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Dentro il mondo degli influencer

Viaggio a Milano nella «fabbrica» delle star digitali, da Eros Ramazzotti a «Bella Gianda» – Per scoprire che in realtà il successo è effimero, soprattutto sui social
Prisca Dindo
06.10.2024 06:00

Il 127 di via Giuseppe Candiani a Milano, a pochi passi dal famoso gasometro dipinto da Mario Sironi negli anni ’40, c’è un edificio con un portone in legno. Niente di straordinario almeno in apparenza. Tuttavia vediamo alcuni ragazzi fare a gara per sbirciare all’interno. Un corriere con un pacco in consegna ha dimenticato aperto il portone e loro ne hanno subito approfittato per soddisfare la loro curiosità. I ragazzi si sparpagliano soltanto quando appare una donna elegante dai capelli castani. Siamo nel cuore della Bovisa, il quartiere milanese dove agli inizi dello scorso secolo nacque il cinema italiano.

«Posso entrare?» chiede con gentilezza lei. Vedendola, i ragazzi sgranano gli occhi e aprono il passaggio. «Possiamo chiederti l’autografo?» balbetta uno di loro riconoscendola. La giovane firma ed entra nello stabile. È Camihawke, una ragazza che vanta milioni di followers. Al posto delle star italiane del cinema muto degli anni ‘10, oggi in Bovisa sfilano le celebrità social.

Merito di ciò che c’è dietro a quel portone di legno: il quartier generale di Show Reel Media Group, una holding milanese specializzata in ideazione, scrittura, produzione, distribuzione e comunicazione di contenuti digitali.

Camihawke, Ramazzotti, Barbieri, Bella Gianda…

È un universo criptico per i neofiti, dove la gente parla una lingua mista tra l’italiano e l’inglese, popolato da «talents» (talenti), «content creator» (creatori di contenuti) e «influncer».

Sono loro i frequentatori di questa «nostra casa in Bovisa aperta alla capacità e alla creatività» come spiega, accogliendoci nei duemila metri quadrati costellati da piccoli uffici e salette di registrazione, Helio Di Nardo, Ceo di Show Reel Factory, che insieme a Show Reel Agency del Ceo Luca Alzati forma Show Reel Media Group, holding fondata e capitanata da Luca Leoni.

Un open space immenso e variopinto, ricavato da una vecchia fabbrica di macchine da caffè e pensato per far sentire a proprio agio chi ci lavora. Accanto all’entrata, ci sono i fiori all’occhiello della Factory: un’infilata di foto di volti giovani ma non solo.

Oltre a Camihawke, al secolo Camilla Boniardi, che tra l’altro approderà con il suo spettacolo al palazzo dei Congressi a Lugano il prossimo gennaio; Aurora Ramazzotti, figlia di Michelle Hunziker e di Eros Ramazzotti, nonché influencer tra le più conosciute in Italia; Bruno Barbieri, noto giudice di MasterChef Italia e conduttore di trasmissioni tv di grande successo. Sulla parete delle celebrità, figura anche Michael Casanova, conosciuto da tutti come «Bella Gianda», lo speaker di Radio 3i diventato virale su TikTok grazie al suo format.

«I nostri protagonisti non sono solo volti» racconta il Ceo, interrompendosi soltanto per salutare la super influencer Camilla, ma veri e propri canali editoriali in grado di garantire continuità, creatività e affidabilità ponendo sempre l’attenzione alla qualità del contenuto».

Un mestiere redditizio pieno di insidie

Insomma, una realtà seria, che affascina molti giovani attratti dal miraggio del guadagno facile. I giornali specializzati riempiono pagine intere con le cifre stellari guadagnate dagli influencer. Attorno ad alcuni profili Instagram sembrano ruotare business milionari. Perciò chiediamo a Di Nardo: si guadagna davvero così tanto?

«Sì, è un mestiere redditizio», risponde senza esitazione. La sua agenzia trattiene il 30% del guadagno dei suoi creator. Anche se tutto è relativo, perché le remunerazioni degli influencer fluttuano a seconda della piattaforma utilizzata e del settore di attività, senza dimenticare il valore attribuito ai contenuti da loro creati. La produzione di contenuti può valere cinquecento euro come cinquecentomila; non c’è né minimo né massimo salariale. In un giorno puoi dunque toccare il cielo con un dito. Le gatte da pelare arrivano dopo. Puoi fare subito il botto, ma poi? Il problema più serio che devi affrontare è la durata del tuo successo, perché è un mercato talmente effimero che tutto può svanire in un solo giorno».

Il caso Ferragni e la lezione sui bambini

A proposito di dee cadute dall’Olimpo, gli chiediamo se lo scandalo Balocco che ha travolto Chiara Ferragni ha segnato un prima e un dopo nell’universo social. «Certamente, e per più motivi. Partiamo dalla questione dei minori: prima della crisi matrimoniale, i Ferragnez esponevano i loro figli senza protezione alcuna. Dall’avvio delle procedure di divorzio, i due piccoli sono spariti dai profili dei genitori. Fedez e Chiara l’avranno probabilmente deciso più per ragioni legali. Tuttavia la questione non è sfuggita al popolo social. Il dibattito sull’esposizione dei piccoli è in corso e molti genitori stanno tirando i remi in barca; c’è poi la questione della trasparenza venuta a galla in tutta la sua ampiezza. Non voglio entrare nel merito del caso che ha travolto la Ferragni, ma è bene sapere che in mancanza di leggi, finora noi operatori del settore siamo stati costretti ad autoregolamentarci. Quando ci trovavamo nelle zone grigie, ci confrontavamo tra di noi per trovare soluzioni che ci sembravano giuste. Ora il processo per fissare paletti concreti è stato avviato e noi siamo contenti».

Il successo che schiaccia

Per Helio Di Nardo non ci sono soltanto i minori da tutelare, bensì anche i creatori, soprattutto quando si tratta di ragazzini attratti dai social come il miele per gli orsi. Spesso quando arriva il successo, non hanno gli strumenti per difendersi dalla notorietà, perché la «community», ossia le persone che seguono i loro profili, non dà loro più tregua. «Ci sono stati diversi giovani promettenti che sono finiti male proprio perché non avevano la maturità necessaria per affrontare le dinamiche del successo. Venivano inseguiti in strada e piantonati sotto casa. Se non hai qualcuno come i miei collaboratori che ti mettono sull’attenti, il rischio di farti travolgere da questi episodi è enorme». I social sono più pericolosi rispetto alla tv e al cinema. Dovendo produrre diversi contenuti al giorno per tenere alto il livello di coinvolgimento degli utenti, i content creator sono molto più esposti rispetto ad attori ed attrici. «I followers sono assetati di contenuti veri, tuttavia si può essere veri senza mettere in piazza l’intimità della propria vita».

Un’evoluzione vorticosa

Insomma, ci vuole prudenza e se lo afferma un veterano come Di Nardo, gli si può credere. Show Reel Media Group esiste da più di quindici anni. «Abbiamo visto nascere il mondo digitale» ammette con orgoglio. Una realtà entusiasmante, in cui «essendo la nostra professione nuova, abbiamo deciso di costruire tutto il nostro know how puntando sull’innovazione».

Tuttavia il Ceo della Factory ammette «che non passa giorno senza che io provi una sensazione di vertigine di fronte alla velocità con cui evolve la tecnologia». Oggi a preoccuparlo è l’intelligenza artificiale, già presente nella vita di tutti noi. Non perché la teme, bensì perché la società e la politica non sembrano essere pronte ad affrontare la sua evoluzione vorticosa. «È vero che prima delle strade occorre costruire la ruota, ma se non prepari le strade, prima o poi qualcuno deraglia, soprattutto con una rivoluzione come quella dell’AI».

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