Economia

I coniglietti sono più «salati», anche senza dazi

Sulla Pasqua pesano i rincari del cacao, e l'incertezza dei mercati – Alla fabbrica Chocolat Stella a Giubiasco ci si prepara al peggio
©Chiara Zocchetti
Davide Illarietti
13.04.2025 10:30

Alla fabbrica Stella di Giubiasco i macchinari girano a pieno ritmo, come è normale prima di Pasqua. Il cioccolato scorre a fiumi. Delle tavolette - ma anche uova, ovetti e conigli, soprattutto in questo periodo - che escono dagli stabilimenti in via alle Gerre e a Kreuzlingen (TG), una buona parte finisce oltre Oceano.

«L’annuncio di Trump di settimana scorsa è stato un duro colpo, per fortuna è tornato sui suoi passi e possiamo dire che almeno questa Pasqua è salva, poi vedremo» racconta la direttrice Alessandra Alberti tra una riunione e l’altra, una telefonata e l’altra. È un periodo agitato: è tornata giovedì dal Lago di Costanza dove nei giorni scorsi in un incontro i vertici del gruppo si sono riuniti per discutere il da farsi. «Il panorama è molto incerto, e anche se i dazi sono stati rimandati è chiaro che dobbiamo prepararci a importanti cambiamenti nel settore».

«Verso un calo della produzione»

Gli Stati Uniti non sono un mercato «pasquale» per definizione ma rappresentano uno dei principali sbocchi del cioccolato svizzero (assieme a Germania, Inghilterra e Regno Unito) e assorbono un quinto della produzione della storica azienda fondata nel 1921 dalla famiglia Vanotti, oggi di proprietà Müller. Proprio le esportazioni hanno trainato la crescita dell’azienda negli ultimi vent’anni: i dipendenti a Giubiasco sono aumentati da una trentina agli attuali 65, ma negli ultimi tempi la corsa si è arrestata. E le preoccupazioni riguardano anche il personale.

«Il nostro obiettivo è assolutamente quello di non toccare l’occupazione, ma prevediamo un calo della produzione nel breve-medio termine» prosegue Alberti, numeri alla mano. «I nostri clienti in America hanno già bloccato gli ordinativi settimana scorsa, perché erano a loro volta preoccupati. Il rinvio di tre mesi ci dà il tempo di discutere con i nostri partner: probabilmente in questo periodo lavoreremo di più, per esportare il più possibile prima dell’introduzione dei nuovi dazi, quando arriveranno».

Costi quadruplicati in un anno

Il problema insomma è solo rinviato. E si somma a una serie di altri problemi accumulatisi negli ultimi dodici mesi, che vanno al di là della chiusura «forzata» del punto vendita alla stazione FFS di Bellinzona - «un peccato, certamente» - e riguardano tutto il settore. Secondo i dati diffusi questa settimana dall’associazione dei produttori Chocosuisse (che conta 16 membri e di cui in Ticino fa parte, oltre a Stella, anche la Alprose di Caslano) le vendite di cioccolato svizzero sono rimaste grosso modo stabili l’anno scorso (209.100 tonnellate, lo 0,6 per cento in più rispetto al 2023). A fronte di un aumento del consumo interno (più 1,7 per cento) si era già registrata una stagnazione dell’export, che vale molto di più (il 72 per cento del totale). Questo prima di Trump: la causa è il forte aumento del prezzo del cacao, salito da 2-3 dollari al kg a 10-11 dollari sulla piazza internazionale.

«Vuol dire che rispetto alla Pasqua dell’anno scorso il costo della materia prima è praticamente quadruplicato, una cosa mai vista nel nostro settore almeno in tempi recenti» osserva Alberti. «Questo ha fatto sì che soprattutto nei mercati europei che rappresentano una fetta importante delle nostre vendite, una parte della clientela si è orientata sui prodotti più economici penalizzando la fascia alta». L’inflazione non risparmia uova e conigli di cioccolato, il cui mercato resta però prevalentemente svizzero: sarà una Pasqua più cara, dunque, e la speranza di Chocosuisse è che i consumatori svizzeri restino comunque fedeli alle tradizioni d’acquisto, pur a prezzi più alti. Non è scontato.

Puntare su Svizzera e Ticino

Il cioccolato svizzero in generale e quello di Giubiasco in particolare si posizionano appunto nella fascia alta. Negli anni la cioccolateria si è orientata sulla filiera Bio e del commercio equo e solidale: una «onda verde» che risente della nuova temperie (anche politica) ma a cui le aziende non vogliono rinunciare. «Crediamo che puntare sulla qualità resti la strada giusta, ma se i dazi si concretizzeranno dovremo cercare nuovi sbocchi» puntualizza Alberti. Nell’era del protezionismo ineluttabile una strategia potrebbe essere proprio quella di investire di più sul mercato svizzero. «Significherà lanciare nuovi prodotti e lavorare sul marchio, pur sapendo che non sarà possibile raddoppiare i volumi in un mercato già molto espanso».

Il consumo annuo pro capite di cioccolato in Svizzera è il più alto del mondo: 10,6 chilogrammi (in calo l’anno scorso del 2,6 per cento) di cui 4,3 chilogrammi di cioccolato importato. «Come azienda storica ticinese punteremo ancora di più sul territorio e sulla riconoscibilità del nostro prodotto» promette Alberti. Il progetto sul tavolo è aprire un nuovo punto vendita in Ticino, oltre a quello presente nella fabbrica e dopo la ritirata forzata dalla stazione di Bellinzona.

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