Gli interrogatori seriali
Sebbene nel parlamento federale non sieda un Matteo Pronzini, sono ben 3.086 gli atti parlamentari giunti sul tavolo del Consiglio federale durante l’anno ormai agli sgoccioli. Appena più che nel 2023, circa il doppio di quanti erano vent’anni fa (1.512) e il quadruplo di trent’anni fa (745). A dimostrazione del crescente utilizzo di un mezzo che consente ai parlamentari di sollevare questioni concrete ma anche di ottenere visibilità, ciò che è sicuramente in molti casi l’obiettivo più autentico di interpellanze, postulati e mozioni.
L’interrogatore più prolifico è stato ancora una volta Fabian Molina (PS/ZH), un habitué dei piani alti della classifica, che con i suoi 44 atti parlamentari ha preceduto di una sola lunghezza Rémy Wyssmann (UDC/SO), consigliere nazionale alla sua prima legislatura che ha posto una sfilza di domande al Consiglio federale su questioni che vanno dalla «corretta esecuzione della venipuntura» fino alla gestione dei richiedenti l’asilo, in assoluto il tema che solleva più interrogativi tra i democentristi.
Da parte sua Molina, uno dei tanti ex presidenti della Gioventù socialista riciclatisi in Consiglio nazionale, è stato particolarmente attivo sui temi di politica estera, come il conflitto israelo-palestinese e quello tra Russia e Ucraina, i rapporti con la Cina, le relazioni tra Svizzera e Mongolia, ma anche «lo yacht di lusso restituito senza decisione giudiziaria a Teodoro Obiang, figlio del dittatore della Guinea equatoriale».
Trentanove ore per una risposta
In quest’ultimo caso Molina non ha ottenuto soddisfazione. Del resto, buona parte delle domande dei deputati non ottiene soddisfazione. L’unico effetto garantito sono i costi, migliaia di franchi per ogni atto parlamentare. L’ultimo rapporto specifico realizzato dai servizi parlamentari per le commissioni della gestione del Consiglio nazionale e del Consiglio degli Stati, risalente al 1999, calcolava una media di 39 ore di lavoro per rispondere a ogni singolo atto parlamentare e una spesa media che allora ammontava a 4.080 franchi, con forti variazioni a dipendenza che si trattasse di una semplice domanda o di una mozione più elaborata. Teoricamente, basandosi su quelle cifre, gli oltre 3.000 parlamentari di quest’anno sarebbero costati 12 milioni di franchi. Ma da quei calcoli sono passati 25 anni ed è ovvio che in questo periodo i costi possono solo essere aumentati.
Tuttavia l’aspetto finanziario non frena i parlamentari dal presentare in continuazione nuove domande. Non frena neppure gli esponenti dell’UDC, che pure sono sempre in linea nel lamentare l’esplosione dei costi della politica. Proprio quest’anno è giunta ai voti un’iniziativa di Thomas Matter (UDC/ZH) che chiede di ridurre la mole di lavoro dell’Assemblea federale introducendo un tetto massimo di 32 atti parlamentari a testa nel corso di una legislatura, quindi otto all’anno. Allo stesso tempo ci sono però suoi colleghi, in particolare il vallesano Jean-Luc Addor e il capogruppo Thomas Aeschi oltre al già citato Rémy Wyssmann, che continuano a pretendere delucidazioni sulle più disparate tematiche. Spesso si tratta di domande ordinarie, non di mozioni o postulati, ma sono pur sempre interventi che richiedono una risposta del Consiglio federale, poi la traduzione nelle altre lingue nazionali, l’inserimento negli archivi e via dicendo.
Colei che rinunciò
«Ho deliberatamente rinunciato a presentare atti parlamentari a causa dei considerevoli costi che essi comportano», scrisse nel 2004 la consigliera agli Stati Marianne Slongo (Centro/NW) nell’unico atto parlamentare che ha presentato durante i suoi otto anni di permanenza a Berna, volto appunto a quantificare il costo di questi interventi. «Per difendere gli interessi del mio Cantone - aggiunse la nidwaldese -, privilegio il dialogo diretto con i servizi federali, da un lato, e l’intervento nelle commissioni e nel Consiglio, dall’altro».
Slongo non ha però fatto proseliti. Al contrario, il numero di atti parlamentari ha continuato ad aumentare. CarloSommaruga (PS/GE) ne ha già presentati 477 da quando siede a Berna. Più di Lorenzo Quadri (Lega/TI), che ai tempi del Gran Consiglio era l’assoluto mattatore ma che finora a Berna ha depositato «solo» 381 atti, per la maggior parte interpellanze.
Quantità non è qualità
Quadri è stato anche quest’anno il ticinese che ha chiesto più spesso delucidazioni al Consiglio federale, 36 volte, quasi il doppio rispetto al secondo nostro rappresentante più prolifico, Piero Marchesi (UDC/TI), con 19 atti parlamentari. All’ultimo posto, con soli tre interventi, Marco Chiesa (UDC/TI), che pure negli anni precedenti era sempre tra i più prolifici.
Forse Chiesa è stato distratto dalla sua nuova attività in seno al Municipio di Lugano, o forse si è reso conto che serve a poco strafare. Lo stesso Chiesa era stato indicato un paio di anni fa dal portale Watson come il parlamentare i cui atti avevano il minore successo, con zero vittorie su 26 mozioni. Anche i già citati Molina e Sommaruga avevano ottenuto zero vittorie, ma su un numero minore di mozioni (15 e 10).
Dall’altra parte c’erano Andri Silberschmidt (PLR/ZH) e Josef Dittli (PLR/UR) che avevano entrambi centrato l’en plein, con nove atti parlamentari accolti su nove. A dimostrazione di come quantità non equivalga affatto a qualità.