L'intervento

Anche il Consiglio degli Stati riconosca il genocidio armeno

Oggi si celebra il 107. anniversario della drammatica ricorrenza
Sarkis Shahinian
24.04.2022 15:22

Più di un secolo fa, l’Impero ottomano metteva in atto su grande scala uno dei crimini più sanguinosi che l’umanità avesse mai conosciuto: il genocidio degli armeni. Anni dopo, il giurista Raphaël Lemkin si baserà su questo crimine per redigere la Convenzione dell’ONU del 9 dicembre 1948 per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio. Il Consiglio nazionale ha riconosciuto questo genocidio in modo inequivocabile il 16 dicembre 2003. È ormai maturo il momento perché anche il Consiglio degli Stati faccia altrettanto.

È necessario che il Consiglio degli Stati riconosca anch’esso il genocidio degli armeni, sottolineando così i valori democratici cui la nostra Confederazione fa riferimento. Si potrà così esprimere l’impegno incondizionato della Svizzera per i diritti umani e, in particolare, per i principi della Convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, cui la Svizzera aderisce.

Durante la Prima guerra mondiale, questo sterminio portò all’uccisione di quasi un milione e mezzo di armeni nella loro terra natale. Questo crimine di massa iniziò nel 1915 contemporaneamente in tutte le regioni dell’impero e giunse alla sua seconda fase nel 1916, dopo che i sopravvissuti furono dapprima deportati nel campo di concentramento di Aleppo, in Siria, e quindi nei campi di sterminio di Raqqa, Meskené e Deïr-es-Zor per essere definitivamente annientati. Tali fatti, indiscutibili nella loro importanza e portata, servirono esplicitamente da riferimento a Raphaël Lemkin, il giurista internazionale che definì la nozione di genocidio nella Convenzione delle Nazioni Unite del 1948. La distruzione degli armeni venne pertanto assunta come paradigma per definire le modalità di distruzione intenzionale di un gruppo di persone riconosciuto come tale per la sua appartenenza etnica o cultural-religiosa.

Alla fine della sua esistenza, l’Impero ottomano riservò la stessa modalità di sterminio utilizzata contro gli armeni ad altri gruppi etno-religiosi, come i greci del Ponto e gli assiro-caldei. Durante la Seconda guerra mondiale, il regime nazionalsocialista applicò questo metodo di distruzione massa agli ebrei e agli zingari che vivevano nel territori conquistati dal Terzo Reich. Questo crimine è riemerso più tardi nell’ex Jugoslavia e in Ruanda, da cui la necessità di istituire la Corte internazionale di giustizia, alla quale la Svizzera ha aderito nel 2000 (cfr. Messaggio 00.090 che cita il crimine commesso contro gli armeni come esempio di genocidio). Questo riconoscimento fa quindi parte della necessaria condanna di tutti gli altri crimini contro l’umanità che hanno seguito lo sterminio degli armeni e seguirà quanto molti Governi e Parlamenti hanno fatto recentemente a livello internazionale. Si ricordi qui la dichiarazione solenne del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, nel suo discorso del 24 aprile 2021, che ha seguito le dischiarazioni ufficiali del Bundestag tedesco del 2 giugno 2016 e quelli della Camera dei Rappresentanti e del Senato degli Stati Uniti alla fine del 2019.

Con questo riconoscimento, il nostro Senato contribuirà all’instaurazione di una pace duratura tra i popoli turco e armeno, che può essere stabilita solo sulla base della verità. Nel XX secolo, al genocidio degli armeni non è stato riservato un posto nella memoria universale per ragioni diplomatiche obiettivamente opportuniste, senza dimenticare le manipolazioni storiografiche, fino ad oggi applicate da fonti negazioniste anche su suolo elvetico. Questa constatazione porta a chiedere al Consiglio Federale di fare chiarezza nel nostro Paese, istituendo una commissione per studiare sistematicamente le reazioni e la solidarietà della Svizzera nei confronti degli armeni a livello sociale e istituzionale, così come le ragioni che hanno impedito che questo genocidio fosse riconosciuto e trattato in modo adeguato, ottenendo il suo posto nella nostra memoria e coscienza collettiva.