Francia e Corea del Sud, distanti ma vicine
Fancia e Corea del Sud, pur essendo geograficamente distanti, condividono oggi difficoltà politiche simili. Entrambi i paesi stanno affrontando una crisi costituzionale dovuta a conflitti tra i due principali organi politici: il presidente e il parlamento, cioè tra il potere esecutivo e quello legislativo. In Francia e Corea, infatti, sia il capo dell’esecutivo sia l’assemblea legislativa sono eletti direttamente dal popolo, come negli Stati Uniti.
uesto modello di governo è apprezzato per la stabilità dell’esecutivo, che rimane in carica per un periodo prestabilito, e per la maggiore legittimità democratica rispetto al parlamentarismo, dove è l’assemblea - e non il popolo - a determinare chi detiene il potere esecutivo.
Eppure, il fatto che entrambi i poteri supremi dello Stato siano eletti democraticamente a rendere i sistemi (semi)presidenziali più esposti a tensioni e turbolenze. Questa «doppia legittimità», caratteristica distintiva del presidenzialismo, può generare conflitti irrisolvibili quando il Presidente e il Parlamento appartengono a schieramenti politici differenti - una condizione vissuta sia in Francia che in Corea. In Francia, il Presidente Emmanuel Macron deve affrontare un’assemblea parlamentare in cui non ha la maggioranza, mentre in Corea del Sud il Presidente Yoon Suk-yeol - finito sotto impeachment al secondo tentativo di voto (ha affermato che si «farà da parte») - si trova in una situazione delicata, con il suo partito all’opposizione in parlamento.
In questi contesti, diventa difficile stabilire quale autorità debba prevalere in caso di disaccordo. Sia Yoon che Macron mostrano segni di frustrazione nei confronti di un Parlamento che - legittimamente - non si piega alle volontà dell’esecutivo. Tuttavia, le armi istituzionali a disposizione del Parlamento e del Presidente non sono simmetriche. Mentre i parlamenti di Francia e Corea non possono rimuovere il Presidente se non attraverso impeachment (che in Corea è stato appunto approvato contro Yoon, in risposta alla legge marziale), il Presidente francese dispone di uno strumento in più: la possibilità di sciogliere le camere. Macron, tuttavia, ha già usato questa opzione la scorsa estate e non potrà ricorrervi nuovamente prima di giugno 2025.
Il presidenzialismo mostra dunque poche vie d’uscita per superare impasse simili e rivelandosi un sistema incapace di decidere efficacemente quando il governo è diviso. Anche se Yoon e Macron riuscissero a superare gli attuali stalli istituzionali, è improbabile che possano portare avanti i rispettivi programmi di governo. Macron, tuttavia, ha un’opzione in più rispetto a Yoon: potrebbe designare un Primo Ministro - come ha effettivamente fatto con il centrista François Bayrou - e sperare che riesca a ottenere il sostegno della coalizione di sinistra che ha vinto le elezioni di luglio, dunque accettare una coabitazione per i prossimi 3 anni.
In passato, sia François Mitterrand che Jacques Chirac si sono rassegnati alla coabitazione, ma Macron ha scelto un’altra strada, vedremo dove lo porterà. La crisi francese si somma, infatti, alle difficoltà che sta attraversando anche l’altro «motore» dell’Unione Europea: la Germania. È lecito chiedersi se le debolezze che il presidenzialismo sta attualmente rivelando non debbano fungere da monito per quei paesi, come l’Italia, che stanno accarezzando con l’idea dell’elezione diretta dell’esecutivo, presentandola come la formula magica per la stabilità politica.