Disoccupati, tassisti depressi, un ex «securino»: ecco gli autisti di Uber a Lugano

Il primo «strappo» è alle 11.10 di mattina. Al volante di una Renault Clio arriva un uomo in canottiera: si chiama Andrea, come dice un grosso tatuaggio sul braccio che penzola dal finestrino. Il nome era stato anticipato dall’app («il tuo autista è Andrea») ma nessuno ti insegna, prima di viaggiare con Uber, l’importanza dei segnali di riconoscimento: cenni col capo, strizzate d’occhio, persino l’aria spaesata del passeggero-in-cerca-di-autista può salvarti dal rimanere a piedi come un babbeo.
La paura c’è, è innegabile. Anche perché il pagamento avviene prima, tramite carta di credito: i minuti passano nel dubbio di avere sbagliato qualcosa, dopo vari tentativi di prenotazione andati storti – alle 10.15, alle 10.30, alle 10.47 – per colpa dell’e-banking (verificare con la propria banca la presenza di fastidiosi blocchi). Tutta esperienza.
Bene il tatuaggio dunque. Andrea è arrivato. Il viaggio sulle strade luganesi a bordo di Uber comincia con una corsa dall’aeroporto di Agno (il posteggio «di servizio», dietro al bar) alla stazione FFS dove ci attendono file di tassisti imbronciati e malmostosi.
L’arrivo dell’app californiana, sbarcata in Ticino a fine agosto, è stato un piccolo terremoto per il settore dei taxi (già di per sé abitualmente turbolento). Salutato come «una bruttissima notizia» dall’associazione di categoria, ha suscitato un’immancabile interrogazione al Consiglio di Stato (Yannick Demaria, Ps) e svariati articoli di giornale, prima ancora che un solo ticinese avesse messo piede su un’auto prenotata tramite la piattaforma. Di cosa stiamo parlando, dunque?
«Ho colto la palla al balzo»
L’auto di Andrea ancorché utilitaria è comoda e pulita: se non vuole sedersi dietro («fa un po’ chaffeur») il passeggero pagante può affiancare l’autista: dà meno nell’occhio, ed è più comodo per l’intervista. Il bello di Uber è che il percorso è già fissato e il conto saldato - patti chiari amicizia lunga - per cui volendo, almeno in teoria, con l’autista si potrebbe non scambiare una sola parola. In realtà, le curiosità reciproche sono tante in questa fase iniziale.
«Guardi, non posso che parlarne bene» esordisce l’uomo in canottiera. Ha 30 anni, è del Luganese, un figlio a carico. In teoria disoccupato ma volutamente vago al riguardo («sto mettendo su una ditta individuale») si è registrato su Uber giovedì scorso su consiglio di un amico e la sera stessa ha fatto la prima corsa.
Avvertenza: ha potuto farlo perché in una vita precedente Andrea ha «tirato a campare» - dice - come autista di autobus. In tasca ha dunque la patente 121, quella per il «trasporto persone», che è «uno dei tanti documenti che Uber ti chiede al momento dell’iscrizione» spiega. «La procedura è stata velocissima. Ci avrò messo un paio d’ore».
Tutto in regola, Andrea ha passato i controlli e questo per il passeggero è confortante. In una settimana ne ha già trasportati parecchi, soprattutto giovani nel weekend, scarrozzandoli tra un locale e l’altro: dalle 17 circa alle 3 di notte. «Le richieste vanno un po’ a ondate» dice. «C’è un primo picco nell’orario aperitivo, poi nel dopo-cena e a notte fonda per il rientro a casa».
Uber conferma che nei primi giorni la risposta da parte degli utenti è stata buona - «un successo» - ma non fornisce dettagli sul numero di utenti, fasce orarie e numero di corse. Andrea, dal canto suo, ha notato che nel corso della settimana lavorativa le prenotazioni da parte dei ticinesi sono scese. Restano i turisti. L’incasso? 300-400 franchi al giorno, dipende.
Tassisti divisi
Scendendo da Sorengo la Clio attraversa il piazzale di Besso e svolta in via Basilea dietro alla stazione («va bene qui?»). Il luogo deputato alla sosta dei taxi tradizionali (A) è poco lontano. Ad aspettare lungo la banchina in via Maraini ce ne sono otto, a mezzogiorno: hanno l’aria di non avere molto da fare.
Attorno a un vecchio telefono posizionato su un palo della luce – «qui riceviamo le telefonate dei clienti, ma ne arrivano poche» – c’è un crocchio di colleghi tra depressi e innervositi. Replicano una discussione che in realtà va avanti da giorni su un litigioso gruppo Whatsapp, a cui sono iscritti i 47 tassisti con licenza ufficiale del Comune di Lugano. «In sostanza siamo divisi in due gruppi, quelli che odiano Uber e quelli che ci vedono un’opportunità» riassume Daniele Epis, segretario dell’associazione dei tassametristi di Lugano. Lui Uber ce l’ha da anni – «lo uso sempre in vacanza» – e appartiene al fronte dei favorevoli. «Del resto - confida - alcuni di noi hanno già iniziato ad utilizzarlo, di nascosto».
Il fronte opposto invece è pieno di risentimento. Un tassista con camicia hawaiiana ricorda che «in Italia gli uberisti li menano». A Lugano non è ancora successo ma tafferugli anche violenti non sono mancati, quando Uber non c’era ancora, tra tassisti A e tassisti B (indipendenti). Sotto un nuovo cappello, il rischio è che in futuro a venire alle mani siano poi sempre le stesse persone. «Alla fine sono sempre loro, cosa credete?» dice Antonio Sabino, tassista a Lugano da 47 anni. «Noi siamo controllati dalla testa ai piedi, loro hanno sempre fatto quello che volevano, sparando prezzi a caso, e continueranno a farlo con questa nuova app».
Il prezzo non cambia
Sarà vero? In realtà, a confrontare le tariffe di Uber e quelle preventivate «a voce» dai tassisti tradizionali balza all’occhio la similitudine. L’unica differenza è che con l’app conosco in anticipo il costo della prossima corsa – dalla stazione al Parco Ciani, 21,34 franchi – mentre i «vecchi» tassisti fanno previsioni sul tassametro a spanne: dai 20 ai 25 franchi, «dipende dal traffico».
Un fatto è però indiscutibile. Lo conferma il nostro secondo «uberista» che arriva dopo appena cinque minuti con un van Mercedes. Vetri oscurati, camicia e occhiali, è chiaramente un professionista. Infatti alla richiesta di intervista risponde telefonando al suo titolare. «Abbiamo sette auto e fino a settimana scorsa praticamente non lavoravano» spiega in vivavoce Massimo Mattana della Taxi Ticino Sagl. «Adesso sono tutte su Uber e abbiamo avuto un incremento del lavoro del 70 per cento».
Strade che si incrociano
La Mercedes attraversa Loreto, gira al LAC e poi sul lungolago. Il movimento è registrato in una mappa visibile sull’app, che mostra altre sei auto muoversi un po’ goffamente nel centro di Lugano. Quante saranno guidate da tassisti, e quante da «uomini qualunque» che tentano una nuova vita? Forse, in realtà, le due categorie non sono così nettamente distinte.
In apparenza l’autista della nostra terza e ultima corsa (destinazione Cornaredo Stadio: 28, 93 franchi) assomiglia al precedente. Anche lui è in camicia, guida una Mercedes e - confessa - lavora per Taxi Ticino. È stato assunto da poche settimane. «Prima facevo la guardia di sicurezza privata ma la paga quasi non copriva le spese» racconta Anderson, 41enne di Chiasso. È assunto part-time e i contributi sociali - per rispondere a uno dei punti sollevati dall’interrogazione del deputato socialista - glieli paga l’azienda che gestisce la flotta, non Uber. Il sistema può apparire contorto ma non sta all’autista venirne a capo: lui deve solo arrivare fino a Cornaredo e poi aspettare la prossima prenotazione. «Tutto sta nell’essere veloci con il dito» sorride indicando lo smartphone. «Appena arriva una richiesta, il primo autista che clicca si aggiudica la corsa».
Anderson spera di diventare sempre più veloce con il dito. «E che Uber prenda sempre più piede in Ticino, così il capo mi aumenterà la percentuale d’impiego». La corsa è finita: non resta che lasciargli una mancia (la app lo chiede espressamente, da 1, 5, 10 franchi) e augurargli buona fortuna.