Reportage

È dura essere una monaca a Claro

Abbiamo fatto visita al monastero più antico del Ticino dove, tra biscotti e preghiere, le suore raccontano cos'è la clausura
©Chiara Zocchetti
Davide Illarietti
29.09.2024 06:00

Per salire alla pace che avvicina a Dio il prezzo è sette franchi. È riportato sul citofono, dove una voce scende da lassù - «benvenuti, vi aspettavamo» - e invita i visitatori alla vecchia cabinovia pronta a salire per 500 metri. Sembra il simbolo stesso della clausura - anch’essa un mezzo di ascesa, dopotutto - nel monastero di Claro: austera ma accogliente. Ma per assurdo la portiera non si chiude bene.

La funivia del monastero (Cdt-Zocchetti)
La funivia del monastero (Cdt-Zocchetti)

La nostra fotografa soffre di vertigini e vorrebbe pregare. Il monastero è il più alto e antico del Ticino: se la sua funivia funziona ancora (non è scontato, è del 1974) è proprio grazie alla fede nel senso originario di «fiducia». I sette franchi si pagano all’arrivo, infilandoli in un passavivande di legno. Le monache non possono accogliere i visitatori di persona, ma lo fanno benissimo «da remoto» da esattamente 60 anni.

Gli Amici del Monastero

In realtà, va detto, l’accesso al monastero è sorvegliato da telecamere. Le suore di Claro osservano il mondo esterno in modo da sempre «mediato» (fessure, spioncini, citofoni e infine telecamere) e con un atteggiamento distaccato che può sembrare alle prime diffidenza. «Non siamo di principio favorevoli a metterci in mostra» ha risposto inizialmente la Madre Superiora alla richiesta d’intervista. Poi deve averci pensato su. Dopo qualche giorno ha accettato la visita - con precise condizioni.

La fessura per le offerte (Cdt-Zocchetti)
La fessura per le offerte (Cdt-Zocchetti)

«La funivia è controllata e mantenuta regolarmente, non c’è da preoccuparsi» rassicura Laura Quadri, giornalista di Catholica che partecipa all’ascesa come «mediatrice» e membro dell’associazione Amici del Monastero di Claro. I volontari si occupano della cura della funivia e di tante altre cose (restauri, iniziative culturali, raccolte fondi) per il monastero. «Il nostro compito è fare da collegamento con l’esterno» spiega Quadri mentre la cabinovia sale lenta tra pareti di roccia e antichi alberi a strapiombo. La vista è mozzafiato.

Benvenuti in clausura

«Attenzione, la portiera non è stata chiusa bene». La voce di una suora invisibile, proveniente da un altro citofono che attende i visitatori all’arrivo della funivia, rammenta come niente qui è lasciato al caso: dall’erba del giardino antistante la chiesa di S.Maria Assunta (curatissima) alla comunicazione con gli «esterni». La Madre Superiora ha voluto ricevere in anticipo le domande via mail.

Entrare nella clausura, del resto, significa scoprire regole diverse e la prima è ricordarsi di chiudere le porte (la fotografa ha dimenticato aperta quella del convento). «Con il tempo ci si fa l’abitudine» sorridono la reverenda madre Carla Rossi e suor Cecilia, sedute dietro un bancone di legno nel parlatorio. Non c’è una grata a separarle dagli ospiti: «Abbiamo tolto tende e inferriate, siamo una realtà aperta tutto sommato» assicura Madre Carla. «Siamo molto felici di questa visita».

Non a caso la Regola di San Benedetto da Norcia - il famoso «ora et labora» - parla chiaro: «Tutti gli ospiti siano ricevuti come Cristo». La frase è riportata sul sito web del monastero e a Claro è intesa «in particolare pensando ai fratelli di fede e ai pellegrini» che giungono nell’attigua foresteria. In cambio di libere donazioni («sono fiscalmente deducibili» ricorda il sito) i visitatori possono soggiornare in comode e silenziose stanze oggetto di recente ristrutturazione.

Pellegrini in aumento

In realtà negli ultimi tempi a Claro di «ospiti» ne arrivano sempre di più. «Non teniamo una statistica ma l’impressione è che siano aumentati in particolar modo i visitatori soli, che fanno soggiorni anche brevi, magari di un giorno o due» spiega la Madre Superiora. «Sono in genere persone che scappano dalla confusione del mondo e qui trovano un rifugio, un luogo di preghiera ma anche di pace e silenzio».

L'interno della chiesa di Santa Maria Assunta (Cdt-Zocchetti)
L'interno della chiesa di Santa Maria Assunta (Cdt-Zocchetti)

È vero. Sono le 10 del mattino: le suore sono sveglie da sei ore («la prima preghiera è alle 4.30») e lavorano nei due laboratori del convento: preparano marmellate e ottimi biscotti, restaurano libri antichi e paramenti sacri. La prossima preghiera è a mezzogiorno («ora di sesta») e il silenzio è interrotto solo dal trillo del citofono ogni tanto.

«Sono i turisti che suonano» chiarisce madre Carla. Anche gli escursionisti a Claro sono piuttosto numerosi - una decina in una mattinata infra-settimanale - e si aggiungono ai fedeli che frequentano le messe aperte, separati dalle monache (qui sì) da una cancellata di ferro. «A ben vedere siamo tutt’altro che isolate» sospira la Madre Superiora con una punta di fatica. È anziana - «appartengo ancora alla vecchia generazione» - ed è affiancata da suor Cecilia nel compito non facile di fare «da filtro» con l’esterno, come il grande divisorio di legno alle loro spalle. Anche qui c’è una porticina - chiusa - da cui si accede al cuore della clausura.

Il ricambio generazionale

Chi la attraversa dice «addio» al mondo esterno, almeno in teoria. In pratica «non è detto che chi entra in convento non se ne andrà più» sfata il mito Madre Carla. Fatto sta che di recente i nuovi arrivi sono diventati più rari.

Fondato nel 1490 - «prima della scoperta dell’America» - nella sua storia pluri-centenaria il monastero è arrivato a ospitare fino a una ventina di suore allo stesso tempo. Oggi sono una decina, provenienti per la maggior parte dall’Italia: del gruppo «originale» ticinese non ne è rimasta nessuna: l’ultima consorella Immacolata Masciorini - «una vera montagnina della Verzasca» - se n’è andata nel 2021 a 96 anni. Riposa nel piccolo cimitero antistante l’ingresso del convento, che ospita in tutto tredici sepolture ed è ormai praticamente al limite della capienza.

Madre Carla mostra la foto di un antico manoscritto prima del restauro eseguito dalle monache a Claro (Cdt-Zocchetti)
Madre Carla mostra la foto di un antico manoscritto prima del restauro eseguito dalle monache a Claro (Cdt-Zocchetti)

Il ricambio generazionale è una sfida per Claro come per altri monasteri. «L’età media avanza - constata Suor Cecilia -. Se una volta capitava che le novizie entrassero in convento anche a quindici-sedici anni e aspettassero a lungo per fare la professione, adesso arrivano sempre più tardi, quasi mai prima dei trenta. È la società che è cambiata».

La nuova arrivata

Ci sono («Deo gratias») delle eccezioni. Pochi mesi fa una 18.enne di Claro ha bussato alla porta del convento decisa a prendere i voti. «La mamma era contraria, ma lei ha perseverato nella vocazione che sentiva già da bambina, fino al compimento della maggiore età» dice con gioia la Madre Superiora. «Già alle elementari durante una gita scolastica al convento aveva detto alle compagne: io un giorno vivrò qui. Ha mantenuto la promessa». Oggi suor Anselma sta trascorrendo il noviziato in Toscana, nella «casa madre» di Rosano (Firenze) a cui fa capo il monastero di Claro, in attesa di tornare alla clausura ticinese.

«Ognuna sente la chiamata in modo diverso, non c’è una formula o una tempistica uguale per tutte» prova a spiegare Suor Cecilia. «La cosa essenziale è che, a un certo punto, la vita di prima non ti basta più. Poi ci sono le vicende della vita, le conoscenze: la scelta di un monastero piuttosto che un altro è anche questione di feeling».

Alla parola feeling la Madre Superiora storce un po’ il naso («non divaghiamo») e riporta il discorso alla regola medievale che, traduce dal latino, è «pregare e lavorare». Le monache a Claro vivono ancora come ai tempi di San Benedetto (500 d.C.) o almeno ci provano «perché altrimenti tra clausura e non clausura non ci sarebbe più alcuna differenza» dichiara Madre Carla. «Chi entra qui deve sapere a cosa va incontro. Non è allentando le regole che otterremmo più adesioni, in ogni caso non è quello che vogliamo».

Vietato leggere romanzi

E se per esempio una suora volesse leggere un romanzo? La domanda sfugge di bocca alla fotografa, come se per un attivo avesse considerato l’idea. «No, mi dispiace» scuote la testa laMadre Superiora serissima. «Vorrebbe dire che che non è il posto per lei». Laura Quadri, che ha un dottorato il letteratura italiana, ha un sussulto. La clausura conserverà sempre una parte di mistero difficile da comprendere per chi non ci è entrato, per quanto vicino possa esservi nello spirito.

Del resto la tensione tra «dentro» e «fuori», tra meditazione e distrazioni - «certo che sentiamo la mancanza del mondo esterno, è normale» - è il sale della vita monastica. A volte la corda si spezza e qualcuna abbandona: «È capitato - ammette Madre Carla - ed è un peccato, ma non tratteniamo nessuno». Il destino della clausura è che i passi delle consorelle e quelli dei visitatori si sfiorino spesso senza incrociarsi (quasi) mai. «A volte - sorride suor Cecilia - ci accorgiamo che qualcuno è stato in visita perché troviamo le candele accese in chiesa, o una nuova pianta nell’orto».

Il cimitero del monastero (Cdt-Zocchetti)
Il cimitero del monastero (Cdt-Zocchetti)

È una convivenza delicata. Al di là di quanto vogliano ammettere, le suore hanno bisogno del mondo esterno e il mondo esterno ha bisogno di loro. Lungo il muro di cinta - che ricorda un po’ quello di un fortino - corre una teleferica che rifornisce il convento del necessario per vivere. «Proprio questa mattina ci è arrivato un carico di merce in scadenza da un supermercato» racconta madre Carla. «Non possono più venderla, ma sappiamo bene che le scadenze non sono mai assolute».

«Grazie Ticino»

In generale, la vicinanza della popolazione di Claro (e non solo) nei confronti del monastero è a prova di crisi. «Riceviamo molti più segni di affetto e generosità qui in Ticino che non in Toscana, per dire - assicura la Madre Superiora - questo è certo». Anzi nei momenti di crisi la vicinanza è ancora più forte. «I fedeli ci chiedono preghiere per le ragioni più disparate, dall’esame all’università al parente malato, e noi a tutti diamo il giusto ascolto» assicura Madre Clara. «La società odierna può sembrare smarrita ma nei momenti di difficoltà torna sempre a Dio». Non a caso durante la pandemia di Covid le telefonate e le lettere da parte dei fedeli sono aumentate a dismisura. «Chiedevano preghiere, ma erano anche preoccupati per noi» ricorda Madre Carla. Per le suore in realtà il lockdown non era una novità. «Nessuna di noi ha preso il virus. Eravamo isolate già per abitudine».

Ma isolarsi non vuol dire non conoscere. Dall’alto del monastero le monache seguono da oltre cinque secoli le vicende del mondo esterno. Chiedono notizie alla Madre Superiora, che ogni mattina fa una sorta di rassegna stampa a voce alle consorelle. Ai fini della preghiera non servono troppi dettagli, la cernita è rigorosa. Madre Carla glissa sugli scandali politici - «Sangiuliano? Alberti? Non ci interessano» - e anche su quelli ecclesiastici si limita all’essenziale: della vicenda di Don Leo ad esempio ha riferito «certamente» ma «senza entrare nei particolari scabrosi».

Stesso discorso per gli aggiornamenti internazionali, dalla guerra in Palestina a quella in Ucraina - «Putin ha detto questo, Biden ha detto quello, la sostanza non cambia e la pace nel mondo è sempre più lontana» - e il principio è che «non bisogna inseguire la curiosità ma capire quali sono i problemi sociali e i dilemmi morali del nostro tempo» conclude Madre Carla. Un’idea di informazione «alta» e finalizzata alla preghiera, che potrebbe essere uno spunto anche per i giornalisti - davanti allo sfacelo digalante, dopotutto, cosa resta se non pregare? - e con cui le due monache sorridenti accompagnano infine il loro gentile commiato, con cari saluti e una confezione di biscotti fatti in casa. L’articolo della Domenica sarà all’altezza delle aspettative? Per sicurezza, la Madre Superiora ha voluto leggerlo in anteprima. Fidarsi è bene, ma non si sa mai.

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