«Alle mie figlie lascerò pochissimi libri»
Pochi libri. Solo quelli per cui prova affetto. A differenza di quello che si potrebbe pensare Stefano Vassere, direttore delle Biblioteche cantonali e del Sistema bibliotecario ticinese, nonché docente di Teoria dei linguaggi alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Milano, a casa sua non ha una fila sterminata di libri. Come forse ci si aspetterebbe da chi dirige le Biblioteche cantonali di Mendrisio, Lugano, Bellinzona e Locarno. Ma solo una «stretta libreria che arriva fino al soffitto». Pochi titoli selezionati, dunque. E questo per uno scopo. «Quando io non ci sarò più e le mie figlie dovranno occuparsi di questa cosa non sarà difficile per loro smaltire la mia piccola libreria». Anche se... anche se in realtà Vassere, luganese, 62 anni, può contare comunque su un serbatoio quasi sconfinato. Perché solo a Lugano la biblioteca ha qualche centinaia di migliaia di volumi. Ecco perché alla domanda su quanti libri abbia risponde tranquillamente «a casa pochi, sono tutti qua in biblioteca».
La linguistica e l’amore per le figlie
Fedele al suo ruolo fino in fondo, dunque. Anche se a dirigere il sistema cantonale è stato chiamato «solo» nel 2016, dopo una vita professionale passata all’Archivio di Stato. Ma i libri, o meglio le lettere e la lingua, Vassere le ha sempre avute dentro. Nel sangue, come si dice. Se è vero come è vero che ha sempre letto, «fino dall’adolescenza, anche se in modo affannoso e disordinato» e all’università a Zurigo ha studiato Linguistica. Una disciplina che lo affascina ancora molto a giudicare dai saggi che ha sulla scrivania del suo ufficio e dall’essere contemporaneamente professore di Linguistica a Milano, «una città che mi piace molto», confessa.
E a proposito di cosa gli piaccia fare nella vita, oltre ai mestieri che porta avanti, Vassere spiazza un’altra volta. O forse no. «Mi piace occuparmi delle mie tre figlie - riprende -. La più grande ha 30 anni, lavora nel sociale e le piace molto anche la ricerca nelle scienze sociali e politiche. Quella di mezzo insegna francese in una scuola media e detto tra noi, vorrebbe insegnare anche inglese, mentre la più piccola fa il liceo. Tre figlie speciali e molto «marcate», perché anche se forse non sono d’accordo che lo dica, la prima è un'attivista LGBT, la seconda è appunto una docente e la terza è africana».
Il direttore delle Biblioteche cantonali spiazza, questa volta davvero, quando parla di libri che compra per sé e li trova brutti o quantomeno che non gli vanno a genio. «Lo so che è sacrilego ma io quando mi rendo conto che un libro non mi piace non lo lascio da parte, ma lo butto nel cestino. Non ho paura di farlo. Vola nella spazzatura, semplicemente. Inoltre, c’è una sorta di patto. Quando nella mia libreria arriva un libro nuovo, un altro deve fargli spazio...». E però si sbaglia chi pensa che dietro a questo comportamento non ci sia amore per i libri. Tutt’altro. Forse proprio perché ce n’è molto che Vassere agisce come agisce. Come se per essere tale un libro dovesse avere le giuste carte in regola. Se non le ha, non è un vero libro. E quindi finisce nella pattumiera come un oggetto qualsiasi. A testimoniare l’ardore per volumi e testi rilegati c’è anche l’attrazione che Vassere ha per i supporti e i materiali con i quali vengono prodotti i libri.
I libri che parlano di libri
Ecco allora che l’attenzione si concentra non soltanto sui testi, ma anche sui caratteri di stampa, sulle rilegature, sulla copertina e sulle sovracopertine e in generale sulla grafica delle pubblicazioni. Perché un libro non è soltanto testo, appunto. Ma un prodotto che porta con sé anche tutta una serie di scelte, tecniche e lavorazioni. Ma non è tutto. «A interessarmi molto sono anche i libri dedicati ai libri, sia nella narrativa, come il Don Chisciotte, sia nella saggistica, oltre che le storie che parlano delle case editrici e delle tecniche del libro». Una passione a tutto tondo, quindi. Che non a caso sfocia anche negli innumerevoli eventi organizzati ogni anno dalle Biblioteche cantonali. Conferenze, presentazioni, ma anche mostre dedicate, appunto, alle case editrici. Come quella dell’anno scorso sulla «Henry Beyle!» di Milano, casa editrice che presta una cura particolare alla confezione del libro, dalla scelta della carta alla grafica, dall’impaginazione alla selezione di immagini e iconografie.
Perché una biblioteca non è solo un luogo dove prendere in prestito libri, ma anche e soprattutto un luogo di scoperta e aggregazione. «Noi - sottolinea Vassere - coltiviamo l’idea che la biblioteca è il luogo più pubblico più aperto e accogliente di tutti. Questo perché tutti possono venire in biblioteca. Anche senza per forza prendere un libro. Nessuno in biblioteca va a chiedere a un visitatore cosa sta facendo». Un luogo aperto, accogliente, ma anche foriero di stimoli culturali. Tutto questo con un carattere preciso.
Perché le sedi sono quattro e ognuna ha una sua identità un po’ più marcata. «Al di là della letteratura che fa da sfondo a tutte le sedi, a Bellinzona organizziamo eventi e temi soprattutto legati al diritto, alle scienze sociali e all'economia. Locarno ha prima di tutto la musica, la filosofia e il cinema come specializzazioni, sia per gli acquisti che per le attività culturali. Mendrisio approfitta del miracolo della Filanda, un centro con funzioni più ampie rispetto a una biblioteca, anche se i nostri libri e le nostre attività culturali danno comunque quel qualcosa in più». E poi c’è Lugano che attira sempre un buon pubblico fedele. Che non indugia a partecipare quasi a ogni evento. Perché si fida. Sa che vengono organizzati sempre eventi di qualità. Al di là del tema. «Spesso superiamo le 100 persone, per cui puntiamo molto anche sull’effetto consuetudine. Capita ad esempio di fare anche due eventi a settimana. Ma anche nelle altre sedi c’è sempre qualcosa, d’estate quasi ogni sera».
Il mestiere di bibliotecario
Tanto successo si ripercuote o si conferma anche nel numero dei prestiti. Che, nonostante la carta e i libri siano in difficoltà, continuano a essere su buoni livelli senza mai cedere il passo. Ecco perché anche lavorare in biblioteca significa avere ottime prospettive lavorative. Detto altrimenti, un futuro. «Una persona che oggi finisce la formazione di bibliotecario - specifica Vassere - ha buone opportunità di essere assunta. Perché, non dimentichiamolo, anche le trentacinque scuole medie cantonali hanno una biblioteca. Inoltre, la professione si è molto diversificata e permette a ognuno di portare avanti le proprie aspirazioni. C’è ad esempio chi è più portato per le acquisizioni, per gli acquisti e i rapporti con le librerie. Ad alcuni piace molto il banco prestiti, quindi il contatto con l’utenza, mentre altri sono più portati per l’organizzazione delle attività culturali. Senza dimenticare i catalogatori, professionisti a cui piace appunto la tecnica di catalogazione».