Gaza, le conseguenze di una falla d'intelligence
Come 50 anni fa. Nell’ottobre del 1973 gli eserciti arabi sorpresero Israele, ieri lo hanno fatto i palestinesi di Hamas con un’azione in profondità, dalle conseguenze catastrofiche. Con una differenza: lo scenario dell’attacco era uno di quelli temuti; dunque, è incomprensibile che non siano state trovate contromisure.
Il primo punto da sottolineare è la capacità delle fazioni radicali di Gaza. Si sono preparate meglio di un esercito, grazie all’assistenza di Iran ed Hezbollah e soprattutto alla loro determinazione. Il loro leader militare Mohammed Deif, sopravvissuto a molte operazioni per eliminarlo, è un uomo dalla lunga esperienza del teatro. Ha scelto il momento più propizio per sferrare il colpo introducendo tutte le componenti delle sue Brigate. Guerriglieri in moto, in deltaplano, a bordo di veicoli in grado di travolgere difese rivelatisi deboli e disorganizzate. I combattenti hanno usato missili, razzi, droni con bombe, a riprova di un arsenale costruito nel tempo.
L’assalto ha messo in crisi la sicurezza dell’avversario ed evidenziato una clamorosa falla in una delle intelligence più famose, apparato che conosce bene il territorio ma evidentemente non abbastanza a prevenire il fendente.
I militanti di Hamas hanno poi messo in atto la sfida mentre lo stato ebraico è dilaniato dallo scontro istituzionale. Governo, militari, partiti sono stati assorbiti da una battaglia durissima e intanto i fedayn studiavano con l’assistenza dei loro alleati, dall’Iran all’Hezbollah. Non va trascurato a questo proposito il quadro regionale. Le fazioni palestinesi potrebbero ricevere supporti attivi da altri movimenti. Secondo alcune interpretazioni l’offensiva delle Brigate ha anche come obiettivo secondario il blocco di qualsiasi dialogo tra Gerusalemme e l’Arabia Saudita. Cosa che potrebbe avvenire se Israele dovesse scatenare una risposta massiccia.
Lo stato ebraico ha poca scelta. Deve riprendere il controllo, rassicurare cittadini sotto choc e punire il nemico. In mezzo, però, ci sono i molti ostaggi catturati nell’incursione, i loro carcerieri potranno usarli prima come scudi e poi quali pedine in baratti. Lo hanno già fatto in passato ottenendo risultati.
Infine una lezione da non dimenticare. Il Medio Oriente è un fuoco sempre acceso, a volte la fiamma è celata dalla cenere, però è tenuta viva da spinte contingenti e antiche che prima o poi riemergono in modo devastante. Lo rammentano la prima e seconda intifada, la stagione degli attentati suicidi, la guerra in Iraq e in Siria, al Qaeda e lo Stato Islamico in epoche diverse, con proprie dinamiche non tutte comparabili. C’erano segnali d’allarme, solo che sono stati ignorati, trascurati, oscurati da altre tempeste o da scelte politiche errate. Con un aggravante: alcuni dei protagonisti – mi riferisco ai movimenti estremisti – hanno agende dove l’uso della forza è uno dei pilastri della loro stessa esistenza. Senza spada non saprebbero cosa fare.