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I cervelli ticinesi reclutati da Google

ll veterano Patrik Reali nel campus di Zurigo fa gli onori di casa, dopo di lui ne sono arrivati altri
© CdT/Chiara Zocchetti
Davide Illarietti
18.12.2022 07:00

C’è un enorme scivolo nel cortile del campus di Google in Europaallee, a Zurigo. Gli ingegneri informatici a volte si buttano giù, come bambini al parco giochi. Negli ultimi anni ci sono passati anche diversi ticinesi: oltre alla rampa, come dipendenti di «Big G» hanno diritto di utilizzare (in orario di lavoro) la sala da biliardo, il flipper di Guerre Stellari, la stanza karaoke e quella dei Lego: una saletta piena di mattoncini colorati in cui i dipendenti possono costruire castelli e navi dei pirati pensando a nuovi algoritmi.

«La creatività qui è estremamente valorizzata», spiega Patrik Reali mentre ci accompagna in visita al nuovo campus inaugurato quest’estate. È il primo ingegnere ticinese ad essere stato assunto dal colosso digitale, ormai 17 anni fa. «Diciassette anni e 11 mesi per l’esattezza. Quando ho iniziato eravamo in venti in tutto qui», racconta: «Compravamo noi la frutta per l’ufficio e le cose che mancavano, come il forno a microonde». Adesso sulla Limmat gli «zooglers» (come vengono soprannominati) sono quasi 5 mila distribuiti in due strutture: una a Enge e la nuova in Europaallee, a due passi dal fiume e dalla stazione. È il centro di sviluppo più grande fuori dagli Stati Uniti, un angolo di giocosa California trapiantato a due passi dalla piazza finanziaria «patinata» di Paradeplatz.

Il nuovo campus

Più che un angolo, in realtà la nuova sede di Google è un intero isolato. Sei blocchi da tre a nove piani, altrettanti ristoranti e un numero imprecisato di bar e sale polifunzionali. Due palestre e una parete per l’arrampicata. «Anche io a volte mi ci perdo», confida Reali inoltrandosi in corridoi coloratissimi dove si aggirano persone di ogni provenienza - 85 le nazionalità presenti - in tenuta rigorosamente casual. «È l’unico posto di lavoro che conosca, in cui il dress code prevede una sola regola: venire al lavoro vestiti», scherza l’ingegnere: «Anche questo fa parte della nostra filosofia». Il 50.enne di Pregassona, indossa jeans e scarpe da trekking. Sulla t-shirt ha disegnata una bicicletta, il mezzo di trasporto preferito dei «googlers» (sono 1.500 i posteggi per bici all’interno del campus). Nel suo caso è anche il simbolo di un programma di lavoro.

Ecologista convinto, da anni Reali lavora nel reparto «sostenibilità» all’interno di Google Travels. Nel 2019 assieme ad alcuni colleghi ha avuto un’idea che, ricorda, «sul momento ci era sembrata semplicissima». Calcolare le emissioni di Co2 degli spostamenti, in particolare dei voli. «Una di quelle idee che vengono chiacchierando alla macchinetta del caffè. I momenti di svago e socialità qui sono da sempre incoraggiati proprio per questo: è così che nascono le innovazioni».

Mi ha chiamato un reclutatore proponendomi un’intervista. All’epoca mi occupavo di programmazione, non c’entrava niente. Ho detto: facciamola, tanto non mi prendete
Patrick Reali

Il sogno californiano

Il progetto è stato incubato a tempo perso, nei momenti «liberi» da Reali e colleghi - Google permette ai dipendenti di dedicare il 20 per cento del tempo a progetti propri - e ora è diventato un’occupazione full-time. Il luganese è a capo di un team di una cinquantina di persone. «Non ci occupiamo solo di questo, ma è senz’altro un progetto importante su cui Google ha deciso di investire risorse. Personalmente, è un po’ un sogno che si avvera. Seguire un’idea, vederla realizzata e potenziarla, per il bene del pianeta. Non potrei essere più contento».

Il sogno californiano di Reali è inziato nel 2005, a 33 anni, dopo il dottorato in informatica all’ETHZ. «Mi ha chiamato un reclutatore proponendomi un’intervista. All’epoca mi occupavo di programmazione, non c’entrava niente. Ho detto: facciamola, tanto non mi prendete». Invece un mese dopo Reali si trasferisce a San Francisco con moglie e figlio appena nato. «Un’esperienza - ricorda - bellissima, una full-immersion di tre mesi per entrare nella filosofia dell’azienda».

Con il passare degli anni Reali si è ritrovato, da veterano, a seguire a sua volta la selezione e la formazione dei nuovi assunti: centinaia di giovani promettenti, provenienti da mezzo mondo e da tutta la Svizzera. Anche dalla Svizzera italiana. «Riceviamo diverse candidature ticinesi, e con il tempo ci sono state anche diverse assunzioni», racconta. «Quando mi è capitato qualche talento promettente, ho sempre cercato di portarlo nel mio settore». Al momento sono una dozzina i ticinesi impiegati da Google a Zurigo in vari campi. Alcuni hanno approfittato della pandemia e per lavorare da remoto a sud delle Alpi, una possibilità che il colosso informatico concede senza problemi a chi ne faccia richiesta. Secondo Reali «il Ticino resta un luogo attrattivo e, in alcuni settori come l’intelligenza artificiale ospita delle aziende d’eccellenza».

Il lavoro più ambito

Il Ticino in questo senso è una meta particolarmente comoda. Anche diversi «googlers» non ticinesi si sarebbero trasferiti nella Svizzera italiana, complice il collegamento super-veloce del Gottardo, per godere del clima mediterraneo assieme ai contratti e ai salari svizzeri. «Sappiamo che è una possibilità che viene colta, ma non possiamo dire esattamente da quante e quali persone in quanto attiene alla sfera privata», spiega l’addetta stampa Pia De Carli. Lontane origini venete, anche lei assicura che l’azienda «è realmente un luogo inclusivo che valorizza le differenze, a cominciare da quelle linguistiche e culturali». Nel campus esiste un «club» di dipendenti italofoni, che si riunisce nel tempo libero. Si organizzano corsi di cucina, di cucito, partite di scacchi. Ma ci sono anche gruppi di dipendenti «latinos», transgender, ecologisti. «Chiunque può proporre attività e organizzare iniziative».

Non a caso il colosso di Mountain View è stabilmente in testa alla classifica dei «migliori luoghi di lavoro» stilata ogni anno dalla rivista Fortune. L’indice di soddisfazione dei collaboratori è del 97 per cento, senz’altro anche per via delle paghe che - secondo i portali specializzati - partono da 144 mila franchi l’anno per uno sviluppatore a Zurigo. I racconti di stagisti entusiasti, con rimborsi spese da 8.600 franchi, sono diventati dei casi sui social network. Ma l’alta visibilità ha anche dei lati negativi. A cominciare dalle accuse di iper-controllo e di «lavorare per il Grande Fratello». Reali ne sa qualcosa. «Essere un dipendente di Google ha delle implicazioni per la gente là fuori. Le persone leggono le notizie sulle inchieste e sulle multe per le violazioni della concorrenza, ad esempio, e si fanno un’idea in base ai titoli. Poi però non vanno a vedere come si concludono i processi, e quali sono le sentenze». Un altro inconveniente sono le richieste di assistenza più basilari. Reali ne riceve di continuo da amici, parenti, ma anche semplici passanti: «Venendo in ufficio oggi mi hanno fermato due persone. Vedono il tesserino e chiedono come mai non gli funziona la mail, o gli si è bloccato Android». Nel raccontarlo l’ingegnere sorride. «Fa parte del gioco». Come i Lego, la palestra d’arrampicata e lo scivolo naturalmente.

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