Manno

«Era la mia fabbrica, mi dispiace molto»

Franco Ambrosetti ora vive solo per la musica – I licenziamenti alla Alcar di Manno, però, non lo lasciano indifferente
L’ingresso della fabbrica a Manno.
Davide Illarietti
21.05.2023 09:45

Forse è presto per suonare il requiem alla Alcar di Manno. Ma Franco Ambrosetti ha già la tromba in mano, o almeno così lo si immagina: sempre in concerto e in tour per il mondo. Più musicista che imprenditore. Anche quando la ex azienda di famiglia, fondata dal nonno nel 1920, è sull’orlo del licenziamento collettivo.

«Ho saputo la notizia e ci sono rimasto molto male» racconta l’81.enne al telefono da Lisbona, nella sua casa nel quartiere «bohémien» del Bairro Alto che sembra lontano anni luce dalle fabbriche ammassate lungo il Vedeggio, dai laminatoi e i forni della Alcar Sa, ex Ambrosetti Ruote. Qui mercoledì i vertici dell’azienda hanno annunciato la ristrutturazione, 97 persone a casa. Le reazioni sindacali sono scrosciate come la pioggia nei giorni successivi.

Franco Ambrosetti a Estival Jazz nel 2019 ©Gabriele Putzu
Franco Ambrosetti a Estival Jazz nel 2019 ©Gabriele Putzu

«Non mi capacito»

A Lisbona invece splende il sole (26 gradi) e Ambrosetti si occupa ormai quasi esclusivamente di musica. L’ultimo disco, «Nora», è stato un successo. La notizia dei licenziamenti - «l’ho letta sul giornale» - è un fulmine a ciel sereno. «Mi dispiace tantissimo e non mi capacito di come le cose possano essere precipitate in così poco tempo » commenta. L’ex presidente della Camera di Commercio ticinese è uscito due anni fa dal Cda di quella che fino al 1995 era stata la Ambrosetti Ruote e che, venduta a un gruppo austriaco, ha mantenuto il nome per altri vent’anni prima di cambiarlo in Alcar Sa. Di difficoltà economiche l’ex proprietario non ha memoria. «Non ne sono emerse finché sono rimasto nel consiglio di amministrazione perlomeno» assicura. «Devo ammettere però che mi occupavo dell’azienda una volta all’anno, e mi mostravano sempre conti ottimi, niente da dire».

Ancorati all'euro

In realtà qualche problemino c’era già, anche prima della crisi post-COVID del settore automobilistico che - nel comunicato stampa diffuso in settimana - l’azienda indica come causa delle misure intraprese. Nel 2015 la nuova proprietà austriaca introdusse il tasso di cambio fisso con l’euro, riducendo del 10 per cento i salari dei dipendenti (in gran parte frontalieri). Una misura che - rinnovata più volte anche al costo di minacciare la delocalizzazione in Italia, nel 2018 - è in vigore tutt’oggi. «Abbiamo fatto tanti sacrifici e adesso rischiamo di rimanere senza lavoro» si sfoga un dipendente all’esterno della fabbrica, in via Vedeggio a Manno. «Abbiamo mutui, famiglie, c’è chi lavora qui da oltre vent’anni. Non meritiamo un trattamento simile».

Calo del fatturato

Secondo Unia non è detto che i licenziamenti diventino effettivi. «Il calo di lavoro c’è stato ma non è tale da richiedere una misura simile o la chiusura della fabbrica» sottolinea il sindacalista Vincenzo Cicero. «In realtà si tratta di un ricatto, per indurre i dipendenti a firmare nuovi contratti di lavoro con paghe inferiori». La riorganizzazione è necessaria a garantire la permanenza in Svizzera in futuro, ha fatto sapere dal canto suo la casa madre austriaca senza entrare in dettagli. La scadenza delle consultazioni è il 30 giugno.

I dettagli sono sconosciuti anche ad Ambrosetti, naturalmente, e lui preferisce così. «La nostra è sempre stata un’azienda che dava ottimi stipendi, era un nostro punto di forza, ho venduto un’azienda in ottima salute ai genitori di quelli che sono gli attuali proprietari, con cui c’era un rapporto di stima e fiducia. Ma cosa volete, i tempi cambiano».

Conversione difficile

Anche il settore delle ruote è cambiato. A Manno si producono cerchioni in acciaio che, ricorda Ambrosetti, «fino al secolo scorso costituivano il grosso del mercato, ma oggi sono stati in gran parte soppiantati dalla lega». Qui il musicista lascia il posto, per un attimo, all’imprenditore che di ruote dopotutto se ne intende e ritiene «difficilissima nonché costosissima una conversione dell’impianto alla produzione in lega». Purtroppo o per fortuna non è un problema di cui l’81.enne dovrà occuparsi. Ha dato le dimissioni dal Cda nel 2021 perché, dice, aveva l’impressione di essere diventato superfluo. «Non mi sono sembrati dispiaciuti della decisione». Continua a incassare l’affitto dello stabilimento e per il resto si dedica alla musica tra Lisbona, la casa estiva sull’isola di Paros e New York, dove da sempre si reca a registrare i nuovi dischi. Sta già pensando al prossimo.

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