Le istituzioni

Anche i musei diventano sostenibili

In un’epoca in cui la crisi ecologica non può limitarsi ad un dibattito unicamente in campo scientifico bisogna avviare una profonda trasformazione culturale
Persone che guardano le proiezioni delle immagini delle collezioni Photo Elysee «Guarda il ghiacciaio in piena fioritura». (KEYSTONE/Jean-Christophe Bott)
Carole Haensler
16.02.2025 06:00

Nel suo saggio Rinunciare alla natura?, pubblicato nel catalogo Icone vegetali. Arte e botanica nel secolo XXI (Bellinzona, Edizioni Sottoscala / Museo Villa dei Cedri, 2022), il filosofo franco-svizzero Dominique Bourg pone la domanda che anima la problematica ecologica del XXI secolo, in questi termini: «È oggi necessario rinunciare ad ogni forma di distanza, ad ogni forma di dualismo inerente all’uomo e alla natura per rifondere il nostro rapporto alla «natura»?» Partendo dalla concezione greca che distingue, da un lato, la physis, ovvero la forza natura e i suoi modi di produzione e, dall’altro, gli esseri umani e le loro tecniche, Bourg considera che non vi è di fatto alcuna opposizione assoluta tra esseri umani e natura. Al contrario, gli uomini sono parte integrante e originale della physis, distinguendosi da essa solo al suo interno, in particolare per le loro conoscenze e applicazioni tecniche, considerate come un’estensione dei modi di produzione naturali. La parola chiave è quindi «produzione» ed è anche la questione della produzione dei beni che sta al cuore del dibattito odierno. In ambito artistico, sono specificatamente i modi di produzione delle opere e il loro impatto sull’ambiente che sono considerati dagli artisti, come gli svizzeri Mirko Baselgia, Monica Ursina Jäger, il duo Hemauer/Keller e Uriel Orlow per citarne solo alcuni, oppure, tra le grandi figure internazionali, Marguerite Humeau, Otobong Nkanga o Tomas Saraceno, per esempio. Le loro opere e installazioni si conformano con la natura e i suoi sistemi, mentre i loro esperimenti vertono sui materiali e la loro sostenibilità.

Una pratica rispettosa della natura

Per usare una parola usata purtroppo in modo estensivo dalla recente pandemia di Covid-19, si tratta di una forma di resilienza che si manifesta con il ripristino di un equilibrio e di una stabilità ad oggi degradati. Lontani dal gigantismo del Land Art e dalle grandi dimostrazioni degli attivisti, l’azione degli artisti contemporanei passa attraverso una pratica rispettosa della natura, di cui assimilano le leggi, le modalità e i tempi. A questo proposito, nel catalogo della mostra Underground. Ecosistemi da esplorare (Bellinzona, Edizioni Sottoscala / Museo Villa dei Cedri, 2024), Joana Neves parla di «attivismo lento». Gli artisti di oggi cercano infatti di trascriverne l’energia, di esplorare il suo volto nascosto osservandone i sistemi interattivi e collaborativi, e di mettere al centro delle loro pratiche artistiche delle ricerche che tengano conto del sistema olistico di cui fa parte l’umanità. Flora, fauna, minerali non sono più ambienti, organismi e territori da sfruttare, ma con cui dialogare in un rapporto «dare-avere», da cui prendere in prestito e a cui restituire (seguendo il pensiero dell’iconico libro di Robin Wall Kimmerer, Braiding Sweetgrass, Minneapolis, Milkweek Editions, 2013).

Per certi versi, l’approccio di questi artisti contemporanei ricorda il modus operandi degli espressionisti di inizio XX secolo, che cercavano di riconnettersi con una certa interiorità, con l’esistenza e il vissuto, riallacciandosi anche al pubblico. Al contrario, la Land Art si praticava principalmente lontana da possibili sguardi esterni e, a testimonianza delle opere realizzate, rimanevano solamente fotografie o documenti. Oggigiorno, la situazione sembra essere capovolta: gli artisti includono piante e vegetali nelle loro installazioni portandole all’interno delle sale museali, mentre i visitatori si recano nei boschi o sui ghiacciai per visionare opere site specific, sovvertendo così il tradizionale rapporto tra arte e natura.

Un mondo sempre più complesso

Gli artisti del XXI secolo si posizionano chiaramente in relazione, e in parte in reazione, a una società dominata dalla superficialità, che tende a semplificare un mondo sempre più complesso. È difficile avere una visione d’insieme e dunque capire le conseguenze di ogni misura, provvedimento o intervento nei mercati finanziari, in agro-economia o nello sviluppo urbanistico. Viviamo in un mondo che ci sfugge, o meglio, per un attimo abbiamo avuto l’impressione che potessimo controllare l’ambiente che ci circonda, ma ci è sempre sfuggito. In questo contesto, l’arte quale forma di ecologia, ovvero lo «studio delle interrelazioni che intercorrono fra gli organismi e l’ambiente che li ospita» (Enciclopedia Treccani), stabilisce un ponte tra la società e i visitatori, i luoghi e le istituzioni. Come evidenziato dalle curatrici della mostra inaugurale del nuovo Kunsthaus di Zurigo, «Art is a mirror of our society, but it can also speak to our mental states, fears, hopes and visions, as is clear in the case of sensitive issues [L’arte è uno specchio della nostra società, ma può anche parlare dei nostri stati mentali, delle nostre paure, delle nostre speranze e delle nostre visioni, come è evidente nel caso di temi sensibili]». (Sandra Gianfreda, Cathérine Hug, Earth Beats, Kunsthaus Zurich, 2021). Non solo gli artisti, anche i musei sono parte integrante di questo ecosistema che considera il mondo di oggi e il suo futuro. Nel 2022, ICOM - International Council of Museums ha elaborato una nuova definizione di museo che è stata stabilita a livello mondiale e qui riprodotta nella sua integralità: «Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che compie ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio culturale, materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità.

Un modo diverso di pensare il pianeta

Operano e comunicano in modo etico e professionale e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze». La sostenibilità è una questione di trasformazione radicale del nostro modo di pensare e di agire che concerne tutti i Paesi del pianeta, ricchi o poveri, e che influisce su fattori sociali, economici, tecnologici così come sugli standard di vita delle popolazioni. Il museo è un attore di questo cambiamento. Ne testimoniano le numerose mostre, biennali e iniziative degli ultimi anni in Svizzera e nel mondo in generale, come il recente progetto Regarder le glacier s’en aller (2024), una mostra diffusa e promossa da Bernard Fibicher, già direttore del Musée des beaux-arts di Losanna, che presenta similitudini con l’odierna prima edizione del festival L’Uomo e il Clima. Realizzata in spazi espositivi e all’aperto, il progetto ha visto coinvolti teatri, musei d’arte, di storia, di storia naturale, e i ghiacciai stessi, da Ginevra ai Grigioni, dal Vallese a Zurigo. L’iniziativa verteva attorno alla capacità dell’arte di raccontare la verità senza allarmismi, per avvicinarsi ad essa senza disperarsi e per affrontarla in modo da immaginare futuri possibili.

Tutti devono essere coinvolti

In un’epoca in cui la crisi ecologica non può più limitarsi ad un dibattito di pensiero o al solo campo scientifico - ma si tramuta in preoccupazione economica, sanitaria e politica su scala mondiale -, questa problematica diventa anche un interrogativo culturale. Così, proprio l’arte, gli artisti e le istituzioni, ma anche i visitatori e l’intero ecosistema dell’arte e della cultura, sono direttamente coinvolti in questa possibile trasformazione.

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