Gottardo, «Qui sotto è una corsa contro il tempo»
A Faido è un weekend di fuoco. Il termometro segna 40 gradi dentro la montagna, circa mille metri sotto il capoluogo leventinese (in superficie dieci gradi di meno). Per recuperare i rottami del treno deragliato il 10 agosto, Mauro Frigerio e i suoi uomini sono al lavoro a ritmo serrato da giorni. Mercoledì gli esperti del SISI, che conducono le indagini sulle cause del disastro, hanno lasciato il campo libero: le operazioni di sgombero sono iniziate immediatamente. «Dobbiamo rimuovere diverse tonnellate di materiale danneggiato e non c’è tempo da perdere», spiega Frigerio in un rapidissimo appuntamento con La Domenica e due testate svizzero tedesche. Mezz’ora di aria, poi tornerà all’opera. «Il lavoro non manca, scusate dunque la fretta».
Fiato sul collo
Gli «angeli» del Gottardo sono una cinquantina di tecnici e operai specializzati: una squadra d’emergenza messa insieme in fretta e furia dalle FFS (impresa non facile, a metà agosto) per alternarsi tra pinze meccaniche e una grande gru bianco-rossa che si allunga fino ai punti più impervi del cunicolo. Lavorano con il fiato sul collo, anche se letteralmente di aria in galleria ne arriva poca (e questo è un altro dei problemi da affrontare).
Le condizioni di lavoro sono «decisamente difficili» ammette Frigerio passandosi una mano sulla fronte. Non importa. La mobilità di mezza Svizzera e di buona parte d’Europa dipende da loro: lo sgombero delle due canne, il Ceo delle FFS Vincent Ducrot lo ha detto chiaramente mercoledì in conferenza stampa, è «il primo ostacolo da superare» per ripristinare il trasporto passeggeri nella galleria più lunga del mondo. Le tempistiche stimate sono di 5-7 mesi, anche se all’inizio si era parlato di pochi giorni, forse una settimana.
Ogni ora è preziosa. «Iniziamo la mattina all’alba e andiamo avanti fino a tardi, ieri sono arrivato a sera senza ricordarmi che era il compleanno di mio figlio» racconta Frigerio, 39 anni, gli ultimi 17 passati sui binari come ingegnere della manutenzione, per lo più proprio nelle gallerie sotto l’Alto Ticino, la terra dove è cresciuto. «È strano» ammette se gli si chiede come si sente a ripassarci ora, tra i rottami del treno e gli impianti danneggiati. «Per noi che eravamo abituati a vedere le cose al loro posto, giorno dopo giorno, palmo a palmo, la situazione ora fa una certa tristezza». Le immagini catturate venerdì da un team di fotografi scesi nel tunnel per documentare lo stato dei lavori lo confermano: vagoni divelti, binari storti, ovunque lattine e «avanzi» del carico trasportato dal treno merci prima dell’incidente.
«E ora cosa succede?»
«Quando sono tornato dentro per la prima volta anche io mi sono sentito spaesato» racconta Thomas Gut, 52 anni, superiore di Frigerio e responsabile dell’infrastruttura nella galleria di base. È collegato alla riunione online da Zurigo, dove sta per prendere un aereo, ma il cuore e la testa sono ancora nell’interscambio sotto Faido dalle 12.45 del 10 agosto. Il primo pensiero, ricorda, è corso ai possibili feriti. Il sistema di sicurezza è a prova di bomba, i tecnici del Gottardo lo sanno bene, ma la paura (irrazionale, per fortuna infondata) c’è stata. «Sono molto contento che non sia successo il peggio». Il secondo pensiero: «E adesso cosa succede?».
Bella domanda. Gut ne è sicuro: «Tornerà tutto come prima, con i tempi e gli investimenti necessari». Sia gli uni che gli altri sono per ora indicativi e i due tecnici non si sbilanciano. «Ci sono molte incognite, man mano che procediamo nello sgombero ci si aprono nuovi scenari». L’ufficio stampa delle FFS precisa che al momento e «fino a nuovo ordine» resta valido il termine indicato dai vertici dell’ex regia federale, ossia l’inizio del 2024.
I lavori procedono a ritmo serrato. La sostituzione del portone d’emergenza sotto Faido («il portone giallo» dei notiziari, distrutto dall’incidente) è andata a buon fine. È una buona notizia. «Abbiamo montato una struttura provvisoria. Questo ci permette di accedere all’area d’intervento in tutta sicurezza» sottolinea Gut. Nel frattempo sono stati potenziati gli impianti di illuminazione e areazione («c’è un buio pesto là dentro») e montati dei container climatizzati a lato dei binari, «per permettere agli uomini di fare delle pause di aria». La maschera anti-gas è d’obbligo per tutti. In queste ore il lavoro si concentra nell’apparecchio centrale, poi si passerà a delle corse di prova in vista della riapertura della canna est al traffico merci. Scadenza tassativa: il 23 agosto.
14 vagoni da portare fuori
Il bello verrà dopo, però. All’interno della canna ovest, quella danneggiata, ci sono ancora 14 vagoni deragliati da rimuovere. La prima parte del convoglio, composto da cinque treni provenienti dall’Italia e assemblati a Chiasso, è stata staccata e portata via in sicurezza (vagoni adibiti al trasporto di merci pericolose, per fortuna vuoti al momento dell’incidente). A Frigerio e colleghi non resta che avanzare a tentoni, per così dire. «Alcune zone del tunnel non sono ancora ispezionabili, i vagoni ostruiscono l’accesso. Possiamo farci un’idea solo quando la zona è completamente libera» spiega l’ingegnere. L’area danneggiata è lunga 8 km e ogni metro viene ispezionato a mano, «non solo i binari ma anche la base e gli ancoraggi». Lo spazio di manovra è ristretto - «dobbiamo usare una gru speciale» - e solo tra qualche giorno sarà possibile aumentare i turni e il numero di addetti impiegati sul posto, i cui nomi sono rigorosamente elencati su una lista che Frigerio cura personalmente.
Nessuno può permettersi di sgarrare, anche se sono giorni concitati e la fatica si sente. Il sindacato dei trasporti SEV sta ricevendo in questi giorni «diverse segnalazioni» da parte di macchinisti, personale di bordo e addetti alla pianificazione. «Tutto il personale sulle tratte interessate in qualche modo dall’incidente è sotto grande pressione» sottolinea il segretario cantonale Angelo Stroppini. «Il discorso vale a maggior ragione per chi lavora in questo momento nella galleria». Frigerio non si sbilancia. Quando torna a casa la sera, dice, è felice. Racconta il suo lavoro al figlio che, viste le circostanze, potrebbe anche perdonargli di avere dimenticato il compleanno.