«È ora di farci un esame di coscienza»

«Il patriarcato è un limite alla modernità». È un Massimo Carlotto molto deciso quello che è appena tornato in libreria con Danzate su di me (SEM editore), raccolta di quattro racconti al femminile con il quale l’autore padovano, considerato il maestro del noir italiano, inchioda il maschio alle sue responsabilità, meglio alle sue colpe per non essere ancora riuscito a capire il suo ruolo nella società moderna. «Il modello patriarcale è andato in crisi - spiega Carlotto - non regge più la modernità e quindi si comporta spesso in maniera isterica. Non accetta le conquiste e la modificazione della società del mondo femminile, non accetta un modello di donna che in realtà è molto più avanti e moderno degli uomini». Lo scrittore è sicuro. «La discriminante del mondo maschile è se esiste il patriarcato oppure no. C’è una parte del mondo maschile che lo nega e quindi nega il problema, nega anche la necessità di un guardarsi all’interno del mondo maschile per riuscire a definire tutta una serie di punti che dal punto di vista culturale devono essere modificati e che quindi c’è un’urgenza di fare questo ragionamento».
In Danzate su di me ecco allora che vengono trattate quattro storie femminile pescate dalla cronaca, «ovviamente rielaborate sotto forma di racconto», che trattano quei temi che normalmente non si raccontano nemmeno al miglior amico o alla migliore amica. «Tutti temi molto delicati, come il suicidio, il tradimento, la prospettiva della povertà», visti con gli occhi delle donne che diventano «uno specchio della società italiana», appunto. Racconti «che potrebbero essere considerati noir, ma non per forza - annota Carlotto -. Di sicuro sono racconti che vanno a stanare il punto di vista maschile, il suo sommerso, che il ceto culturale di questo Paese non conosce, non racconta. Perché è un ceto culturale che ormai ha perso contatto con la realtà».
Il ritorno dell’Alligatore
La letteratura come spunto per raccontare la realtà, dunque. È sempre questo il fil rouge dell’autore padovano, che proprio quest’anno, festeggia i 30 anni del suo personaggio più celebre in assoluto, l’Alligatore. Al quale, in settembre, sarà dedicato un nuovo libro, otto anni dopo l’ultima sua apparizione. Carlotto non antipa nulla, se non che «uscirà con Einaudi e segnerà una svolta per l’Alligatore». Raccontare la realtà non significa però produrre letteratura consolatoria. Al contrario. «C'è un errore di fondo, perché se si guarda la realtà, ci si accorge che non è consolatoria, ma perturbante. Eppure oggi viviamo un momento storico in cui la letteratura nella sta grande maggioranza è consolatoria. Io penso invece che la letteratura non deve consolare, ma porre delle domande al lettore e il lettore deve essere costretto in qualche modo a rispondere a queste domande. Questo è un meccanismo fondamentale. Nell’industria culturale c’è invece questo equivoco di fondo che in qualche modo deve essere corretto. Bisognerebbe aprire un dibattito, noi in Italia stiamo cercando di farlo con un gruppo di autori, perché l’obiettivo è quello di tornare a immaginare una letteratura, appunto diversa».
Prima c’è però da affrontare il tema dell’ultima pubblicazione, che non può non far pensare, ad esempio, ai femminicidi, che non conoscono una frenata. Ma che anzi continuano a esistere e a riempire quasi giornalmente le cronache nere dei giornali. Una pagina triste e assurda. «I femminicidi sono la punta dell’iceberg - chiarisce l’autore -. Perché in realtà le dinamiche patriarcali sono molto più articolate. La cultura patriarcale non fa parte solo degli uomini, ma è una sorta di infezione che infetta anche una parte del mondo femminile. Pensiamo ad esempio al peso della letteratura rosa nel mondo femminile. Una letteratura che si anima ancora di principi azzurri ed è ancorata a valori sempre figli di una cultura patriarcale». Ecco allora che scegliere di raccontare «quattro storie un po’ estreme e ovviamente molto particolari è utile per poter scardinare e mettere in evidenza alcuni meccanismi che sono solitamente perversi».
Non è cambiato niente
Chi vorrà leggere il libro farà dunque conoscenza di quattro storie e quattro donne. Dalla cassiera del supermercato che per sedici anni ha custodito un amore segreto con un musicista di successo e all’improvviso vede finire tutto, quando un incidente stradale cancella quei rari momenti di felicità rubata, alla madre di famiglia che sfiorisce come la periferia di Torino dopo il tramonto dei miti della grande città industriale, che insegue un riscatto ingannevole nel rancore che riserva ai più sfortunati di lei e nei desideri di rivalsa che proietta sulla figlia.
Ma a sorprendere è anche un altro aspetto. Tre dei quattro racconti pubblicati non sono inediti, ma sono usciti diversi anni fa. Questo significa che nel frattempo non è cambiato niente. La cultura patriarcale c’era 30 anni fa e c’è ancora. Nel 2025. «È vero non è cambiato nulla - afferma Carlotto -. Anzi, alcune cose sono peggiorate, però alcune contraddizioni si sono allargate. Forse i ragazzi sono molto più avanti di noi, penso dal punto di vista del genere, anche se nel loro mondo esistono sempre dei comportamenti assolutamente retrogradi, figli di modelli familiari che vengono riprodotti. Siamo insomma sempre di fronte a una contraddizione che si elabora continuamente, che non ha scarti generazionali».
La mancanza di equilibrio
Resilienza. È forse questa l’atteggiamento e dunque la risposta da opporre a chi nel mondo editoriale, ma non solo, non vorrebbe parlare di certe situazioni o far finta che tutto va bene, consolandosi a vicenda. «Una tendenza letteraria oggi molto comune è quella dei memoir, dei vissuti di persone che si raccontano, ma anche questo è un meccanismo estremamente consolatorio che è spesso preponderante. Il problema è quindi una mancanza di equilibrio all’interno del mondo letterario, nel senso che va bene che ci sia letteratura rosa, letteratura consolatoria, però deve essere tutto proporzionato». Accanto a romanzi dove c’è un crimine, un’indagine, una soluzione e la soluzione mette sempre a posto il caos determinato del crimine, secondo l’autore, deve insomma esserci spazio anche per chi racconta un’altra storia. Una storia che non nasconde il fatto «che viviamo in una società criminogena che sviluppa crimine e strutture anticrimine in una spirale senza fine. C’è insomma poco da fare. Il crimine fa parte in maniera effettiva di questa società e gli scrittori di noir devono usare il crimine come lente di ingrandimento per raccontare la società stessa». Senza scorciatoie.