Colpo di scena, la cucina lombarda ora è di moda
Risotto allo zafferano, ossobuchi, cotoletta. Ma anche vitello tonnato sono piatti della tradizione milanese che è possibile gustare anche nei grotti e nei ristoranti ticinesi. Perché le due cucine, quella lombarda e quella ticinese, sono molto più di cugine. Quasi sorelle. Dato che hanno molto in comune, seppur ognuna con le sue peculiarità. Sotto la Madonnina è ad esempio quasi impossibile assaggiare la selvaggina in salmì. Così come a Lugano e dintorni è quasi sconosciuta la cassoeula. Che invece in Lombardia fa sfracelli. Soprattutto in inverno. Eppure... eppure entrambe sono due cucine che pescano nella tradizione contadina e popolare. Arrivano da lì, insomma. Anche se nel tempo si sono evolute. Fino a diventare di moda.
Almeno a Milano, dove risotto, ossobuchi e cotoletta, dopo diversi anni bui, stanno riscuotendo un successo inaspettato. Tanto che nel capoluogo lombardo si stanno moltiplicando le insegne e i ristoranti con i nomi in dialetto che propongono appunto i classici piatti della tradizione. A essersi accorto di questa inversione di tendenza è il giornalista e critico gastronomico, Fabiano Guatteri che per Hoepli ha appena pubblicato La cucina milanese. Che è molto più di un libro. Perché in un solo volume Guatteri - che ha scritto diverse pagine sull’argomento tra le quali L’Almanacco in cucina (Rizzoli 2021), Prelibatezze (Fabbri 2006), Cucina e Scienza (Hoepli 2008) - ha racchiuso la storia, gli aneddoti, le tecniche, i prodotti e la lingua della gastronomia e del costume culinario di Milano in un agile racconto. Che fotografa appunto anche un’inaspettata tendenza. «La cucina milanese sta avendo un rinascimento - dice, convinto - anzi, oggi è diventata proprio di moda».
Tutto è iniziato con Expo 2015
Guatteri non sa come è potuto accadere. O forse sì. «Milano ha avuto una crescita esponenziale con e dopo l’esposizione universale del 2015. In realtà qualcosa è cambiato anche prima. Con tutta una serie d’iniziative mirate, si pensi agli eventi del fuori Salone (del mobile). Eventi che di riflesso hanno coinvolto anche la cucina meneghina, trasformandola in qualcosa di culto. Soprattutto tra i giovani. Che non percepiscono più la cotoletta come qualcosa di démodé».
In quasi ogni ristorante
Ecco perché, a differenza di un tempo, a Milano è possibile assaporare ossobuchi e risotto alla zafferano ormai quasi ovunque. «Quasi ogni ristorante ha un menu milanese», riferisce Guatteri, dimostrando così una volta di più la diffusione della tradizione gastronomica meneghina. Una tradizione che fino a venti anni fa era confinata solo in alcuni locali storici, specializzati appunto nell’offrire ai clienti quello che un tempo veniva cucinato solo dalle nonne, tra le mura amiche. E che nessuno si aspettava che un giorno diventasse di tendenza. Di moda. Soprattutto tra le nuove generazioni. Che ordinando un ossobuco è come se rimarcassero la loro appartenenza a un luogo, a un territorio, di cui andare fieri.
Dai Visconti ai veneziani
A pensarci sembra assurdo. Perché il risotto giallo non è un prodotto esotico. O stravagante. Non dovrebbe insomma avere nulla di strano. Ancorato com’è sempre stato alla tradizione. Ma Guatteri si spinge ancora più in là per rimarcare l’eccezionalità di quanto sta succedendo. «La gastronomia milanese non è mediterranea, baccalà e pesci di acqua dolce a parte, non contempla neppure chissà quale prelibatezza di pesce, come crostacei e molluschi». Eppure... eppure è comunque una cucina con un’identità precisa. «Già i Visconti e gli Sforza erano celebri per i grandi banchetti offerti al popolo a base di fagiani ricoperti d’oro». Altrettanto certo è che nel tempo l’arte culinaria milanese si è comunque evoluta, assimilando piatti e vivande. Come è successo durante le dominazioni straniere, dagli austriaci ai francesi. O quando ha abbracciato lo zafferano. Che non è proprio autoctono. Ma anzi arriva dall’Est. Esoticità a pezzetti, insomma.
Contaminazioni sparse
Perché, sempre a livello storico, ha resistito anche ad alcune contaminazioni. «Quando ad esempio il pomodoro è arrivato in Europa dalle Americhe - prosegue il critico gastronomico - non ha raggiunto Milano dato che non è presente in nessuna delle preparazioni». Stessa cosa è avvenuta con la polenta. Che stavolta c’è, ma non è così predominante come ad esempio in Ticino. Dove è servita in molte variazioni. «La prima città a introdurla nelle sue ricette, dopo l’arrivo del mais delle Americhe - continua Guatteri - è stata Venezia. Da lì si è diffusa nei territori veneziani fino a Bergamo. Città da dove è poi approdata a Milano». Una cucina selettiva, quindi. Che si è aperta restando ferma ai suoi principi. Di sicuro «ogni suo piatto ha una sua storia - riprende Guatteri - pensiamo ad esempio al vitello tonnato, che io reputo lombardo e non piemontese, poiché il vitello è di Milano, come ben si capisce guardando altre ricette, come quelle dell’ossobuco e della cotoletta».