificazione dell’acqua di tintura e l’utilizzo di energia solare. «In quest’epoca di produzione e smaltimento di massa, crediamo che l’utilizzo a lungo termine di un prodotto sia il massimo della protezione ambientale», aggiunge Kuroki. Nobile contro-intuizione, in un mondo concentrato sul consumo spiccio. Poteva venire (quasi) solo dal Giappone, dove il lusso non ha mai abbandonato la tradizione.