Giuseppe Sannino, il Paradiso del «ciabattino»

Soprannominato «ciabattino» per l’abitudine giovanile di aggirarsi per Torino con pantaloni corti e infradito anche nei mesi invernali. Caratterizzato come un «sergente di ferro» per la sua interpretazione del ruolo di allenatore. Cresciuto a pane e Arrigo Sacchi - osservando gli allenamenti del «grande» Milan per poi applicare schemi e strategie sul campo allenando i giovani della Vogherese. Giuseppe Sannino. Classe 1957, da ottobre 2022 allenatore del FC Paradiso, è entrato nel «giro» che comincia a contare intorno ai 40 anni. Da allora si è seduto per 694 volte in panchina in gare di campionato, spaziando dalla serie D alla A in Italia, con incursioni nei campionati esteri: la Premiership inglese, le massime categorie in Grecia, Ungheria e Libia e la Promotion League in Svizzera...
... Dove col FC Paradiso, da ottobre 2022 a dicembre 2023, ha raccolto 25 vittorie, 6 pareggi e 9 sconfitte. Ossia: la promozione in Promotion League la stagione scorsa e il secondo posto alla pausa invernale in questa, a -3 dal leader Étoile Carouge. Può ritenersi un allenatore soddisfatto…
«Premetto che la mia soddisfazione più grande è quando mi trovo su un campo ad allenare. Ritrovarci dopo la prima partita del girone di ritorno al secondo posto in classifica non può che riempirci di orgoglio».
Usa il «noi»...
«Una squadra è... tutti coloro che la compongono. La società, dal presidente Antonio Caggiano a tutte le persone vicine al club, dal direttore generale Alessandro Grigoletto al custode del campo Giacomino Martinoli. Giuseppe «Beppe» Caggiano, il papà del presidente, che vive per il Paradiso, lo staff al completo, tutti i giocatori e i sostenitori».
Citando Francesco De Gregori, «che si gioca per vincere non per partecipare», il Paradiso punta quindi alla promozione in Challenge League?
«Chiunque partecipi a un concorso lo fa per ottenere il meglio. Ci sono obiettivi stagionali, ma non credo che il Paradiso sia partito per vincere il campionato. Al presidente Caggiano dico sempre che dobbiamo essere una realtà che fa parlare di sé sul campo, senza fare proclami. Solo in questo modo possiamo accaparrarci delle simpatie. Abbiamo oneri e onori. L’onere è creare quell’ambiente giusto sul campo che ti può permettere di ottenere qualche risultato positivo. L’onore è quello di esserci e partecipare al campionato di Promotion League. Un torneo di livello, con squadre preparate molto bene e con bravi allenatori. Per me si tratta di una sfida. Anche se ho allenato in parecchie categorie fino alle massime serie, la Promotion League per me è come se fosse la Serie A. 4-5 squadre hanno più qualità di noi, in compenso noi abbiamo un DNA che ci permette di controbattere colpo su colpo, non tanto sotto l’aspetto della qualità, quanto dell’aggressività e dell’organizzazione».


Come se fosse la Serie A... È passato dai grandi stadi gremiti di gente, in Italia e all’estero, al Campo Pian Scairolo col suo seguito di «aficionados». Una bella differenza…
«Per me, da sempre, contano più la passione e il genuino attaccamento che i giocatori e le persone hanno nei confronti di una società. Poi ci vuole anche un campo per giocare. Grazie agli sforzi della società e del Municipio di Paradiso, come reso pubblico dal presidente, tra qualche mese potrà vedere la luce la «Nuova Casa», dove ci sarà un ambiente più accogliente… da stadio. Mi auguro che ci sia qualcuno che possa aiutare finanziariamente il presidente a consolidare il progetto Sogno Paradiso».
Il mestiere di allenare. In 24 stagioni da professionista, tra dimissioni, esoneri e ritorni, ha cambiato 25 volte panchina. Vive con la valigia accanto, o è magari mosso da valori che non sono proprio quelli in voga nel mondo del calcio…
«Il valore principale è essere sé stessi e veri. Il calciatore deve sapere che davanti a lui c’è un uomo vero, nel bene e nel male. Deve anche sapere che sì, i giocatori sono gli attori principali, ma chi li deve dirigere è ancora più importante. È vero, ho cambiato tantissime squadre, ho dato anche molte dimissioni, più degli esoneri ricevuti, rinunciando anche a molti soldi, ma perché sentivo di non trovarmi nel posto adatto per fare il mio mestiere».
Sul segreto dello spogliatoio. Esiste ed è fondamentale per un allenatore?
«Uno che viene a vedere i miei allenamenti può dire Quello è un pazzo, chissà i suoi giocatori come lo odiano…, penso però che ci siano relazioni che da fuori non si possono vedere. Ciò che conta è come ci si dicono le cose. Se non c’è alchimia - come si è creata al Paradiso - è impossibile ottenere risultati. Se non riesci a entrare nella testa e nel cuore dei giocatori poi tutto si complica».


Segue le Nazionali, cosa pensa del «polverone» mediatico scatenatosi sull’allenatore della Svizzera Murat Yakin?
«Tutte le Nazionali ricevono molte critiche, soprattutto quando le cose non vanno bene. Forse i tifosi svizzeri si aspettavano che la squadra si qualificasse con più ardore. La Svizzera ha giocatori di qualità e mi ha fatto piacere che Yakin sia stato confermato per gli Europei in Germania. Ha raggiunto l’obiettivo e penso sia stato giusto consentirgli di portare a termine il suo mandato. Chissà poi che in Germania non ci scappi la sorpresa... Comunque io sto sempre dalla parte degli allenatori, siamo troppo bistrattati. Vinci due partite e giù titoloni, mentre magari dentro di me sono arrabbiato perché non abbiamo giocato bene. Per questo il mio motto è: quello che hai fatto non conta più niente».
Sulla bellezza di allenare.
«Non solo provo soddisfazione quando mi trovo su un campo ad allenare, io proprio non riesco a non fare la partita con i miei giocatori, perché li devo aiutare. Allenare è una missione, qualcosa che ti senti dentro. Il calcio è la passione, il movimento del dare e la voglia di far crescere i giocatori allenamento dopo allenamento. La bellezza aver visto dei ragazzi dilettanti - come lo erano la stagione scorsa - non mancare un allenamento e anzi venire sempre più numerosi. Capire che il tuo lavoro, il tuo dare, alla fine può portare a raggiungere qualcosa di importante».