L’intervista

«Quel comunicato è stato benzina sul fuoco, ma poi ho fatto autocritica»

A «La domenica del Corriere» intervista esclusiva al procuratore generale Andrea Pagani - Lo stato di salute del Ministero pubblico dopo la crisi dello scorso autunno quando il Consiglio della magistratura aveva sfiduciato cinque procuratori pubblici in carica
Lo studio de La domenica del Corriere: Andrea Pagani, Gianni Righinetti e John Robbiani. ©CdT/Chiara Zocchetti
Gianni Righinetti
25.04.2021 20:02

Andrea Pagani, lei è al vertice del Ministero pubblico dal 1. luglio 2018 e ha alle spalle un lungo percorso da procuratore pubblico. Cosa è cambiato nel suo lavoro, ora che è un primus inter pares?

«Non è cambiata la dedizione al lavoro ma in parte l’attività. Oltre a coordinare la squadra continuo a fare l’inquirente puro - l’importanza di questa doppia funzione è indicata in una decisione del 2009 del Consiglio della magistratura – e questo per non perdere il passo nelle inchieste e parlare la stessa lingua con i procuratori. Nel tempo, infatti, la difficoltà delle inchieste stesse e la giurisprudenza sono cambiate e bisogna restare al passo».

Quando venne nominato procuratore generale lei disse che il lavoro in Magistratura era un po’ come quello al pronto soccorso. Una frase ancora attuale?

«Assolutamente sì, noi siamo il primissimo anello subito dopo l’intervento della Polizia cantonale. Quando arriva il paziente - per noi, l’imputato - dobbiamo agire nelle primissime ore per assicurare le prove oppure per applicare dei provvedimenti coercitivi. In un pronto soccorso, come per noi, le prime ore sono determinanti».

C’è chi sostiene che il procuratore generale debba essere più il cervello della macchina che colui che la guida al fronte. È d’accordo?

«Il Ministero pubblico non è composto solo dal cervello del procuratore generale ma anche da quello di 20 procuratori e di tutti i collaboratori. La partita talvolta si gioca come squadra e il pg deve essere un organizzatore senza per questo influire sul singolo procedimento penale».

Quando è lei a decidere se un dossier è di sua competenza e non di un altro procuratore?

«Quando ci troviamo di fronte al cosiddetto caso di natura istituzionale. Ossia un evento particolare che tocca gli organi della politica, oppure quando sono messe sotto inchiesta personalità pubbliche oppure ancora quando ci sono di mezzo procedimenti penali nei confronti di agenti di polizia. Abbiamo visto che tali procedimenti finiscono nel 95% dei casi con un abbandono. Avendo la figura del pg che lo decreta significa dal profilo dell’immagine che quel poliziotto non ha commesso un reato e nessuno può metterlo in discussione. Dal 2018 riceviamo due/tre denunce al mese che riguardano l’agire degli agenti di polizia. Preciso che non siamo preoccupati dall’operato delle forze dell’ordine, che nella stragrande maggioranza dei casi lavorano bene, ma piuttosto dagli umori dei singoli e da una crescente insofferenza verso gli agenti nonché da una frequente assenza di autocritica».

Se c’è un capo, un allenatore, è giusto che abbia le spalle sufficientemente larghe per proteggere i propri giocatori

L’agente o il personaggio pubblico giudicato dal pg e il cittadino comune da un magistrato: due pesi e due misure?

«No, è per una questione di tutela dei procuratori pubblici stessi affinché non siano strumentalizzati in contesti sensibili. Se c’è un capo, un allenatore, è giusto che abbia le spalle sufficientemente larghe per proteggere i propri giocatori».

Come sono, invece, i rapporti con i colleghi dopo la crisi dello scorso autunno e i preavvisi da parte del Consiglio della magistratura nei confronti di cinque magistrati? Questa crisi è stata superata?

«Sono stati mesi complicati sotto il profilo dei rapporti interpersonali fra alcuni colleghi e tra il procuratore generale stesso e alcuni colleghi. Questo perché sul tema del rinnovo è forse mancato un dialogo franco e schietto all’interno delle mura di Palazzo di giustizia. Fare ciò sarebbe stato comunque molto delicato internamente. Questo perché erano in corso anche delle discussioni all’interno della politica cantonale e sono state avviate procedure ricorsuali non ancora concluse. È però importante ribadire che i rapporti tra il pg e i magistrati sono sempre stati tesi a far funzionare l’ufficio e a portare avanti le inchieste. Non era scontato e anche chi si è visto confrontato con un preavviso negativo ha continuato a lavorare con impegno e di questo li ringrazio. Qui è emersa la serietà e la dedizione al lavoro di tutti».

In quei mesi concitati lei era sottoposto a una forte pressione mediatica e in un certo senso aveva detto di condividere i giudizi dell’organo di vigilanza. Oggi, a posteriori, rifarebbe quelle dichiarazioni?

«Il concetto di autocritica che ho evocato prima l’ho applicato anche alla mia persona. Durante un plenum del Ministero pubblico convocato il 10 marzo con il nullaosta del Medico cantonale (per le questioni di sicurezza sanitaria) e al quale hanno partecipato tutti i procuratori, io ho fatto autocritica. In un contesto di enormi pressioni dei media, quel comunicato stampa, ragionandoci oggi, non avrei davvero dovuto farlo perché ha rigettato inutilmente altra benzina sul fuoco creando ulteriori pressioni. L’importante è ora guardare avanti perché ai cittadini interessa il futuro del Ministero pubblico e non il passato».

Ventun magistrati e nessuna fuga di notizie, una bella prova di lealtà per lei. Non era scontato.

«Non può che farmi piacere, vuole dire che in qualche modo ci si è resi conto che mettere in piazza quello che succede nelle dinamiche interne può portare nocumento all’immagine del Ministero pubblico».

Normalmente quando la squadra ha un subbuglio a pagare è l’allenatore

È rimasto sorpreso dalla decisione del Gran Consiglio di riconfermare anche i magistrati messi all’indice dal Consiglio della magistratura?

«No, quando si è arrivati al voto già si intuiva quale sarebbe stato l’esito. Nei mesi precedenti regnava invece incertezza. Mi ha sorpreso piuttosto il risultato dell’allenatore della squadra: con 57 voti (vale a dire il 72% del Parlamento). Normalmente quando la squadra ha un subbuglio a pagare è l’allenatore».

Da quando è procuratore generale sono stati riallacciati i rapporti con la politica, che da conflittuali sono divenuti costruttivi. Il Gran Consiglio ha approvato l’attribuzione al Ministero pubblico di due Procuratori pubblici aggiuntivi. Una sua vittoria?

«Sì, ma molto è dipeso anche dalla svolta del 12 settembre 2018, quando mi sono seduto con i miei sostituti pg al tavolo del Governo. È stato possibile motivare e documentare la situazione in cui si trovava il Ministero pubblico dal profilo del carico di lavoro e delle risorse. I tempi della politica sono però molto lunghi e nemmeno sono stati pubblicati i concorsi. A mio modo di vedere, è ora che dopo questo aumento dell’organico, si possa discutere anche della figura del sostituto procuratore pubblico. È un tema grande e complesso e sono sempre convinto che sia meritevole di approfondimento».

La designazione dei pp è in mano al Gran Consiglio e i magistrati sono in balia degli umori del Parlamento e delle forze politiche. È un meccanismo perverso oppure dobbiamo tenercelo perché a conti fatti è il meno peggio o addirittura il migliore?

«È uno dei sistemi di nomina dei magistrati e non vale solo per il Ministero pubblico. È un modello cha vale anche a livello federale, dove nel bando di concorso ci sono le percentuali assegnate a questo o quel partito. È evidente che il momento dell’elezione non lo si vive benissimo. È inutile nascondersi dietro un dito: in Ticino bisogna vestire una casacca d’area se no, salvo rarissime eccezioni, non si riesce a essere nominati procuratori pubblici. Se proprio vogliamo tenere distante il potere Legislativo ed Esecutivo dal potere Giudiziario bisogna pensare a come mettere mano al dossier della nomina dei magistrati. Io una mia soluzione l’avrei».

Quale sarebbe?

«In Ticino non siamo ancora pronti a tenere totalmente distante la politica dalle nomine. Il Gran Consiglio dovrebbe nominare la direzione del Ministero pubblico. Ossia il procuratore generale e i suoi sostituti procuratori, a capo di un determinato settore. In seconda battuta, su pubblico bando di concorso, la nomina dei magistrati spetterebbe a una commissione di esperti composta da rappresentanti del Ministero pubblico stesso e del Consiglio della magistratura. Ci sarebbe così una decisone dinamica che guarda ai potenziali meriti dei candidati. Secondo me sarebbe un bel passo avanti».

Adesso, però, a soffiare è il vento della nomina popolare dei magistrati. La Lega lo dice e da tempo, e ora il PPD ha strizzato l’occhio a questa proposta. Cosa ne pensa?

«Questa volta mi esprimo, e non è nella mia indole, con un aggettivo forte: la nomina popolare di un magistrato, a mio modo di vedere, è assurda. Non ci sarà mai un candidato che sarà eletto se dietro le quinte non ha una forza politica. L’avere un candidato magistrato che deve fare campagna elettorale, addirittura organizzando aperitivi, è svilente».

Terminiamo con un tema particolarmente spinoso, la pubblicazione dei nomi. Spesso riceviamo lamentele da lettori che rimproverano la non pubblicazione di quel nome piuttosto di quell’altro. C’è la questione del personaggio pubblico che ci permetterebbe di farlo ma è difficile stabilire chi lo è. Non si può arrivarne a una?

«La regola c’è già nel Codice procedura penale. Personalmente sono un fautore del segreto istruttorio ma fino a un certo momento dell’inchiesta, ovvero quando la pubblicazione dell’eventuale nome non è più di nocumento per nessuno. Speso ci troviamo in determinate situazioni in cui l’inchiesta è stata inquinata perché un nome è uscito sui media. Rendiamoci conto che per un imputato, qualunque cosa abbia fatto o commesso, subire un procedimento penale è un momento molto forte della propria vita. Questo vale anche per la vittima e spesso la pubblicazione sui media può consentire l’identificazione del danneggiato se non addirittura della vittima stessa e questo non deve accadere».