L'intervista

«Acquistare all'estero è un modo per fare pressione»

Stefan Meierhans interviene sulla questione «spinosa» dei sovrapprezzi applicati in Svizzera dalle aziende elvetiche
Andrea Stern
Andrea Stern
30.03.2025 06:00

Il consumatore deve valutare bene le offerte prima di fare un acquisto, osserva il sorvegliante dei prezzi Stefan Meierhans.

Signor Meierhans, perché alcuni produttori svizzeri applicano tali sovrapprezzi ai consumatori svizzeri?
«La risposta è ovvia: perché qui possono vendere i loro prodotti a un prezzo più alto. La massimizzazione del profitto da parte delle aziende non è illegittima. E finché il commercio non sarà completamente libero, le aziende beneficeranno del fatto che i clienti svizzeri sono disposti a pagare prezzi più alti».

Come si può evitare di pagare 210 franchi scarpe che altrove ne costano 124?
«Il divieto di geo-blocking ha reso possibile agli svizzeri acquistare all’estero a condizioni estere. Chi lo desidera può ordinare la merce all’estero e farsela consegnare da un servizio di spedizione, se non esiste un’alternativa ragionevole in Svizzera. Questo aumenta la pressione sui fornitori affinché adeguino loro stessi i prezzi nel nostro Paese».

Esistono soluzioni politiche per evitare che le aziende spennino gli svizzeri solo perché hanno un potere d’acquisto più alto?
«Indirettamente sì. L’iniziativa per prezzi equi, presentata nel 2017, ha permesso di introdurre nella legge il concetto di «potere di mercato relativo». Oggi si ritiene che un’azienda abbia un potere di mercato relativo se altre aziende dipendono da essa per l’offerta o la domanda di un prodotto o di un servizio e non dispongono di sufficienti e ragionevoli opzioni alternative. Finora però sono stati denunciati solo pochi casi, l’ultimo dei quali da parte di Migros nei confronti di Beiersdorf (Nivea)».

C’è la volontà politica di lottare contro l’isola dei prezzi elevati?
«Il divieto del geo-blocking e l’applicazione dell’iniziativa per prezzi equi sono passi in questa direzione, anche se nel secondo caso bisogna ancora vedere se le nuove norme saranno incisive a sufficienza. Non c’è invece la volontà politica di attuare il raddoppio della franchigia nella legge doganale. Anzi, oggi la tendenza è in direzione opposta».

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