L'analisi

Come mai Israele spara sull'Unifil?

C'entrano vecchi contrasti e accuse reciproche, ma anche una precisa strategia di Netanyahu
Guido Olimpio
Guido Olimpio
13.10.2024 06:00

Conosco, per esserci stato, il lavoro svolto dall’Unifil, ho trascorso in passato diversi giorni con i soldati, sono andato di pattuglia, ho visitato punti difficili. Ho seguito anche l’impegno umanitario e sociale per togliere tensione, dare una mano alla popolazione, creare infrastrutture anche minime. Un pozzo, una strada, una scuola. Opere da protezione civile ma necessarie per creare un rapporto con l’ambiente circostante. Pacifico per lungo tempo e capace di diventare, come oggi, un inferno. È la dura legge del Libano, da anni. Come da anni non sono facili i rapporti di Tel Aviv con le Nazioni Unite.

Le forze armate israeliane (IDF), da molto tempo, hanno chiesto un cambiamento del mandato del contingente. Il suo compito, secondo il voto del Palazzo di Vetro, è di svolgere ruolo di interposizione con uno schieramento che copre una fascia a sud del fiume Litani e a vicino alla frontiera dello Stato ebraico. Una regione a predominanza sciita, uno dei feudi dell’Hezbollah. Secondo gli israeliani è un ruolo insufficiente, vorrebbero un’azione incisiva contro la presenza di armi, bunker, tunnel spesso mascherati negli insediamenti. Ma non sono queste le disposizioni contenute nella «costituzione» della missione, impossibile che siano cambiate in quanto scatterebbero veti.

Il vecchio contrasto, sempre più profondo, ha assunto nuove dimensioni con l’incredibile rovesciamento del quadro. In poche settimane Israele ha decapitato la gerarchia Hezbollah, ha sorpreso con i cercapersone esplosivi i militanti, ha incrociato le spade con Teheran, ha lanciato le sue truppe in un’attività terrestre (per ora limitata) in terra libanese.

Netanyahu vuole sfruttare il «vento» favorevole, aumentando le difficoltà di un avversario ancora scosso dai colpi e impegnato a riorganizzare i ranghi. Il piano dichiarato è quello di ottenere il ripiegamento degli Hezbollah a nord del Litani perché - spiegano - solo così possiamo permettere il ritorno delle migliaia di civili nelle loro case. Quelle abitazioni che si vedono e si sfiorano da una gigantesca torre nella postazione I-31. L’area, dunque, deve essere vuota e la presenza dell’Unifil può essere considerata un ostacolo ad ogni manovra, un testimone scomodo, un rappresentante di una comunità internazionale che ha messo sotto accusa Tel Aviv per le violazioni. Il governo ribatte sostenendo che l’ONU ha fatto nulla per impedire ai guerriglieri di espandere il loro network bellico.

Le polemiche verbali - costanti e non inedite - sono state però spazzate via dalla risolutezza del premier israeliano, sordo ad ogni richiamo, pronto a sfidare persino gli USA in attesa del nuovo presidente. Contrasti che, per alcuni osservatori, sono di facciata e magari solo personali, legate alla scarsa alchimia con Joe Biden. Secondo indiscrezioni Washington e Tel Aviv, appoggiate in silenzio dai sauditi, puntano a sbarazzarsi dell’Hezbollah e a tenere sotto pressione l’Iran per favorire un «nuovo ordine libanese». Intanto Netanyahu prova a ridurre le capacità militari di Hamas e delle milizie che sono andate all’assalto convinte di mettere nell’angolo l’avversario storico. Sono scommesse rischiose in un teatro dove le sorprese non finiscono mai.

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