L'intervista

Così parlò Pablo Bentancur

Così il patron granata: «Mio figlio a Bellinzona è cresciuto, non molliamo il club anzi rilanciamo»
©Gabriele Putzu
Luca Sciarini
Luca Sciarini
07.07.2024 14:00

Ultimamente, quando si parla di Bellinzona, si tende a focalizzarsi più sui temi extracalcio che su ciò che accade sul rettangolo verde. La relazione non sempre facilissima con il Municipio della città, i rapporti tesi con una frangia di tifosi e la possibilità della cessione del club. In mezzo, per fortuna, anche la notizia del nuovo presidente, della ricostruzione del club dei 100, di un mercato in fermento e dell’intenzione di costruire una squadra e un club sempre più forti. Pablo Bentancur, che non ama molto esporsi di questi tempi, ha però deciso di parlare, di raccontare la sua verità. «Un giorno - dice - magari andrò anche in televisione. Ma sarà per annunciare il mio addio». Ciò che sta accadendo nella squadra della capitale, dove suo figlio Pablito è diventato il proprietario, è spesso difficile da capire per chi si trova lontano dal Comunale. Pablito è il proprietario dell’AC Bellinzona, ma il padre, grazie alla sua esperienza e alla conoscenza di un mondo che lo vede tuttora protagonista, non lo lascia mai solo. Dice che il Ticino, e in particolar modo Bellinzona, gli sono entrati nel cuore. A lui e a tutta la famiglia Bentancur.

Questa chiacchierata, inizia proprio da Pablito
«Mio figlio è cresciuto molto in questi anni, ha imparato a lavorare in un ambiente tutt’altro che semplice. Peccato che l’unica cosa che riceve in cambio sono delle critiche. Ma nonostante questo noi vogliamo andare avanti, non molliamo certo adesso. Lavorare spalla a spalla con lui, per me è una grande cosa. Siamo tornati assieme, dopo che la vita ci aveva separati quando lui era un bambino».

Pablo Bentancur, che in questi giorni si trova dall’altra parte del mondo, ritorna al momento dell’acquisto del club granata.
«Forse non tutti si rendono conto quanto sia difficile trasformare un club totalmente amatoriale in uno professionistico. Quando tre anni fa abbiamo assunto la gestione del club, il Bellinzona stava per retrocedere in Prima Lega e adesso ci ritroviamo stabilmente in Challenge League. Calcolando che in Svizzera ci sono soltanto dieci club in questa categoria, direi che è un bel traguardo».

Perché la scelta di Brenno Martignoni come presidente?
«È una scelta di mio figlio Pablito. Brenno è una persona molto conosciuta, che ha a cuore il bene del Bellinzona. Un politico che, essendo stato anche sindaco, conosce tutto di questa città. Siamo convinti che potrà darci una mano in situazioni extracalcistiche che in questi anni non sono sempre state facili da gestire. Se pensiamo che qualcuno si era battuto il petto per chi era andato via…».

Il club dei 100 sembrava dover sparire e invece…
«Pablito è stato molto bravo a trovare in Roberto Mercoli un grande appassionato e che ha sempre lavorato per il Bellinzona. Il club dei 100 andrà avanti, è un gruppo di amici che vuole il bene del club. Sono felice che possa continuare».

Dietro le quinte lei fa ciò che più le piace, vero
«È logico che io possa aiutare mio figlio nelle questioni sportive grazie alla mia esperienza trentennale nel calcio. Ho tante conoscenze e riesco a portargli dei giocatori che altrimenti non arriverebbero. È uno sforzo economico importante per tutta la nostra famiglia, ma siamo convinti della strada che abbiamo intrapreso e vogliamo andare avanti».

È vero, abbiamo avuto diversi contatti con gruppi interessati, ma alla fine non se n’è fatto nulla. Anche se stiamo perdendo tanti soldi, vogliamo andare avanti per il bene del Bellinzona

Durante la primavera si era parlato però anche di un’eventuale cessione del club.
«È vero, abbiamo avuto diversi contatti con gruppi interessati, ma alla fine non se n’è fatto nulla. Anche se stiamo perdendo tanti soldi, vogliamo andare avanti per il bene del Bellinzona. Il giorno che lasceremo questo club sarà per affidarlo a mani sicure. Non vogliamo che faccia la fine di Chiasso e Locarno. Sono sicuro che i tifosi di queste squadre vorrebbero essere in Challenge League. Noi ci siamo e faremo di tutto per restarci e far crescere ancora il Bellinzona».

In questi anni si è anche parlato di Super League: un traguardo esagerato?
«È molto facile parlare di Super League. A chi non piacerebbe giocare nella categoria regina del calcio svizzero? La realtà però, è che dovremmo affrontare aspetti importanti, come ad esempio quello dello stadio. La Swiss Football League ci stava creando dei problemi per la licenza, proprio a causa del nostro campo. Il comune di Bellinzona si è dovuto impegnare, attraverso un documento, a migliorare lo stato del terreno da gioco. Insomma, abbiamo spesso giocato in condizioni difficili. Alla fine però abbiamo ottenuto la licenza in prima istanza e credo che questo sia un grande traguardo».

Lavorare a Bellinzona non è sempre facile.
«Non avevamo una sede operativa e nemmeno una palestra. I mezzi sono quelli che conosciamo, non possiamo fare miracoli. Se penso che a Lugano, quando siamo saliti in Super League con Renzetti, l’AIL ci dava mezzo milioni di franchi… A Bellinzona tutto questo non esiste, dobbiamo fare tutto di tasca nostra. La storia del calcio ticinese credo abbia insegnato a tutti quanto sia complicato e costoso gestire un club. Basterebbero gli esempi di Jermini a Lugano e più recentemente di Giulini proprio a Bellinzona».

A proposito di FC Lugano: sembra che adesso ci sia una collaborazione proficua. È così? E nel Team Ticino come stanno le cose?
«A proposito del Team Ticino non posso dare la mia opinione, perché come detto io collaboro esclusivamente per il mercato della prima squadra. L’avvocato Luca Zorzi e Pietro Minotti, assieme a mio figlio, sono gli incaricati di portare avanti questo discorso. Dall’esterno però mi sembra di capire che con il Lugano ci sia una bella collaborazione e anche in questa sessione di mercato abbiamo lavorato bene assieme. A proposito di Zorzi, ci tengo a ringraziare una persona che da una vita lavora in silenzio e gratuitamente per il Bellinzona. Un vero esempio di attaccamento al club».

Le acque sembrano essere più calme, anche sulla vostra panchina, dopo l’arrivo dello staff spagnolo.
«È proprio così. Con l’arrivo di Benavente, Rosas e Megìas, possiamo dormire tutti sono molto più tranquilli. Ci siamo affidati a uno staff spagnolo che sta facendo molto bene. Prima abbiamo commesso l’errore di prendere degli allenatori che piacevano alla «piazza», ora invece abbiamo scelto in base alle esigenze della squadra. Penso che la scelta sia stata vincente».

Tosetti aveva espresso pubblicamente la sua insoddisfazione dopo due stagioni con la nostra maglia. Così abbiamo pensato di lasciargli le mani libere per trovare un club migliore

Concludiamo con i «casi» più recenti, quelli di Matteo Tosetti e Dragan Mihajlovic. Il primo ha lasciato il club, il secondo invece, dopo un divorzio che sembrava vicinissimo, è rimasto.
«Tosetti aveva espresso pubblicamente la sua insoddisfazione dopo due stagioni con la nostra maglia. Così abbiamo pensato di lasciargli le mani libere per trovare un club migliore. Accettiamo serenamente le sue critiche e per dimostrarlo abbiamo voluto che restasse come allenatore del nostro settore giovanile».

Cos’è successo invece con Mihajlovic?
«Dragan è nato a Bellinzona ed è il nostro capitano, con lui è stata solo una questione di trattativa. All’inizio non eravamo della stessa idea, ma alla fine ha accettato le condizioni del club e abbiamo firmato. Per la gioia di tutti».

Da risolvere c’è ancora la questione Sabbatini, che non è un giocatore granata ma che è della sua «scuderia».
«L’idea di Sabbatini è di giocare ancora in Super League e credo che alla fine sarà proprio così. Stiamo parlando di un ragazzo che è un esempio di lavoro e umiltà. Basta vedere l’affetto che la gente di Lugano gli ha dimostrato. Con il club bianconero si è lasciato molto bene, tanto che anche Da Silva ha detto pubblicamente che un giorno potrà tornare ad allenare. Sono certo che diventerà un grande tecnico».

Senza l’impegno diretto del Bellinzona, adesso avrà più tempo per la sua attività di manager, vero?
«Ho gestito e gestisco tuttora calciatori di alto livello, non posso lamentarmi. Forse il mio lavoro di manager è stressante, ma anche gestire un club non è facile. Abbiamo subito una campagna mediatica nel bel mezzo della licenza e non è sempre stato facile. Ma non molliamo».

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