Reportage

Finzi Pasca fa sognare Venezia

Siamo andati al Teatro Goldoni, ad assistere ai preparativi dello spettacolo dedicato a una città sempre più in bilico, tra passato e futuro
Un momento dello spettacolo (Cdt)
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
14.07.2024 06:00

I pezzi di vetro di Murano incastonati sulla rinnovata facciata del Teatro Goldoni di Venezia riflettono un caleidoscopio di colori che vanno dal rosso al verde, dall’arancione al blu. È un caldo e afoso giorno di luglio e la città della laguna è invasa – come sempre – da una moltitudine vociante di turisti. Che frenetici cercano di farsi largo tra calle e ponti stretti senza tregua come alla perpetua ricerca del sogno che hanno immaginato e desiderato a lungo prima di arrivare. Tutti vogliono il loro pezzo di magia. Veneziani compresi. (Co)stretti tra un passato glorioso e un futuro carico di incognite. Così, mentre a Palazzo Ducale si celebrano con una mostra i mondi di Marco Polo e al Museo di Carlo Goldoni si conservano con cura gli archivi dell’antico Teatro San Luca e lettere autografe del celebre commediografo che ha dato nuovo impulso alla commedia dell’arte, qui, a due passi da piazza San Marco, all’interno di un teatro vecchio di 400 anni e da poco completamente rinnovato, tra pochissimi giorni andrà in scena un altro sogno. Questa volta firmato da Daniele Finzi Pasca e la sua compagnia. Uno spettacolo nuovo e luminoso capace di abbellire Venezia con nuovi colori. Come quelli dei vetri incastonati sulla facciata del Teatro. Perché sul palco tra acrobazie, musiche, recitazioni ed effetti sonori e visivi, la Serenissima smette di essere quella che vedono tutti i giorni residenti e turisti. Si trasforma in qualcosa di nuovo e brillante. Torna all’origine. Torna a essere magia pura.

Non un’operazione semplice, in realtà. Eppure, riuscita. Perché acrobati, attori e musicisti interpretano e reinterpretano ciò che Venezia rappresenta per tutti. Un viaggio, un sogno a occhi aperti. Bellissimo. Fatto di maschere, mare, vento, nebbia, atmosfere sospese, gioco, seduzione, ironia, turisti e tanta tanta poesia. Croce e delizia smettono così di essere percepite come dicotomiche, distanti, opposte e diventano lo spunto per immaginare un futuro migliore. Per tutti. Ai veneziani è servita dunque la fantasia e l’immaginazione di Finzi Pasca per andare oltre anche e soprattutto agli stereotipi e ricollegarsi con il presente ma anche con un passato che si respira a ogni angolo di strada. Purché ci si sforzi di coglierlo e vederlo. E non si marci pedissequamente lungo i soliti tragitti. Ma si guardi la realtà con occhi nuovi. Pieni di curiosità come quelli di un bambino.

«Per Venezia occasione unica»

La potenza del messaggio di Finzi Pasca in fondo sta tutta qui. Rendere magico ciò che è davanti agli occhi e che si è dimenticato di guardare. Ecco perché circa un anno fa l’hanno voluto in laguna e gli hanno dato in mano la produzione dello spettacolo «Titizé - A Venetian Dream». Uno spettacolo ufficiale della Città di Venezia, che debutterà il 18 luglio e sarà in cartellone fino al 13 ottobre, prodotto dalla compagnia insieme alla Fondazione Teatro Stabile del Veneto-Teatro Nazionale (TSV) e alla compagnia Gli Ipocriti Melina Balsamo. «Il progetto con Finzi Pasca assume un ruolo fondamentale nella strategia del TSV che si presenta come co-produttore di uno spettacolo dal valore internazionale che conta il coinvolgimento di 120 tra artisti e tecnici e una tenitura lunga 52 recite alla pari dei grandi teatri europei – ha spiegato alla stampa invitata al Teatro Goldoni per l’anteprima, Filippo Dini, direttore artistico della Fondazione Teatro Stabile del Veneto -. Una proposta di alto livello culturale che rende onore al palcoscenico del più antico tra i teatri italiani di prosa e con una stagione dedicata ai suoi cittadini. Con Titizé la tradizione popolare del teatro veneto, dalla commedia dell’arte all’opera di Goldoni, girerà il mondo».

Oltre le barriere

Claudia Marcolin, direttrice del Teatro Stabile del Veneto, di cui il Goldoni fa parte, è andata ancora più in là. «Vogliamo aprirci ad altri Stati e Teatri europei per costruire insieme a loro produzioni che nascano e crescano qui ma poi vadano in giro per il mondo», ha detto. «La nostra esigenza – ha continuato – era quella di fare uno spettacolo che parlasse un po’ a tutti, che superasse le barriere della lingua e le barriere culturali che quasi impediscono di entrare in un teatro dove si fanno commedie dell’arte importanti. Siamo entrati così in contatto con Daniele Finzi Pasca e durante un pranzo abbiamo iniziato a parlare di quello che desideravamo fare in questo Teatro e da qui è nato il progetto e poi la produzione di cui siamo molto orgogliosi».

Tornare a immergersi nell’essenza di Venezia, dunque. Sembra essere questo l’obiettivo raggiunto che si sono date le produzioni in campo. Questo per mescolare passato e presente in un unico affascinante racconto. Per ricomporre in un prezioso mosaico tutte le storie che avvolgono da sempre la Serenissima e gettare uno sguardo sul futuro di una città ancora in grado di produrre e di esportare la sua arte e la sua capacità di resilienza in tutto il mondo.

«Marco Polo uno di noi»

Come del resto è accaduto in passato. Presente e futuro che si mescolano con quel che è stato, quindi. Soprattutto quando si parla appunto di resilienza. Una capacità, quella di adattarsi ai cambiamenti rimanendo positivi che è stata adoperata anche da un altro illustre veneziano. Quel Marco Polo a cui i Musei civici in questi giorni stanno appunto dedicando una mostra a Palazzo Ducale.

«Marco Polo è uno di noi, ci può insegnare molto ed essere un esempio per i giovani», sottolinea Chiara Squarcina, direttrice scientifica dei Musei civici, entrando nella prima delle dodici sale dedicate all’esposizione. «Polo certo è stato uno dei tanti viaggiatori che per la Serenissima commerciavano in tutto il mondo all’epoca conosciuto. Ma lo fece cercando di costruire un dialogo che le popolazioni che incontrava lungo il suo lungo viaggio in Asia. Era una mente illuminata, un uomo moderno. Può aiutarci a comprendere la globalizzazione di oggi».

Mappe, utensili, ma anche monete, dipinti, ceramiche, tessuti, gioielli, statuette e anche il testamento scritto dallo stesso Polo. Sono oltre 300 le opere esposte che provengono da collezioni civiche e private. Anche se per assurdo oggi di Polo non resta quasi più niente. «Il Milione» a parte, il libro dei suoi viaggi in Oriente che lo stesso mercante ha dettato in prigione a Genova a Rustichello da Pisa, di Polo non esiste neppure un’immagine. Nessuno sa con certezza come fosse fatto e le uniche raffigurazioni di lui sono false. «Come quella che c’era una volta sulla banconota da Mille lire», annota Squarcina, sorprendendo più di un visitatore della mostra. Che è già di per sè un tuffo nel passato solo per il fatto di essere allestita nel Palazzo che fu dei Dogi.

Là dove si ideò la Biennale

Storia all’interno ma anche in piazza San Marco. Meglio, su un suo affaccio. Dove il 29 dicembre del 1720 venne aperto da Floriano Francesconi il Caffè Florian. Un Caffé, ma soprattutto un’icona, un simbolo per veneziani e turisti. Questo perché nel corso della sua lunga storia, racconta il direttore artistico, Stefano Stipitivich, accadeva che nobiluomini veneziani si sedevano accanto ad ambasciatori, mercanti, cacciatori di fortuna, uomini di lettere e artisti, ma anche accanto a semplici cittadini. E a sedersi nelle sale all’interno c’è da crederlo. Perché il lusso unito all‘arte e al bel gusto è ovunque. «Questa sala dove ci troviamo ora, detta del Senato, è stata scenografia e palcoscenico della nascita della Biennale di Venezia. Nel 1893, l’allora sindaco della città lagunare Riccardo Selvatico, assieme a un gruppo di amici intellettuali e artisti, concepì l’idea di organizzare una prestigiosa Rassegna Internazionale d’Arte Contemporanea, come omaggio a Re Umberto e alla Regina Margherita». Lo sguardo inevitabilmente si posa sulle raffigurazioni pittoriche che adornano la sala realizzate da Giacomo Casa.

La storia che bussa alla porta. Che si affaccia e si nasconde nei dettagli. È anche questa Venezia, un tesoro dai mille scrigni. Da scoprire lentamente, con cura e attenzione, oltre gli stereotipi. Come con la casa di Carlo Goldoni. Che non è sulle rotte dei turisti. E non è neppure enorme. Ma oltre a essere un esempio di palazzo gotico a Venezia nasconde un altro tesoro preziosissimo. L’archivio Vendramin. «Che rappresenta una fonte imprescindibile per l’indagine del mondo teatrale veneziano», chiarisce Squarcina. Un mondo di cui tra pochi giorni anche un luganese farà parte. A giusto titolo.

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