Il reportage

I camionisti che dormono in A2: «Il Ticino? Non so cos'è»

Vita dura, stipendi bassi (ma non sempre) e mogli al seguito: siamo andati a conoscere il popolo della strada
© Ti-Press / Elia Bianchi
Davide Illarietti
03.03.2024 06:00

Area di servizio di Bellinzona Sud, ore 12.00. Koen mangia pollo e patatine sul «ponte» del suo bolide. Ricorda uno degli operai nella famosa immagine «Pranzo in cima a un grattacielo», non fosse che l’asfalto è a pochi centimetri dalle sue suole. La vita dei camionisti che ogni giorno attraversano l’A2 è sospesa come quella degli operai sul Rockfeller Center, anche se rimangono coi piedi - e le ruote - saldamente a terra.

Koen, 22 anni, fa il camionista da quando ne aveva 18. "Come mio padre e mio nonno, era il mio sogno".
Koen, 22 anni, fa il camionista da quando ne aveva 18. "Come mio padre e mio nonno, era il mio sogno".

Il paragone vale per il settore dei trasporti in generale. Con buona pace dell’ecologia, in Svizzera il 62 per cento dei trasporti merci avviene ancora su gomma: circa un veicolo ogni 14 in transito dal confine di Chiasso-Brogeda è un mezzo pesante, secondo i dati dell’Ustra. Ma quelli targati «TI» sono una porzione infinitesimale, quasi impercettibile. Non è un caso: l’anno scorso l’associazione dei trasportatori in Ticino ha perso altri nove iscritti. Erano 140 nel 2018: ora sono 101, fanno sapere dall'Astag. La crisi dura da anni e il piazzale di Bellinzona Sud ne è la prova.

«Prezzi troppo cari»

All’ora di pranzo gli stalli sono pieni di targhe slovene, rumene, polacche. I conducenti mangiano nei TIR oppure - se non piove - su dei seggiolini a terra tra i camion. Alla stazione di benzina c’è un ristorante ma «è troppo caro» confessa Dargen, 40 anni, bosniaco. «Qui quasi tutti cucinano da sé». L’abitacolo è pieno di provviste - fatte in Italia - e Dargen se le fa bastare come lo stipendio (1.200 euro al mese). «So che gli svizzeri prendono quattro volte di più - dice - ma in Bosnia ci campo la famiglia». Il distacco dal Paese ‘‘reale’’ oltre la ramina dell’A2 non potrebbe essere più ampio: e non è solo una questione economica.

Dargen, 40 anni, vive in Bosnia, torna a casa una volta al mese. La paga: 1.200 euro, per una ditta dell’Est Europa. «Non posso permettermi di mangiare in Ticino, cucino nel mio TIR».
Dargen, 40 anni, vive in Bosnia, torna a casa una volta al mese. La paga: 1.200 euro, per una ditta dell’Est Europa. «Non posso permettermi di mangiare in Ticino, cucino nel mio TIR».

Koen è olandese e guadagna 4 mila euro al mese, ma anche lui mangia al sacco. Non ha mai messo piede «là fuori», nel Ticino che attraversa da anni. «Per me è un luogo di passaggio, ma mi piace ammirarne i paesaggi» dice con un enorme sorriso: a 22 anni vive on the road per vocazione, non potrebbe mai fare un altro mestiere. «Siamo dei nomadi - sentenzia - viviamo in un mondo a parte».

Un mondo a sé stante

Che sia un mondo a parte lo dicono anche le statistiche. Uno studio pubblicato a novembre dall’UST ha fatto notare che il traffico merci è slegato non solo dall’«onda verde» ma anche dall’andamento del PIL svizzero (+1,3 per cento l’anno scorso): nel 2022 è aumentato dello 0,2 per cento, mentre la quota del trasporto su gomma è rimasta sostanzialmente stabile (-0,1 per cento).

Gran parte della questione passa proprio dal Ticino. Lungo l’asse del Gottardo - il più trafficato del Paese - sono transitati 336 mila camion nel primo semestre dell’anno scorso (ultimo dato disponibile, prima del noto incidente ferroviario). Per fare un confronto, nello stesso periodo del 2018 erano stati 347 mila. La sostanza non cambia seguendo il flusso di camion giù fino al confine sud: è stabile da anni, e regolato da leggi proprie.

Dormire sull’A2

Non c’è luogo migliore in Ticino, per capire queste leggi, della dogana di Brogeda. A Chiasso le telecamere dell’Ustra hanno fotografato in media 3.209 mezzi pesanti al giorno nel 2022, contro i 3.638 del 2004: in quasi vent’anni il calo è stato solo dell’11 per cento. La tenacia dei numeri è simile a quella di Giorgio, 56 anni, che alle 8.00 di mattina ha già sbrigato le pratiche doganali ed è pronto a proseguire: un’ernia al disco lo ha costretto a lasciare l’edilizia, anni fa, ma non gli impedisce di «spararsi» un mese di fila al volante. Il Ticino lo ha conosciuto «soprattutto grazie alla radio» spiega. «Ascolto i canali ticinesi fino al confine con Francia e Germania. So tutto della vostra cronaca locale».

Hardeep Sing, 27 anni, è un Sik del Punjab, in India. Gira l'Europa da tre mesi per una ditta lettone. Stipendio: 2.400 euro al mese. "Voglio farlo per due anni, poi tornare al mio Paese. Il Ticino? Non so neanche cosa sia".
Hardeep Sing, 27 anni, è un Sik del Punjab, in India. Gira l'Europa da tre mesi per una ditta lettone. Stipendio: 2.400 euro al mese. "Voglio farlo per due anni, poi tornare al mio Paese. Il Ticino? Non so neanche cosa sia".

Alla mattina presto gli uffici doganali sono già pieni di uomini in ciabatte, pantaloni corti e fisico corpulento. Tutti - come Giorgio - hanno dormito nelle zone industriali del Mendrisiotto o nelle aree di servizio lungo la A2: escono assonnati dai camion, che grazie a dei lettini «da camper» fungono da vere e proprie case.

Ticinesi non pervenuti

C’è chi come Hardeep, 27 anni e un turbante rosso sul capo, ci vive ininterrottamente da tre mesi. «Faccio Francia-Germania-Italia-Olanda avanti e indietro, non mi fermo mai» racconta. Ancora un anno e poi basta: vuole sposarsi e tornare in India. «Non si può fare questa vita con una famiglia». Ma pochi camion più in là, nell’enorme fila in attesa, c’è la prova del contrario. Una coppia di neo-sposi rumeni è partita dall’Olanda con un carico di fiori da recapitare a Sanremo. Vivono da due mesi letteralmente «sulla strada» in una specie di viaggio di nozze perenne. «Stretti? In realtà ci stiamo benissimo» assicura lei, sporgendosi in pigiama al finestrino.

Florin e Andrea sono compagni di vita e di viaggio: 25 e 23 anni, vengono dalla Romania ma da due mesi la loro casa è la strada. «Alla guida ci alterniamo, è molto romantico».
Florin e Andrea sono compagni di vita e di viaggio: 25 e 23 anni, vengono dalla Romania ma da due mesi la loro casa è la strada. «Alla guida ci alterniamo, è molto romantico».

Anche qui l’assenza dei ticinesi balza all’occhio. Gli unici sono le guardie di confine: si barcamenano tra inglese e dialetto nella babele degli sportelli. Le istruzioni affisse alle bachece - in turco, russo, spagnolo - non sempre bastano: «You should write everything here» spiega a un’impacciato Hardeep l’ufficiale Loredana Ferro Coduri. Ci è abituata: nell’atrio del centro doganale fino a due anni fa c’era molta più ressa. «Quello che vedete ora è niente» assicura. L’introduzione di un sistema di «telepass», che permette ai camionisti di annunciarsi tramite app, ha snellito di molto le code. Funziona solo per le merci in entrata, sul lato italiano non è stato ancora implementato «ma abbiamo già visto un grande miglioramento senza venire meno ai controlli» spiega Ferro Coduri. Sul piazzale intanto è un brulicare di camion, che scorrono lenti e ordinati.

Oltre la recinzione di ferro che separa i camion dalla città si respira meno entusiasmo. Non solo per la qualità dell’aria - i livelli di polveri fini a Chiasso sono i più alti del cantone - ma per un indotto in contrazione. «La digitalizzazione delle pratiche doganali significa meno lavoro per noi» fanno notare a denti stretti gli impiegati di una delle tante ditte di spedizioni con uffici su via Maestri Comacini, proprio di fronte alla dogana. Se i camionisti ticinesi sono «molto rari innegabilmente», anche i dichiaranti doganali con diploma federale rischiano di diminuire nei prossimi anni, si teme. «Se oggi in ditta siamo in quindici, tra cinque anni potremmo rimanere in due». E la barriera tra il Ticino e i camion di passaggio rischia di diventare ancora più impenetrabile.

In questo articolo: