Buffon: «La vita mi ha insegnato come fare per risalire»
Gigi Buffon, ovvero il portiere dei record. Nessuno, infatti, ha giocato più di lui con la maglia dell’Italia, collezionando 176 presenze in ben ventuno anni. Con la Svizzera nel destino, nel bene perché l’ha battuta 2-0 nella sua prima partita da titolare, e poi nel male perché il 29 giugno scorso è stato eliminato con lo stesso punteggio negli ottavi di finale dell’Europeo, vissuto con la divisa di capodelegazione degli azzurri.
Buffon, partiamo proprio da questi due opposti 20. Che cosa le hanno lasciato?
«Il primo è uno dei ricordi più belli, perché fu l’inizio di un sogno, il 10 ottobre 1998, a Udine. Proprio il grande Zoff, che era stato campione d’Europa e del mondo, mi promosse titolare contro la Svizzera, al posto di Peruzzi, in una gara valida per le qualificazioni all’Europeo del 2000. Giocavo ancora nel Parma e Del Piero, che in seguito sarebbe stato mio compagno nella Juventus, segnò una doppietta prima di essere sostituito da Totti. Basterebbe questo per dare l’idea della qualità che aveva allora il calcio italiano e non a caso, infatti, poi vincemmo il mondiale nel 2006 a Berlino».
Proprio a Berlino, invece, l’estate scorsa la Svizzera ha dato una lezione di calcio all’Italia.
«Come dirigente ho sofferto ancora di più che in campo. L’Italia ha giocato una delle più brutte partite che io ricordi, mentre la Svizzera è stata semplicemente perfetta».
Dopo l’Europeo, però, la Svizzera ha deluso in Nations League, mentre l’Italia è stata promossa ai quarti e in marzo affronterà la Germania. Come cadere e rialzarsi, il titolo del suo libro?
«Proprio così. Sembra la sintesi di quello che ho scritto, perché la vita, come il calcio, ti mette sempre alla prova e non bisogna mai spaventarsi per le proprie debolezze e fragilità, dimostrando di avere la forza di risollevarsi. È quello che è successo a me e in un certo senso è successo anche all’Italia».
Dieci giorni fa, il 22 gennaio, è stato il primo anniversario della scomparsa di Gigi Riva, che era il team manager della Nazionale, con Cesare Maldini c.t., quando lei ha esordito subentrando a Pagliuca: ricorda che cosa le disse quella sera?
«Avevo 19 anni e ricordo soltanto la neve che c’era a Mosca, a fine ottobre nel 1997, in una gara delicatissima, l’unica che non avrei mai voluto giocare, perché era l’andata dello spareggio per la qualificazione ai mondiali del 1998. Gigione, come lo chiamo ancora io, l’ho conosciuto meglio dopo».
Che cosa le ha trasmesso Riva?
«Per me prima è stato un totem, perché non avendolo mai visto giocare ho capito chi era attraverso il racconto dei miei genitori. Poi, quando siamo stati insieme in Nazionale, mi ha insegnato tante cose, ripetendomi che non dovevo cambiare e dovevo rimanere me stesso. Mi ha sempre capito e siamo andati d’accordo, così per me rimarrà un punto di riferimento importantissimo».
Martedì scorso ha compiuto 47 anni: come ha festeggiato?
«Come gli altri 46, ma con una differenza perché mi sono sposato da poco. Per questo, con mia moglie Ilaria e i nostri figli, ci siamo regalati tre giorni soltanto per noi in un posto segreto, prima di rituffarmi nel calcio».
Tornando a parlare di calcio, lei che ha giocato in Nazionale fino a 40 anni, che cosa pensa della decisione di Sommer che ha chiuso con la Svizzera a 36?
«Ognuno fa ciò che si sente e va rispettato. Io penso che lui abbia fatto una scelta coraggiosa e meditata, non legata a una spinta emotiva. L’ho sempre considerato un grandissimo portiere, uno dei migliori al mondo per continuità di rendimento e carisma, forse un po’ sottovalutato fuori dalla Svizzera, ma sicuramente molto apprezzato in Italia, tanto è vero che è arrivato in serie A. E quindi molto meglio per l’Inter che se lo può godere in esclusiva. Sommer ha già vinto un campionato al primo anno ed è sulla buona strada per vincere un altro scudetto. Nel frattempo, non a caso, è il portiere che ha preso meno gol di tutti in Champions League, soltanto uno in otto partite. E visto che l’Inter si è qualificata senza passare dai play-off, può puntare a vincere la Champions».
L’Italia si è ripresa in Nations League, ma poi ce la farà a qualificarsi per i mondiali?
«Dopo due scottature, che ci hanno costretto a guardare i mondiali in tv, è meglio volare bassi nelle dichiarazioni, ma le premesse sono buone e quindi dobbiamo continuare a lavorare in grande, perché proprio quell’ultima, bruttissima, sconfitta contro la Svizzera ci ha insegnato tante cose».
Con l’Italia ci sarà anche la Svizzera ai mondiali?
«La storia recente dice che la Svizzera è più avanti di noi. Ricordo che prima dei mondiali vinti nel 2006 in Germania avevamo pareggiato 1-1 a Ginevra, come prima dei mondiali vinti nel 1982, convinti che quei pareggi ci avessero portato bene. Al di là della scaramanzia, la Svizzera oggi è una realtà e non è scontato batterla, ma a prescindere dai risultati ci lega un bel rapporto con i nostri cugini non soltanto calcistico, perché noi consideriamo gli svizzeri vicini di casa da ammirare e non da disprezzare. E quindi sarei felice se andassimo insieme ai mondiali, anche se il mio grande amico Gigione ripeteva che bisogna fare un passo alla volta. Perché io non dimentico mai tutti i suoi consigli, ovviamente tra una sigaretta e l’altra».