L'intervista

Dalla Liguria a Lugano, via Brasile: il visionario che con l'acciaio unì il mondo

Il trader Bruno Bolfo lascia un impero miliardario e va (quasi) in pensione – Ma sul settore è poco ottimista – Lo abbiamo incontrato
©Chiara Zocchetti
Davide Illarietti
20.10.2024 06:00

Bruno Bolfo ha un aplomb invidiabile e nervi naturalmente d’acciaio. La «piazza luganese» vista dal suo ufficio in via Trevano sembra assai meno salda - «la globalizzazione volge al termine e ne vediamo gli effetti» - ma lui non si scompone: è un calcolatore. Negli schermi alla scrivania, non a caso, un’infinità di numeri si muovono - su e giù - per tutta la durata dell’intervista.

Un altro schermo mostra una casella e-mail enorme, pienissima, e rende l’idea di come il «re» del trading luganese abbia inteso il suo addio al lavoro annunciato ad aprile scorso: in realtà continua a lavorare. «Gli affari sono stati sempre il centro della tua vita» ammette l’83.enne. «Ho dovuto crearmi dei diversivi».

L’acciaio non è stato solo il «core business» di una vita e il materiale su cui Bolfo ha costruito un impero (Duferco: 39 filiali, 10mila dipendenti) ma sembra essere entrato nel sangue dell’imprenditore ligure - una sorta di «Wolverine» del trading - mantenendolo lucido, aggiornato, con ritmi lavorativi ancora «sovrumani» a detta dei bene informati.

Quelli che chiama i «diversivi» basterebbero a mandare in esaurimento un dirigente più giovane: un resort con vigneto acquistato nel Chianti, una piantagione in Puglia con annessa fabbrica di succhi, due investimenti «minori» nel settore medicale e del food-delivery. «La mia più grande paura era di rimanere senza niente da fare e di diventare un povero rimbambito» scherza ma non troppo.

Di certo «povero» Bolfo non diventerà mai. Anche i diversivi rischiano di arricchirlo («me lo auguro») ma altre sue paure potrebbero essere più concrete. L’impoverimento della «piazza» di trading di Lugano, cresciuta attorno a lui, e della stessa Duferco che pure ha raggiunto fatturati mai visti (45 miliardi nel 2022) sono i tormenti della sua pensione.

Dalla Liguria a Lugano, via Brasile

La carriera di Bolfo, per assurdo, è stata in realtà una fuga dalla povertà. Nato nel 1941 a Lavagna (Genova) in una famiglia di commercianti, la morte del padre è stata il primo trauma («un tumore, avevo cinque anni») e la causa del dissesto familiare. Nel ricordarlo Bolfo non si scompone - «mia madre non era donna di business, perdemmo tutto» - ma il motore del riscatto è qui: psicologia spiccia. Alla soglia della pensione l’83.enne ha tentato di ricomprare l’antica vigna di famiglia in Piemonte, venduta negli anni difficili. «Gli attuali proprietari non hanno voluto cedermela» sorride. «Così ho ripiegato sul Chianti». Anche i multi-milionari a volte devono accettare un «no».

«Da giovane avevo bisogno di lavorare» prosegue Bolfo. «Per mantenermi all’università seguii il consiglio di un professore del liceo: mi segnalò un posto in un’azienda pubblica che si occupava di acciaio». Il professore (scienze? «No: di religione») ci vide giusto e dall’acciaio Bolfo non è mai più uscito. Mentre studia economia fa carriera nella galassia IRI, dirige l’export negli Stati Uniti e lascia il colosso italiano in tempi non sospetti («poi ho riassunto diversi miei ex colleghi») per mettersi in proprio. «Il dirigente di un’azienda brasiliana mi propose di aiutarli ad esportare: accettai».

Così nasce la Duferco: Bolfo da New York si trasferisce a Rio de Janeiro, un ufficio con quattro impiegati. È il primo a esportare l’acciaio brasiliano nel mondo. «Da lì ho iniziato a viaggiare e non mi sono più fermato: Argentina, Venezuela, Messico». Dovunque c’è acciaio Bolfo e i suoi ci vanno: «svuotano» l’America Latina e poi tornano in Europa, Cecoslovacchia, Russia, il quartier generale si sposta a Lugano. «Non tanto per questioni familiari» ammette l’imprenditore con la solita franchezza. «Il regime di tassazione degli utili era ed è ancora decisamente molto conveniente».

Il segreto del successo

La fuga dalla povertà non è mai finita, in un certo senso: nemmeno con la ricchezza. Bolfo non è ligure in senso proverbiale - «semmai i miei familiari mi accusano di essere troppo spendaccione» sorride - ma ha l’abnegazione del marinaio che non può stare senza navigare. «Sono sempre andato dove gli affari chiamavano» dice. In generale «la chiamata arrivava da paesi anche lontani dove non sapevano come vendere la materia prima. Noi arrivavamo, e lavoravamo finché quelli, puntualmente, non imparavano a vendere da soli».

Le ultime grandi frontiere sono state la Russia e la Cina. Con la prima «abbiamo lavorato molto bene dal crollo del muro di Berlino in avanti» ricorda l’imprenditore. «I russi avevano una grande voglia di aprirsi e con una cena al ristorante si concludevano operazioni enormi». Per questo quando sente descrivere i russi come «chiusi e ostili» Bolfo scuote la testa («niente di più falso») anche se riconosce che la guerra in Ucraina è «un’enorme tragedia umana ed economica». L’impatto sulla piazza di Lugano è stato «notevole». Anche per Duferco, che nel frattempo è cresciuta fino ad avere 500 dipendenti solo sul Ceresio.

Nubi fosche all’orizzonte

Circa la metà non si occupano più di acciaio, in realtà, ma di trading energetico. «Abbiamo dovuto rinunciare a tutte le operazioni con la Russia, che erano una parte importante del nostro business» spiega Bolfo. Proprio la guerra in realtà (e la pandemia prima) ha fatto decollare le quotazioni energetiche e il fatturato di Duferco (26 miliardi nel 2021, 45 nel 2022) ma l’orizzonte non è roseo. La Cina è il più grande produttore ed esportatore mondiale di acciaio. «Quest’anno i prezzi sono scesi molto e per noi significa meno margini e svalutazione di materiale a magazzino» calcola Bolfo. «Altri hanno già iniziato a licenziare e noi cerchiamo di evitarlo».

Bolfo ha chiesto un incontro con i soci asiatici «proprio nei prossimi giorni» per discutere le strategie future. Nel 2014 Duferco ha ceduto ai cinesi di Hebei Group il suo settore siderurgico. «L’accordo prevedeva un’ acquisizione progressiva sull’arco di un decennio - ricorda l’imprenditore - la scadenza è proprio quest’anno». L’impatto sulla «piazza» luganese è difficile da prevedere ma certo è che, da gennaio, dei collaboratori luganesi di Duferco (sono un terzo degli occupati del settore in Ticino, circa 1500) una buona metà passerà sotto il «controllo totale» dei cinesi. Gli altri (250) rimarranno nella società originaria, che Bolfo ha ceduto alla famiglia Gozzi.

Il gentiluomo «d’acciaio» appartiene ad altri tempi, dopotutto. Ama la carta, sulla scrivania ha un grande righello che usa per leggere i grafici stampati («ai miei tempi non c’erano i computer») e dietro ai numeri sugli schermi vede ancora le persone. «Ci sono collaboratori che lavorano con me da trent’anni qui a Lugano» spiega. «Sono la nostra prima risorsa. Essere riuscito a farli crescere è stata la mia soddisfazione più grande». Ora che va in pensione, il pensiero di «un nuovo protezionismo dilagante» che «sta distruggendo la globalizzazione» riporta a galla antichi spettri. Forse sono scritti - chissà - nei numeri al computer, che continuano a scendere e salire.

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