Curiosità

Cronaca di una seduta di «shibari»

Come funziona l'antico gioco giapponese, tra arte e sensualità? Siamo andati a vedere
Un momento della sessione
Andrée-Marie Dussault
08.12.2024 06:00

Ci troviamo nel seminterrato di un edificio anonimo, alla periferia di Milano. Siamo nello studio Yugen, il dojo dove ha sede la scuola Rope Tales, fondata nel 2016 da Marta Tenshiko, 33 anni, e Federico Kirigami, 36 anni. Coppia nella vita, i due (d’origine italiana) lavorano insieme dal 2011. Girano il mondo per insegnare l’arte dello shibari - il bondage giapponese - e pubblicano una rivista specializzata distribuita in 25 paesi. Nato nel Giappone del XV secolo, lo shibari - «legare» - veniva utilizzato dai samurai come tecnica di tortura e per legare i prigionieri.

Le (rigide) regole del gioco

Delle foto in bianco e nero di donne occidentali e orientali legate decorano un angolo della sala. Appeso a una colonna nel centro del dojo, c’è il regolamento. Qualche punto per contestualizzare: il consenso è obbligatorio; praticare in stato alterato è vietato; c’è un safe word - «rosso» - e se viene pronunciato, si ferma tutto; se si è testimoni di un comportamento scorretto, è doveroso segnalarlo ai responsabili; la nudità e il sesso esplicito sono consentiti negli eventi espressamente dedicati.

Siamo a una pratica di shibari per studenti avanzati. Una ventina di partecipanti sono seduti in coppia sui tatami. Hanno tra i venti e sessanta anni. Si conoscono tutti. E una comunità di appassionati che arriva da diverse realtà. Sembrano persone «normali», come i vicini di casa. In «abito di pratica» - tute, vestiti comodi, vestitini sexy, spesso neri - si osservano tanti tatuaggi, alcuni molto sofisticati che coprono superfici importanti.

Le forbici per tagliare la corda

Tutti sono esperti. Hanno qualche anno di pratica alle spalle; padroneggiano i nodi fondamentali. Sanno anche benissimo che una persona legata non deve essere mai lasciata da sola. Che bisogna sempre avere a portata delle forbici per tagliare rapidamente la corda quando è necessario. È anche importante sapere dove fare passare la corda per evitare i nervi e poter riconoscere i sintomi di un nervo compresso che può rappresentare un pericolo, spiega Federico Kirigami: «La circolazione sanguigna negli arti può essere interrotta per un tempo limitato senza problemi, ma la compressione di un nervo può causare un trauma anche dopo tempi brevissimi».

Stasera Marta e Federico propongono di lavorare sul «mood» di una sessione di shibari; cioè l’atmosfera. Si parla un po’ di concetti come la sottomissione, la tortura, l’umiliazione, la sensualità, la disciplina, e come costruire una progressione secondo diverse curve, come quella a campana, che sale progressivamente e poi riscende nello stesso modo. O quella a salto, che sale piano ma appena arriva al picco, improvvisamente cade di colpo.

Gli istruttori fanno una dimostrazione di dieci minuti. Dieci minuti intensissimi. Lui porta una tuta nera e ha uno chignon. Lei ha capelli scuri lisci lunghi e indossa un vestito verde a fiori lungo aperto sul davanti. «Martolina» si annoda i capelli e si siede in ginocchio con la testa in giù. Federico è seduto alle sue spalle e le lega le mani dietro la schiena. Con delicatezza e fermezza allo stesso tempo. Con una corda, poi con un’altra e con un’altra ancora, finché costruisce una ragnatela di nodi complessi. Le fa anche passare la corda di juta sotto e sopra i seni.

Un silenzio carico di tensione

Nella sala c’è un silenzio carico di tensione. Si sentono solo i gemiti di Marta quando le corde stringono forte sul corpo. Poi, Federico passa una corda legata alla sua modella sopra il bambù di sospensione, appeso a l’orizzontale sopra di loro e la issa in piedi. Con facilità continua a tirare. A un certo punto Marta non tocca più per terra; penzola. Fa ancora qualche mossa e si ritrova in posizione semi orizzontale nell’aria. Geme di dolore, sarà al limite della sopportazione. Tratteniamo il fiato.

C’è qualcosa di surreale nella scena. Dopo alcuni secondi che sembrano infiniti, lei fa un segno sottilissimo con gli occhi e lui, con gesti esperti, inizia a slegarla. Quando è per terra, finalmente libera, si abbracciano un momento. L’emozione è palpabile. Ci vuole un attimo prima che la coppia torni nel dojo con la classe. Ecco, questo era un esempio di curva a salto.

Durante la condivisione che segue la prova, Marta è tranquillissima e spiega che sentiva il sudore freddo, stava quasi per svenire. Si chiedeva quanto tempo potesse resistere ancora. Sottolinea che per la persona legata in sospensione è importante sapersi muoversi bene, altrimenti può essere pericoloso. Ma cosa offre questo genere di esperienza? «Mi porta - racconta Marta - in uno spazio dove solo lo shibari mi può fare arrivare. Sono sensazioni potenti legate a memorie emotive».

Una prova da quaranta minuti

Dopo il confronto, le coppie hanno quaranta minuti per fare una «figura», lavorando su una progressione in particolare. A metà strada, al picco dell’esperienza, da tutte le parti, si sente gemere - di piacere e/o di dolore, non è ben chiaro. Ci sono dieci corpi sospesi - soprattutto di donne - nell’aria legati in modi diversi. «A questo livello», ci vuole una certa forma fisica, precisa Federico. Quando l’esercizio arriva al suo termine, che tutti sono slegati, ci si fa le coccole.

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