È difficile sfondare a Ticinollywood
«Signori, giriamo tra quarantacinque minuti». A inizio novembre Villa Heleneum a Lugano si è trasformata per tre giorni ma nessuno se ne è accorto, a parte qualche smarrito turista («Was passiert?») che si è trovato a sorpresa nel caotico set di un film.
«Lei è una comparsa?»
«Nein, ich bin hier für di Ausstellung».
«Prego, di qua»
Il caos deve essere una caratteristica intrinseca dei set: in questo Hollywood o Bollywood non sono diverse dal Ticino, che pure è una location apprezzata per l’efficienza. Per il resto il cinema nostrano (Ticinollywood?) è a parte: il suo futuro potrebbe somigliare a un grande kolossal americano - chi può dirlo - oppure al set che abbiamo visitato a Villa Heleneum. Ma si spera DU
Grandi e piccoli
La troupe della regista Agnese Làposi è già in sé uno spettacolo: da applaudire. Piccola ma agguerrita, magistrale nell’arte difficilissima (l’ottava, dopo il cinema) di arrangiarsi con quello che c’è. Girano un docu-film sui «Fisici» di Dürrenmatt - da poco andato in scena al LAC, regia di Igor Horvat - e il budget è limitato. «In effetti è più vicino a quello di un documentario che di un film» spiega la regista luganese. Fuori dalla vetrata il lago brilla tranquillo, dentro è un subbuglio di preparativi.
«Mezz’ora all’inizio delle riprese»
La villa-museo sul Ceresio è solo una delle location ticinesi finite negli ultimi anni sotto i riflettori anche internazionali. La diga della Verzasca (007-Goldeneye), via Nassa (Le conseguenze dell’amore) fino agli esterni del LAC, dove di recente è stata girata una celebre sparatoria (Citadel:Diana) sono alcuni dei «fiori all’occhiello» con cui il Cantone tenta di attirare le grandi produzioni internazionali, contese per il loro impatto d’immagine e non solo.
All’ombra delle «star» però, sul territorio sono emersi anche tanti cineasti locali - e molti stanno emergendo - che sognano di vivere di cinema e spesso ci riescono ma non senza difficoltà.
«Vietato sforare»
Nello scantinato della villa adattato a ufficio Làposi distribuisce fogli con la scaletta. È fittissima.
Ore 10.45: installazione materiale
11.15: vestizione attore
11.30: pick-up attrice
11.30: riprese giardino
11.45: vestizione attrice...
E via dicendo. La corsa contro il tempo è effetto dell’organizzazione (il tempo è denaro) ma anche un atto di gratitudine. La villa-museo è stata concessa pro bono - «per l’arte» - dalla Fondazione Bally. Lo stesso vale per un battello gentilmente offerto dalla Società di Navigazione di Lugano, su cui verranno girate le riprese dal lago.
«Non possiamo sforare con i tempi, è doveroso considerata la solidarietà ricevuta» dice il co-produttore Stefano Mosimann. È sdraiato in terra e sta montando un divano nella stanza dove l’Ispettore (Igor Horvat) incontrerà la proprietaria della clinica (Giorgia Senesi). Anche gli attori sono presi in prestito (dallo spettacolo al LAC) e si preparano nel camerino allestito nelle mansarde. Il co-produttore e regista Olmo Cerri fa anche da assistente e scandisce a voce alta - orologio alla mano - il tempo che corre.
«Quindici minuti alle riprese!»
Intorno è tutto un via vai di persone che sono qualcosa e fanno anche qualcos’altro. Il direttore della fotografia è anche cameraman. Il macchinista è anche elettricista. La scenografa monta il materiale di scena (anch’esso in prestito). L’auto usata per scortare gli attori è quella della regista. Il cameraman si è offerto di ospitare a casa propria il tecnico del suono («poi ha preferito dormire da amici»). Insomma ci si arrangia e sorprendentemente le cose, alla fine, quasi per magia funzionano.
«Altro che Hollywood»
È anche questa la magia del cinema. Dietro a tre giorni di riprese ci sono mesi di praparativi: più ci si avvicina al «ciack» più la velocità aumenta e anche lo stress, spiega Cerri guardando il cronometro.
«Cinque minuti!».
Quello che corre più di tutti - giustamente - è il «runner» Andrea, allievo 19.enne alla scuola Cesma di Bioggio visibilmente emozionato. Sale e scende dalle cantine trasportando sgabelli e tavolini - aiutato dalla Domenica - e confessa che di lavoro vorrebbe fare il tecnico audio-video. Questo è il suo primo set.
«Sto facendo uno stage-collaborazione, non so bene come definirlo. Mi è andata bene perché è una produzione piccola ed è più facile orientarmi».
Quello di lavorare «da grandi» nel cinema è un po’ il sogno di tutti a Ticinollywood: intorno ad Andrea ci sono tanti esempi di come ciò sia possibile ma difficile. Il co-produttore Mosimann è arrivato sul set su una vecchia ma resistente Renault stracarica di materiali, anche sul tetto. «Lavoriamo spesso con mezzi molto limitati» dice sorridente mentre le riprese finalmente iniziano e nel giardino è scendo un silenzio imposto (Cerri: «Spegnete i cellulari!») e quasi surreale.
La minaccia dei tagli
L’ispettore di Dürrenmatt-Làposi bussa alla porta della clinica e dice la prima battuta - «buongiorno» - e intanto dietro le quinte circolano voci sui possibili tagli ai finanziamenti pubblici. «Già adesso vivere di questo mestiere in Ticino non è facile» sussurra Mosimann per non disturbare l’audio. «Si lavora a concorsi e magari si prepara per mesi un progetto che poi non viene selezionato».
Anche lui ha due mestieri, come molte persone sul set: lavora come macchinista in proprio mentre per l’associazione REC, fondata nel 2012 a Lugano assieme ad altri professionisti, si occupa di gestire i budget e recupera finanziamenti per progetti come quello di Làposi.
Non è un mestiere facile. «Senza i contributi pubblici e il ruolo fondamentale della Radio televisione, che co-finanzia quasi tutte le produzioni realizzate in Ticino e allo stesso tempo crea lavoro, anche indirettamente, il settore entrerebbe in crisi» prevede Mosimann. «Molti di noi dovrebbero emigrare oppure cambiare mestiere».
Le prospettive di un taglio al canone radio-.tv non scoraggiano i sogni della troupe a Villa Heleneum e del giovane «runner», che ora si riposa mentre gli altri filmano. Ha capito che la scatola magica non funziona se non ci si crede: la passione è quello che muove tutto, dalla cinepresa alle scenografie alla vecchia auto di Mosimann (che diversamente, non si spiega come cammini ancora) all’ispettore Igor Horvat che si muove tra i cipressi del giardino come un malconcio James Bond, ma più affascinante.
Làposi in mezzo a tutto ciò mantiene una calma misteriosa, troppo assorta nelle riprese per preoccuparsi del resto. «Ogni lavoro deve confrontarsi con dei limiti, finanziari o di altro tipo» dice di sfuggita. «L’arte è giocare di volta in volta con questi limiti». Questa volta non sarà un kolossal e nonè nemmeno la normalità: ma è magnifico anche così.