Fatti di solduno

Ancora una volta è stato infranto un divieto di avvicinamento, «ma non esistono soluzioni migliori»

L’avvocato del 22.enne che giovedì sera ha sparato all’ex fidanzata parla di «ragazzo psichicamente instabile» e «perizia psichiatrica» – Abbiamo parlato con Daniele Jörg, presidente dell’associazione Consultorio delle donne, e con Jessica Ochs, criminologa e docente universitario
© Rescue Media
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
24.10.2021 07:35

Fortunatamente non sarà stato l’ennesimo femminicidio, bensì «solo» l’ennesimo tentato femminicidio. Ieri, sabato, i medici dell’Ospedale Civico di Lugano hanno dichiarato fuori pericolo di morte la 22.enne locarnese ferita giovedì sera da un colpo di fucile sparato dal suo ex fidanzato. La giovane resta ricoverata con gravi ferite all’addome, ma i medici assicurano che sopravviverà. Forse, ma solo forse, può aver contribuito ad attutire il colpo il fatto che prima di raggiungere la vittima, da dietro, il proiettile abbia infranto una porta di vetro della palazzina in via Vallemaggia. Una porta secondaria dalla quale la ragazza contava di uscire per scampare alla furia cieca del suo ex fidanzato, un 20.enne di nazionalità svizzera residente nel canton San Gallo. Saranno ora gli inquirenti guidati dal procuratore pubblico Roberto Ruggeri a dover ricostruire l’esatta dinamica dei fatti. E a dover capire cosa può aver spinto l’ex fidanzato a imbracciare un fucile di grosso calibro per cercare di risolvere quella che ai suoi occhi era una situazione insostenibile.

«Ragazzo psichicamente instabile»
«Ci sarebbero molte considerazioni da fare - afferma l’avvocato Fabio Bacchetta Cattori, difensore d’ufficio del 20.enne -. Ma in questo momento e in questa veste posso solo limitarmi a dire che il mio assistito è un ragazzo psichicamente instabile, già da anni. Le sue condizioni mentali verranno valutate con una perizia psichiatrica». Il giovane si era mostrato minaccioso già nel luglio scorso, quando aveva inviato all’ex fidanzata un video che lo ritraeva mentre sparava. Allora nei suoi confronti era stato intimato un divieto di avvicinarsi alla giovane ticinese. Un divieto che, ancora una volta, si è dimostrato essere una misura totalmente inefficace, se non addirittura controproducente.

Divieti non rispettati
Era ad esempio oggetto di un divieto di avvicinamento il macedone che, nell’estate 2017, uccise l’ex moglie a colpi di pistola nell’autosilo della Migros di Ascona. Nonostante quella misura restrittiva, l’uomo aveva continuato indisturbato a importunare e minacciare la donna, per settimane e settimane, fino al tragico epilogo. Più di recente, lo scorso 13 ottobre, un cittadino turco ha accoltellato a morte sua moglie a Zurigo. Poche ore prima del fatto di sangue la polizia gli aveva intimato un divieto di avere contatti con la consorte e un divieto di accedere a determinate aree. Lui li ha immediatamente violati entrambi, concretizzando le minacce proferite da tempo. «Ma non sarebbe possibile imprigionare preventivamente o legare a una catena ogni persona che ne minaccia un’altra - osserva l’avvocato Daniele Jörg, presidente dell’associazione Consultorio delle donne -. Non ci sarebbe abbastanza spazio in carcere e poi per quanto tempo si dovrebbe mantenere una tale misura? È vero che il divieto di avvicinamento non garantisce la sicurezza della persona minacciata, ma non esistono alternative migliori».

Arriva il braccialetto elettronico
Un piccolo correttivo verrà ad ogni modo introdotto dal prossimo 1. gennaio. Da allora i giudici potranno ordinare che le persone oggetto di un divieto di avvicinamento siano munite di un braccialetto elettronico. «Vedremo quali saranno gli effetti di questa novità - afferma l’avvocato Jörg -, ma anche così non potrà essere garantita la sicurezza al 100%. Ci vorrebbero dei funzionari che facciano il tracciamento 24 ore su 24. E anche così ci sarebbe comunque chi riuscirebbe a infrangere il divieto». Il problema è che nulla può fermare le persone obnubilate da un delirio di gelosia. «Noi con la casa delle donne facciamo il possibile - spiega l’avvocato Jörg - per proteggere chi si trova in situazioni pericolose. Già la casa delle donne si trova in un luogo segreto, ma a volte spostiamo le persone in altri cantoni per renderle più difficilmente rintracciabili. Eppure è capitato che i loro persecutori le trovassero lo stesso».

« La donna è vista come un oggetto, la gelosia si trasforma in possesso e il lockdown è stato una miccia »

Giubiasco, Ginevra, Solduno: tre località, tre donne uccise o ferite gravemente da uomini solo nell’ultimo anno. Femminicidi. «Un fenomeno in costante crescita in tutto il mondo», spiega Jessica Ochs, criminologa e docente universitario. Un fenomeno che ha le sue spiegazioni. E le sue cause che però si può anche arginare.

Perché si arriva a commettere un femminicidio?
«I motivi possono essere diversi, anche se alla base si evidenzia la difficoltà di alcuni uomini ad accettare la “liberazione” della donna».

Cosa si intende per liberazione della donna?
«Liberazione intesa ovviamente come conquista della parità dei diritti e di obiettivi come il divorzio e la possibilità di avere una vita indipendente. Gli uomini difficilmente accettano questo nuovo schema perché l’ideologia maschile, soprattutto nei substrati di popolazione con cultura medio-bassa, resta legata al concetto di famiglia arcaica, in cui la donna viene sottomessa alla figura predominante dell’uomo».

Può farci un esempio?
«In Albania vige il codice Kanun, che è un codice di leggi consuetudinarie che si sono trasmesse oralmente per secoli tra le popolazioni del Nord. Esso è un codice fondamentale di comportamento, nel quale la donna occupa una posizione di assoluta subalternità rispetto agli uomini nella famiglia come nella società».

In che senso subalternità?
«Con il matrimonio il padre della sposa consegnava, insieme al corredo pattuito, un proiettile, come simbolo del potere assoluto che si riconosceva al futuro marito. Quest’ultimo avrebbe potuto persino uccidere la propria moglie in caso di tradimento grave, di adulterio e di mancato rispetto dell’ospite, senza per questo incorrere nella vendetta della famiglia di lei».

Alla base c’è il maschilismo, quindi. Ma c’è altro?
«Sì, c’è anche sempre un sentimento di gelosia che diventa una forma di possesso che trova le sue fondamenta proprio nella considerazione della donna come oggetto e non come individuo».

E quindi cosa succede?
«Talvolta, anziché mettere in primo piano le esigenze della donna o anche la sua volontà di terminare un rapporto sentimentale per essa arrivato al capolinea, l’uomo reagisce con ira e rabbia sostituendo l’obiettivo dell’amare una persona con quello della distruzione della persona stessa. Ma c’è anche un altro aspetto da non trascurare».

Di cosa si tratta?
«I lunghi mesi di lockdown e la forzata coabitazione nelle case hanno allungato ancora di più la pagina nera dei femminicidi in Italia. La percentuale è aumentata del 50 per cento durante il lockdown di marzo e aprile».

Il lockdown è dunque stato una miccia?
«Il regime di convivenza forzata e la prospettiva di un futuro incerto dal punto di vista economico si sono rivelati inneschi esplosivi di situazioni già difficili. Sembra quasi che l’emergenza COVID-19 abbia reso più fragili i soggetti, rendendoli talvolta incapaci di gestire le proprie emozioni».

Si può fare prevenzione e come?
«La prevenzione potrebbe essere l’unica arma a disposizione per contrastare la violenza sulle donne e il femminicidio. Prevenire la violenza significa combattere e sradicare le sue radici più profonde e le sue cause».

Come riuscirci?
«E per fare questo bisogna avere una panoramica a 360 gradi del fenomeno. Essenziali diventano, dunque, i dati statistici che tengano ovviamente conto anche del numero oscuro, cioè l’indice attraverso il quale si definisce, per ogni reato, la percentuale degli eventi non registrati rispetto al totale degli eventi stessi».

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