L'intervista

«Da ex postino chiedo che la Posta resti un servizio alla popolazione»

Il consigliere nazionale Jean-Luc Addor critica le annunciate chiusure del Gigante Giallo, andando contro il suo partito
© PETER SCHNEIDER
Andrea Stern
Andrea Stern
15.09.2024 09:30

Quando martedì in Consiglio nazionale si è discusso della mozione che chiede di sospendere lo smantellamento della Posta, il vallesano Jean-Luc Addor ha subito messo le mani avanti. «Sono figlio di un buralista postale e da giovane ho lavorato io stesso come postino per finanziare i miei studi», ha ammesso il parlamentare UDC prima di schierarsi contro il suo consigliere federale Albert Rösti e contro parte del suo partito per difendere quel che resta di «un ex fiore all’occhiello del servizio pubblico».

Signor Addor, era fiero di lavorare per la Posta?
«Certo, così come lo era mio padre, che non è mai stato un uomo di sinistra ma credeva fortemente nel servizio pubblico. Lo vedeva come un servizio alla popolazione».

Non è normale che un servizio evolva?
«Questa non è un’evoluzione, bensì uno smantellamento. Con lo scioglimento delle PTT, alla Posta è stato tolto tutto ciò che era redditizio. Da anni laPosta si batte con delle attività che difficilmente possono generare utili».

Eppure ogni anno fa centinaia di milioni di utili.
«Sì, ma li fa riducendo costantemente il livello delle prestazioni».

La Posta ha già chiuso più di 2.500 uffici postali. Cosa cambierebbe se ne dovessero sparire ancora un paio di centinaia?
«Vada a chiederlo agli abitanti dei paesi in cui la Posta vuole chiudere gli uffici. Io ho visto la lista in Vallese. Non sono paesini nelle alte vallate. Qui è in atto un disimpegno massiccio, che pone la necessità di chiarire cosa si intende per servizio pubblico».

Nel suo paese c’è ancora un ufficio postale?
«Per fortuna c’è ancora. Ma Savièse, dove abito, è un comune con oltre 8.000 abitanti».

Lei quanto spesso ci va?
«Vado in posta almeno una volta a settimana, principalmente per invii o ritiri legati alla mia attività professionale. Sono un buon cliente».

Non le capita di trovare l’ufficio postale deserto?
«Può succedere. Ma nessuno dice neanche che debba sempre essere affollato. Il fatto è che non si può fare tutto online e che ci sono tante persone per le quali questo smantellamento produce conseguenze abbastanza gravi».

Quindi vede di buon occhio che la Posta ampli la sua attività vendendo candele e caramelle?
«Queste sono idiozie. La Posta fa confusione tra servizio pubblico e privato, andando a fare concorrenza ad altre imprese. Poi non ho i dati per capire se questo può salvare gli uffici postali, ma nutro forti dubbi».

Il direttore Roberto Cirillo dice che la vendita di una candela rende più dell’invio di una lettera.
«È possibile. Ma il loro compito non è vendere candele. Io credo che ognuno debba fare il proprio mestiere».

È comunque cosciente che parte delle attività della Posta si stanno spostando su internet?
«Sono d’accordo che, per diverse ragioni, le abitudini dei consumatori sono in parte cambiate. C’è meno posta cartacea e ci sono più mail. D’altra parte a un certo punto c’erano meno pacchetti e poi negli ultimi anni con lo sviluppo del commercio online c’è stata una nuova crescita. Inoltre ci sarebbero i servizi finanziari, che potrebbero essere redditizi se solo il parlamento autorizzasse PostFinance a diventare una vera banca postale, ciò che non ha mai fatto per non andare contro le banche».

Resta il fatto che le attuali attività della Posta non sono redditizie.
«Ma la differenza tra un’azienda privata e un’azienda pubblica è giustamente il servizio pubblico. La politica deve decidere se vuole mantenere questo servizio, a costo di assumersene le spese. Perché se lascia fare solo ai meccanismi di mercato, allora il prosieguo dello smantellamento è già programmato».

Fa strano sentirla invocare «più Stato», lei che è membro di un partito che chiede «meno Stato».
«I principali dirigenti del partito sono liberali. Ma ci sono altri, come me, che lo sono un po’ meno. Non bisogna dimenticare che i nostri elettori non sono solo manager usciti dalle migliori scuole ma anche persone anziane che hanno bisogno della Posta, persone del mondo reale cui dobbiamo dare voce».

Lei quando torna in Vallese va a cacciare il lupo?
«No, questo lo fanno i guardiacaccia, con l’aiuto dei cacciatori. Io non ho la licenza di caccia».

Siete il cantone che ha preso più sul serio questo compito.
«Sì, ma siamo limitati anche noi. Il Consiglio di Stato voleva cacciare quattro branchi ma ha ricevuto l’autorizzazione per uno solo. Dunque sappiamo che la situazione non migliorerà. Sono mezze misure, che non cambiano la situazione in maniera decisiva, purtroppo».

Beh, in Vallese si può cacciare anche clandestinamente.
«Non parliamo di ciò che è illegale».

Comunque immagino che anche lei, presidente di ProTell, vada a sparare.
«Certo».

Le ha fatto piacere vedere una ragazza di origini straniere, Sanija Ameti, che si diletta nella pratica molto svizzera del tiro?
«Non ho alcun problema con il fatto che sia una ragazza di origini straniere. È una cittadina svizzera, quindi è svizzera. Trovo molto bello che pratichi il tiro sportivo, un’attività che aiuta a migliorarsi sotto tanti aspetti, a partire dall’autocontrollo e dalla concentrazione».

Quindi va tutto bene?
«No. Il problema sta nella scelta del bersaglio e nella pubblicità che ne ha fatto. Trovo problematico scegliere di sparare contro la rappresentazione di una donna con il suo bambino, a maggior ragione di carattere religioso. Ameti è un’esperta di comunicazione, una donna intelligente. Tocca a lei spiegare cosa voleva fare ma io non credo tanto al caso».

Avesse sparato su un ritratto di Donald Trump, nessuno si sarebbe indignato.
«(ride) In effetti, la stragrande maggioranza dei giornalisti l’avrebbe trovato fantastico».

Tra l’altro, Sanija Ameti ha dimostrato di avere un’ottima mira.
«Uno degli amici con cui ho parlato della vicenda mi ha detto proprio questo. Peccato che abbia fatto questa stupidata, perché se si guardano i fori dei proiettili bisogna dire che non spara per niente male».

Potreste andare a sparare insieme?
«Perché no? Non ho mai avuto l’onore di incontrarla ma sarebbe un bel modo di fare conoscenza».

Secondo lei come ne uscirà?
«Si vedrà. Per il momento penso che si sia discreditata lei stessa e che abbia discreditato Operation Libero, un’organizzazione che pensa di poter impartire lezioni a tutti e che abbiamo sempre avuto contro di noi, sia come ProTell, sia come UDC».

Anche nel 2019 nella campagna per la votazione sulla revisione della legge sulle armi.
«Esatto, in quell’occasione Operation Libero era in prima fila contro i tiratori. Quindi ci può solo far piacere scoprire che un loro membro di spicco sia una tiratrice. Peccato che non abbia fatto buon uso delle armi. Ma chissà, magari un giorno potremo discuterne e loro potranno aiutarci a difendere le vere libertà. Allora sì che il nome Operation Libero sarà appropriato».

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