L'incontro

«I Gotthard danno ancora fastidio»

Il rapporto con il Ticino, il figlio e la musica, Leo Leoni si racconta in vista di Moon&Stars
Leo Leoni ha fondato nel 1992 assieme all’amico Steve Lee i Gotthard. © CdT / Gabriele Putzu
Grant Benson
06.04.2025 06:00

I Gotthard sono da 33 anni sulla «crest of the wave» come si dice in Inghilterra. Un’onda iniziata a Lugano nel lontano 1992, e che non accenna a fermarsi. Sono la band ticinese (svizzera) più famosa nella storia del rock e con il disco Stereo Crush ora sono di nuovo in testa alla classifica delle vendite nazionale.

È la 18.esima volta. Neanche i Beatles.
«Diciassette, diciotto. Sicuramente siamo molto soddisfatti ed è bellissimo essere arrivati fin qua»

Quale è il segreto?
«Il segreto non lo so. Di sicuro ce l’abbiamo messa tutta e continuiamo a impegnarci per fare il meglio, per lasciare un pezzo di noi che rimanga. Al mondo d'oggi, tra tanti altri generi musicali e tanta musica fatta più elettronicamente che non manualmente, fa piacere vedere che c'è ancora buona sana dose di rock’n’roll in all of us».

È vero che nella musica le mode cambiano continuamente, dai vestiti ai tagli di capelli, ma il rock è ancora lì da 50 anni. Come mai?
«Io penso che il rock’n’roll è un po' la lingua del popolo, no? Quello che poteva essere il blues prima, e in parte lo ancora oggi, o magari il pop. È come un paio di blue jeans. Cambia magari un po' la forma, però resta sempre blue jeans. È qualcosa di onesto e fedele a sé stesso, ribelle ma elegante. E sicuramente c.è tanto amore».

Il punto più alto e più basso, nella vostra carriera?
«Il punto più basso è stata la scomparsa di Steve. È successo, è una pagina che non è stata scritta da noi. Ma in quel momento abbiamo trovato la forza di andare avanti. Di trovare anche nel male la strada che porta al bene. Abbiamo tirato fuori uno spirito positivo, nonostante tutto».

E il punto più alto?
«Beh, il ritorno sul palco e il fatto di essere ancora qui dopo tanto tempo insieme. Il «big plus» direi che è il nostro percorso nel suo insieme».

Hai ricordato Steve Lee, mancato nel 2010 in un incidente in moto nel Nevada, e lo ricorderete di nuovo nel prossimo Moon and Stars con un concerto dedicato a lui. È un modo per riportarlo a casa?
«Diciamo che è un modo per riportare a casa il suo spirito, sì. Di rendere omaggio al suo grande talento assieme al pubblico che lo ha visto crescere. Lui sarà sul palcoscenico tramite alcuni video, niente di strano o 3D, ma penso che sarà un bello spettacolo».

Come è nata l’iniziativa?
«Avevamo fatto qualcosa di simile l‘anno scorso a Zurigo e la risposta è stata entusiasta. Una grande emozione. Quando ci hanno chiesto di riproporlo a Locarno ci abbiamo pensato su due volte, ma poi abbiamo pensato che fosse giusto».

Il Ticino è la vostra patria. Si dice «nemo propheta in patria».
«Si dice ma nel nostro caso non è vero. Dipende in ogni caso da cosa s’intende con patria: il Ticino, la Svizzera, il mondo? L’universo? Noi siamo stati fortunati: siamo stati profeti in patria in Ticino, in Svizzera, e se non nel mondo almeno in una buona parte. Certo decollare dal Ticino può essere più difficile, penalizzante».

Più difficile che a Zurigo o Ginevra?
«Sembra che in Ticino certe cose si smuovano più difficilmente, parlo soprattutto del supporto dei media, o delle istituzioni che dovrebbero supportare in generale la musica».

Non avete ricevuto supporto?
«Quando eravamo una band locale ci chiedevano di essere più internazionali, poi quando siamo diventati internazionali e in testa alle classifiche sembrava quasi che dessimo fastidio, e un po’ di fastidio sembra che lo diamo ancora».

In che senso?
«Beh se penso alle radio, agli schermi televisivi nei bar o cose del genere è difficile che passi ancora una canzone dei Gotthard e questo un po’ dispiace, sinceramente. Come non passa la musica di tantissimi altri bravi artisti locali, senza fare nomi. Questo comunque non toglie nulla alla nostra soddisfazione e alla voglia di continuare a fare qualcosa di bello. E siamo ancora più grati a chi ci supporta».

Che consiglio daresti ai giovani ticinesi che vogliono emergere nella musica oggi?
«Mai arrendersi al primo ostacolo. Ascoltare le critiche, e non smettere mai di sognare. Prima o poi, se continui a spingere e a fare le cose bene, prima o poi l’opportunità arriva».

L'eterno ragazzo Leo Leoni. Ma anche tu sei diventato padre da poco: è cambiato qualcosa?
«Non ho fatto grandi tour da quando è nato mio figlio, saprò rispondere alla fine di quest’anno. Di certo sarà difficile per me e soprattutto per chi rimane a casa, per mia moglie. Cambiano le priorità, cambia tutto, ma è proprio questo il bello no? Il senso della vita. Prima facevo vedere agli amici la mia collezione di chitarre. Adesso faccio vedere la collezione di chitarre di mio figlio».

Chi fa più rumore, in casa?
«Tra le mie prove e il bambino che piange, facciamo a gara».

Come concludere? Long live rock and roll?
«Long live rock and roll, assolutamente. Per fortuna che c’è il rock and roll».

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