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Berna ha speso 22 milioni per fare pubblicità sul coronavirus

La Confederazione non ha badato a spese, privilegiando anche piattaforme come Tinder o Twitch
© CdT/Chiara Zocchetti
Red. La Domenica
12.02.2023 07:00

Mentre giornali e tv erano concentrati a raccontare i rapporti molto stretti tra Peter Lauener, portavoce di Alain Berset, e il direttore generale di Ringier Marc Walder che secondo la «Schweiz am Wochenende» sarebbe alla base di diverse anticipazioni del «Blick» sui provvedimenti adottati dalla Confederazione durante i picchi della pandemia, si scopre - grazie alla divulgazione da parte del portale «Inside Paradeplatz» di una tabella riepilogativa - che Berna, «al netto di commissioni, costi tecnici e IVA», ha speso per le campagne pubblicitarie istituzionali sulla prevenzione e vaccinazione, quasi 22 milioni di franchi. Soldi che in gran parte, almeno per gli importi più importanti, sono andati ai social e alle società, multinazionali, che li gestiscono.

Incontri hot, videogiochi e prevenzione

Un dato curioso è che sono piovuti finanziamenti anche su piattaforme come Tinder, l’App di incontri (25 mila franchi) o Twitch, il servizio di live streaming video di Amazon dedicato ai videogiochi.

Solo i social hanno ottenuto dalla Confederazione quasi quattro milioni di franchi nel 2020. Cifra adeguata (2 milioni e 200mila franchi) l’anno successivo mentre nel 2022 (dato provvisorio) hanno incassato 1 milione e 200 mila franchi per diffondere quei messaggi in cui il governo invitava la popolazione a lavarsi regolarmente le mani, a tossire o starnutire nella piega del gomito e a restare a casa in caso di sintomi influenzali.

Google e Meta pigliatutto

Google, attraverso YouTube, è l’azienda pigliatutto, visto che ha ottenuto 778 mila franchi in prima battuta tre anni fa, per raggiungere lo scorso anno un totale complessivo di 1 milione e 899 mila franchi. Poi ci sono Instagram e Facebook, del gruppo Meta, che hanno incassato dalla Confederazione poco più di 1 milione di franchi.

Importi inferiori sono andati anche ad altri social, come Snapchat e Tiktok, fino ai già citati Tinder e Twitch.Insomma, per ricordare alla popolazione di lavarsi le mani la Confederazione si è spinta fino nei meandri del web.

Manifesti e affissioni

Una consistente fetta della torta è comunque rimasta su spazi più tradizionali. Come quelli proposti dalla Società generale di affissioni (SGA), che ha incassato ben 3 milioni e 724 mila franchi per esporre le raccomandazioni dell’Ufficio federale della sanità pubblica sui suoi manifesti e schermi digitali. Un’altra società che si occupa di affissioni negli spazi pubblici, la Clear Channel, ha ricevuto poco più di 600 mila franchi. Importi più modesti sono andati ad altre concorrenti per un totale di spesa, nel ramo della affissioni, superiore ai 5 milioni di franchi.

Tutto questo nonostante, almeno nella prima parte della pandemia, la popolazione fosse invitata a restare a casa e quindi i manifesti lungo le strade avranno attratto molti meno sguardi del solito.

Merlani e il «disastro» del web

In quel periodo gli sguardi dei cittadini erano rivolti verso tutto ciò che, tra le mura di casa, permettesse di capire cosa stava succedendo e come si doveva comportarsi. La radio, la televisione, i giornali, i portali d’informazione, i social, da ogni parte giungevano notizie, aggiornamenti, teorie e previsioni. A volte affidabili, a volte meno, tanto che il medico cantonale, Giorgio Merlani, si sentì in obbligo di avvertire la popolazione: «Non fidatevi dei blog e delle informazioni apparse solo su Facebook», disse allaRSI, parlando di «bufale» che «inquinano» il web. «È proprio un disastro», concluse Merlani.

Eppure lo stesso web è quello che ha beneficiato in misura maggiore della generosità con cui l’Ufficio federale della sanità pubblica ha elargito le proprie pubblicità.

I colossi della stampa

Certo, anche la stampa ha ricevuto la sua parte, sebbene anche qui la parte del leone l’abbiano fatta i soliti grandi gruppi, Ringier e TX Group (ex Tamedia). Il «Blick», tra cartaceo e online, ha incassato 758 mila franchi. Il «20 Minuten», nelle sue tre versioni linguistiche, un milione e 87 mila franchi. Al nostro domenicale, invece, sono andati complessivamente 8.076 franchi. Mentre il portale zurighese «Inside Paradeplatz» - che in base alla legge sulla trasparenza ha chiesto, ottenuto e divulgato tutte le cifre della campagna anti-COVID - non ha ricevuto proprio nulla.

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