«I debiti di oggi sono le tasse di domani e la Confederazione deve risparmiare davvero»
Seguendo le cronache politiche di questi tempi si ricava l’impressione che il Consiglio federale si sia messo in mente di risparmiare. Si direbbe quasi che la Svizzera stia per entrare in un’epoca di austerità. «Ma la realtà è che la spesa dello Stato continuerà a crescere, come ha sempre fatto dalla Seconda guerra mondiale», osserva René Scheu, direttore generale dell’Istituto per la politica economica svizzera (IWP) dell’Università di Lucerna, un istituto che con le sue pubblicazioni vuole essere una voce affidabile e basata sui fatti nelle attuali discussioni di politica economica.
Signor Scheu, la Svizzera è in buona salute?
«Dipende sempre dal punto di vista. Rispetto ai Paesi vicini, la Svizzera si trova in una posizione invidiabile. Tuttavia, se si guarda alle previsioni finanziarie del Consiglio federale, la situazione appare meno rosea. Si prevedono presto dei deficit finanziari annuali dell’ordine di miliardi di franchi».
Ci sono Stati molto più indebitati che pure continuano a spendere e investire. Davvero lei crede che la Svizzera abbia necessità di risparmiare?
«Assolutamente sì. Perché nessuno Stato può indebitarsi a piacimento. Basti pensare alla Francia o agli Stati Uniti, dove la spesa per gli interessi sul debito è oggi superiore a quella per il militare».
Come sono arrivati a questo punto?
«Indebitarsi è la soluzione più conveniente per i politici. Chi promette più di quanto ha, sceglie sempre questa strada».
I debiti sono per forza un problema?
«Riducono il margine di manovra dello Stato e anche quello delle generazioni future. Dopo tutto, i debiti di oggi sono sempre le tasse di domani. La Svizzera ha il vantaggio di aver imposto ai politici una regola ragionevole, il freno all’indebitamento. In sostanza questa regola dice: non spendere più di quanto si incassa in un ciclo economico».
Lei sostiene che il Consiglio federale parla di risparmi ma che in realtà non sta risparmiando.
«La Confederazione svizzera non ha mai risparmiato dopo la Seconda guerra mondiale. In fondo risparmiare significa - e qui non c’è spazio per le interpretazioni - spendere meno nell’anno X rispetto all’anno precedente. Ma questo in Svizzera non era e non è oggetto di discussione. La discussione verte esclusivamente su quanto - o meno - debba crescere in futuro la spesa pubblica a livello federale. In altre parole, la discussione odierna verte sulla riduzione della crescita della spesa, non sulle misure di austerità in quanto tali».
Se la spesa sociale è triplicata in 30 anni, per fare un esempio, non è forse perché sono aumentati anche i bisogni?
«Certo che i bisogni sono cresciuti. Ma è del tutto normale. Più lo Stato può spendere, più le esigenze nei confronti dello Stato crescono. Bisogna rendersene conto».
Perché è un problema?
«I soldi che lo Stato non spende, cioè che non toglie ai cittadini attraverso le tasse, restano nei portafogli delle persone. Loro stessi possono decidere come spenderli, invece che lo Stato li spenda per loro».
Ci sono ambiti nei quali lo Stato potrebbe risparmiare senza fare danni?
«Ovunque c’è spazio per tagli, soprattutto perché il volume dei sussidi federali ammonta a non meno di circa 50 miliardi di franchi. Posso solo raccomandare a tutti i lettori di leggere il rapporto sulle sovvenzioni dell’IWP (di cui La Domenica ha riferito nell’edizione del 13 ottobre 2024, n.d.r.). Il rapporto mostra tutte le sovvenzioni in modo trasparente. Ci si rende subito conto che in Svizzera ci sono così tante sovvenzioni assurde che è facile ridurle. Per fare un solo esempio: perché i contribuenti svizzeri finanziano una fondazione immobiliare a Ginevra che sovvenziona gli affitti di organizzazioni internazionali esenti da tasse per 37 milioni di franchi?».
La Svizzera è un Paese socialista?
«La Svizzera ha una quota fiscale estesa - che comprende il risparmio professionale obbligatorio e i premi di assicurazione sanitaria - di circa il 45%. Ciò significa che non sono i cittadini, ma lo Stato - cioè i politici e i funzionari pubblici - a decidere su quasi la metà di ciò che si guadagna. Il filosofo tedesco Peter Sloterdijk ha definito queste condizioni «semi-socialismo basato su un’economia di proprietà».
Secondo lei l’amministrazione pubblica è troppo ingombrante?
«Non voglio dare un giudizio in questa sede. Posso dire che secondo uno studio dell’IWP i dipendenti pubblici federali con le stesse qualifiche guadagnano circa il 12% in più rispetto ai dipendenti del settore privato. È una bella differenza. Ciò di cui abbiamo bisogno è la trasparenza. Poi l’elettorato potrà decidere cosa ritiene opportuno. In fin dei conti, la dimensione dell’amministrazione è, in Svizzera, una decisione democratica».
In Ticino è stata lanciata un’iniziativa che chiede una soglia al numero di dipendenti pubblici. L’idea è di limitarli all’1,3% della popolazione. Secondo lei è una buona idea?
«Ogni burocrazia ha la tendenza a crescere da sola.Questo sviluppo è stato descritto per la prima volta dall’economista Adolf Wagner nel XIX secolo con il titolo di legge della crescita della spesa statale. È ben documentata nella letteratura scientifica. In questo contesto, limitare l’amministrazione pubblica attraverso una norma astratta organizzata dinamicamente ha perfettamente senso. Spetta al sovrano del rispettivo ente locale di decidere come debba essere esattamente questa regola. Sarà interessante vedere come decideranno gli elettori ticinesi dopo che di recente un’iniziativa popolare simile è stata respinta per poco nel canton Soletta».
Lei ritiene di pagare troppe tasse? Chi paga troppe tasse in Svizzera?
«La mia sensibilità personale non conta qui. Una cosa è chiara. In Svizzera, le persone di successo economico pagano molte tasse grazie al sistema fiscale progressivo. Il 10% delle persone che guadagnano molto paga circa il 55% delle tasse totali. Si può quindi dire che la ridistribuzione dall’alto verso il basso è massiccia. Il minimo che ci si possa aspettare alla luce di questo fatto è un po’ di gratitudine da parte di coloro che beneficiano della ridistribuzione. E un po’ di orgoglio da donatore da parte di chi lavora molto, guadagna molto e quindi dà anche molto».
E per la sanità ritiene di pagare troppo?
«Il nostro sistema sanitario è uno dei migliori e, allo stesso tempo, dei più costosi al mondo. Gli incentivi sono sbagliati. Nessuno è incentivato a risparmiare, né i medici, né gli ospedali, né i clienti. Questa situazione deve cambiare».
Come?
«L’ex consigliere federale Pascal Couchepin ha proposto l’idea di una tassa di ambulatorio. Chiunque vada dal medico paga 30 o 50 franchi, a meno che non si tratti di un’emergenza. Studi condotti in Germania dimostrano che questa misura scoraggia i pazienti dal recarsi dal medico per casi minori. Tuttavia, è chiaro che questo sarebbe solo un primo piccolo passo. Secondo gli studi condotti in Svizzera, il potenziale di aumento dell’efficienza ammonta a circa il 20% di tutti i costi sanitari, un valore non indifferente».