L'intervista

«A Maradona chiesi: ti manca l'Argentina?»

Darwin Pastorin raccoglie i ricordi di una carriera da giornalista sportivo - da Gigi Riva al Pibe de Oro – «Mi rispose che gli bastava il mare di Napoli»
Mauro Spignesi
23.06.2024 18:10

C'è il calcio giocato, quello delle cronache che in questi giorni ci restituiscono con le parole le gare di Euro 2024, e poi c’è il calcio delle storie, di vite perse dietro un successo arrivato in fretta, di calciatori che hanno lasciato il segno, di tifosi che si portano dietro una partita, un lampo, un ricordo che li ha segnati per tutta la vita. Darwin Pastorin mette insieme questo puzzle ricamando magicamente racconti che ogni volta stupiscono. Come nell’ultimo, anche se ultimo non è, libro che ha pubblicato: «Avenida del sol» (Garrincha edizioni). Una carrellata di «bozzetti» usciti quindici anni fa per Mondadori, che ora tornano in libreria. È un viaggio originalissimo attorno al Sudamerica. «È un omaggio - racconta Pastorin a La Domenica - a quei luoghi, a dove sono nato e che rievoco raccontando persone che ho conosciuto o altre di cui ho sentito parlare. Metto insieme episodi e momenti della mia carriera. Ad esempio, e lo racconto nel libro, credo di essere stato l’unico - nel 1987 in un torneo per veterani - a vedere Pelé sbagliare tre rigori, mandare al diavolo tutti, uscire dal campo, salire sulla sua Mercedes bianca targata Santos 1000 e andare via. E dire che la prima volta che ho visto Pelé è stato ad Amsterdam per un’amichevole della nazionale verdeoro. Gli avevo chiesto un autografo che ho accanto a quello di Gigi Riva, un amico che mi manca molto».

L’emozione pagina dopo pagina

Se qualcuno ha ancora voglia di emozionarsi davanti ai racconti del pallone non può non leggere Darwin Pastorin. Fa parte di quella schiera (ormai purtroppo rara) di cronisti che hanno spostato il calcio su altri terreni, dove un semplice gioco s’intrecci a letteratura, politica e storia, facendo emergere innanzitutto l’estetica e la bellezza, dribbling e pressing, oltre la tecnica e il risultato in campo, ammirando giocate imprevedibili e inimmaginabili. Gente come Gianni Brera, Gianni Mura, Giovanni Arpino, Galeano, Valdano, Gianni Minà e Beppe Viola. Da Spagna 1982 in poi Pastorin ha scritto dei mondiali, da inviato sui campi o da cronista ormai fuori dalle redazioni. E ora segue, «con un certo distacco e disincanto» Euro 2024. «Ho però visto - racconta - la Svizzera che progressivamente, anno dopo anno, sta crescendo».

Pastorin, tifoso da sempre del Palmeiras, è nato a San Paolo in Rua Nossa Senhora de Lourdes, quartiere Cambuci, il 18 settembre del 1955, il giorno in cui Mané Garrincha esordiva con la maglia verdeoro. E a lui, all’angelo dalle gambe storte come lo definì Vinicius de Moraes, ha dedicato pagine indimenticabili in «Ode per Mané» (Limina edizioni). La sua perfezione nasceva dall’imperfezione e per Pastorin il suo dribbling è l’antitesi del dribbling, in quel rapido gesto - la finta sulla sinistra e il lampo sulla destra con la gamba più corta per la poliomielite che lo aveva colpito da piccolo - si nasconde il mistero del calcio. Perché proprio nella ripetizione del movimento stava il «trucco», in quella danza sgarbata dove gli avversari pensavano sempre che cambiasse passo. E invece no. La mossa era sempre identica a sé stessa.

La famiglia emigra in Brasile

Pastorin ha lavorato al Guerin Sportivo, è stato vicedirettore di Tuttosport, direttore di Tele+, di Stream e dei programmi sportivi di Sky e La7 Sport. Ma soprattutto Pastorin è uno scrittore, ammirato anche da Eduardo Galeano: «Leggo le sue cronache come si ascolta una messa». I suoi emigrarono da Verona nel 1951 e quando lui aveva sei anni la famiglia tornò in Italia, l’altro pezzo è rimasto in Sudamerica, o è sparso per il mondo («Zia Irma, unica sorella di mio nonno Giovanni, era nata in Svizzera»). In Brasile Pastorin ha lasciato l’infanzia, il cavallino di legno che gli costruì il padre, l’odore di bucato, il cane Nerone e tanti amici. Non per nulla in «Avenida del sol», si parte dal Brasile. «Dalla storia appunto - spiega - della mia famiglia. Dall’incontro immaginario con mio nonno Giovanni, da Salvador «la città più bella e misteriosa». C’è la storia di Wagner, attaccante di riserva della Ponte Preta di Campinas al quale un improbabile agente propone di andare in un paese che inizia con la I e in una città che inizia con la R. E lui, pensando di andare in Italia a giocare a Roma, sale su un aereo e si ritrova in Islanda a giocare a Reykjavik». E poi, «c’è la storia del più grande brasiliano: non Pelé, ma Leonidas Da Silva, il Diamante nero, che inventò la rovesciata spalle alla porta e che ho conosciuto pochi giorni prima che ci lasciasse, nel gennaio 2004. È morto senza ricordare, senza parole. Gli avevo detto quello che lui aveva significato per noi brasiliani, per i nostri padri e i nostri nonni». C’è poi, allargando la geografia, «Miguel Ortiz, il terzino del Che e il Cile di Julio che recita Pablo Neruda e racconta la storia del Maratoneta di Allende».

L’Argentina e il Napoli di Diego

Poi c’è l’Argentina di Diego. Pastorin ha amato immensamente Maradona che ha raccontato in tutte le sue sfaccettature. «Io ero sull’aereo che a 24 anni lo portò da Barcellona a Napoli nel suo viaggio verso la felicità, nella sua nuova Buenos Aires. Giovedì 5 luglio 1984 si presentò in quello che sarebbe diventato il suo stadio. Quando poi lo intervistai gli chiesi se gli mancava l’Argentina. Lui mi sorprese con poche parole: mi basterà spalancare la finestra e guardare il mare di Napoli». E qui cominciò la sua cavalcata, finita troppo presto perché come disse Samuel Beckett «non c’è partita di ritorno tra l’uomo e il suo destino». Restano i ricordi. E i racconti, come quelli di un altro grande argentino (e amico di Pastorin) Osvaldo Soriano. O di Hans-Jørgen Nielsen, scrittore (autore de «L’angelo calciatore») che, come il suo collega argentino, è scomparso troppo presto, e che scrisse che esistono tre tipi di calciatori. Quelli che vedono gli spazi liberi, gli stessi che il tifoso vede dalle tribune; quelli che vedono spazi nascosti ma si potrebbero intuire osservandoli attentamente; quelli che «creano uno spazio dove non avrebbe dovuto esserci alcuno spazio. Sono i poeti del gioco». Come Diego.

«Avenida del sol» è stato pubblicato da una piccola casa editrice che è una bella realtà in Italia. Si chiama, guarda caso, «Garrincha Edizioni» ed è stata creata da Rosario Esposito La Rossa, scrittore e libraio appassionato, e Giovanni Salomone, direttore editoriale. Esposito è di Scampia, il quartiere di Napoli dove in mezzo a uno storico disagio nascono sempre più spesso iniziative che alimentano la speranza, come questa casa editrice (lo slogan è: «Dove prima si vendeva la droga, oggi si spacciano libri») che parla di calcio come pretesto di infinite storie e ha tre collane: Figurine, Scudetti, Rabone.

Ps: Pastorin alla fine del libro elenca la sua formazione del cuore, facendo una selezione tra i campioni che ha conosciuto o soltanto amato. L’attacco è formato da Manè Garrincha ala destra, Gigi Riva ala sinistra, Pietro Anastasi centravanti e dietro le punte a dare fantasia Diego Maradona. Naturalmente sarebbe un attacco fuorilegge, da venti gol a partita. Non avrebbe avversari. E ucciderebbe il gioco del calcio. Ma chissà, lassù, come si staranno divertendo quei quattro.

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