I nuovi dottori che restano a Lugano
Avete in mente cosa diceva Antoine de Saint-Exupéry? «Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma dapprima insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito». Linda Eisenegger, 25 anni di Bülach, prende in prestito l’aforisma dello scrittore francese per farci capire la preziosa lezione che ha imparato nei suoi tre anni di master in Medicina in Ticino. «Grazie alla formazione clinica che ho ricevuto qui, ho capito che fare il dottore non significa «soltanto» conoscere patologie e terapie. È anche passione, amore sconfinato per un lavoro che va oltre la lingua della scienza».
La riconoscenza
Linda è una delle studentesse e degli studenti provenienti dal politecnico di Zurigo e dall'Università di Basilea e dagli altri atenei svizzeri che per completare la formazione universitaria ha puntato sul Ticino. Tre anni fa, dopo il Bachelor presso l’Uni zurighese, prese il treno e si trasferì a Lugano per conseguire il master in medicina, in barba ai problemi di lingua che avrebbe potuto avere. «L’italiano? L’ho imparato cammin facendo. A me era piaciuta fin dall’inizio la presentazione della formazione ticinese». Oggi la venticinquenne è una dottoressa fresca di nomina: tre mesi fa ha brillantemente passato l’esame federale. Avrebbe potuto fare subito ritorno nella Svizzera tedesca, invece ha cercato lavoro in Ticino.
«Durante questi tre anni ho ricevuto così tanto che mi è sembrato giusto non scappare via subito in Svizzera interna, qui io mi sento a casa ed è qui che ho avuto la fortuna di imparare da persone che ammiro seguendole da vicino, per questo voglio offrire qualcosa in cambio, per me è una questione di riconoscenza» spiega la dottoressa che a marzo inizierà a lavorare nel reparto di medicina interna all’ospedale Civico a Lugano.
Una porta sempre aperta
Di riconoscenza nei confronti del mondo accademico ticinese parla anche Matthias Schrämli, 26 anni, di Davos. Lui lavora al Cardiocentro dallo scorso gennaio ed è un altro giovane laureato immatricolatosi in Ticino che non ha voluto saperne di lasciare il nostro Cantone alla fine degli studi. «A pensare che non volevo venire qui» racconta, aggiungendo che «già dopo il primo semestre capii invece che avevo fatto la scelta giusta». Fu la dimensione famigliare del master ticinese a colpire il giovane dottore grigionese. Si ricorda bene quando quattro anni fa incontrò per la prima volta a Tenero professori e tutori, i quali «erano tutti sorridenti e la loro motivazione era contagiosa! La cosa mi sorprese molto perché avevo appena terminato il Bachelor all’ETH di Zurigo e lì si respira un’aria diversa, quella dei grandi numeri». Ma c’è un altro aspetto che stupì Matthias Schrämli: il fatto che «qui per noi studenti la porta fosse sempre aperta. Per qualsiasi dubbio potevamo rivolgerci a tutti senza problemi, dal decano ai tutori. Per i professori non eravamo numeri, ma persone in carne ed ossa alle quali dare ascolto. Eravamo presi molto sul serio e ciò ci ha aiutato tanto. Prezioso anche il fatto che potessimo confrontarci subito e direttamente con i pazienti. Ecco perché provo un sentimento di riconoscenza».
Niente è scontato
Quando riportiamo questo sentimento di gratitudine espresso dai due ex allievi, il decano della Facoltà di scienze biomediche dell’USI Giovanni Pedrazzini e il vice decano alla formazione Luca Gabutti gongolano: le considerazioni di Linda Eisenegger e Matthias Schrämli non possono che far loro un gran piacere. «Segno che siamo sulla buona strada» chiosa il decano. Tanto più che oggi più del cinquanta per cento degli studenti del bachelor dell’ETH di Zurigo vengono a Lugano «e ciò è straordinario». Non solo, «il politecnico ci sostiene e ci aiuta». Inoltre nel 2022 quella ticinese è risultata la miglior facoltà della Svizzera, secondo un’inchiesta svolta a livello nazionale tra più di mille studenti. Insomma, quella del master in medicina ticinese è una bella storia di successo «nella quale però non c’è - e non c’è mai stato - nulla di scontato nei suoi cinque anni di esistenza».
Numeri ancora insufficienti
La macchina è complessa: per formare gli studenti sono stati reclutati in Ticino quasi trecento medici «un piccolo e prezioso esercito che abbiamo dovuto formare per l’insegnamento e che dobbiamo motivare ogni giorno per andare avanti». C’è poi un’altra questione che non fa mai dormire sonni tranquilli a nessuno: il raggiungimento del numero di studenti finanziariamente sostenibile. «Ogni anno - spiega Giovanni Pedrazzini - dovremmo contare settantadue studenti, così come stabilito nel messaggio governativo del 2014. Purtroppo però la concorrenza delle grandi università formatrici della Svizzera è spietata e per ora - con 48 studenti al primo anno, 57 al secondo, 67 al terzo, 52 al quarto e quest’anno 62 studenti iscritti - siamo ancora al di sotto dell’asticella».
«La strada è quella giusta»
La buona notizia, come puntualizza Luca Gabutti, è che tutti gli studenti del primo e del secondo anno hanno passato con successo gli esami (che sono uguali in tutta la Svizzera). «Non ci sono state bocciature e questa è una gran bella notizia. Non solo: quest’anno - aggiunge il vice decano alla formazione - la media dei risultati d’esame ottenuti nello scritto da nostri studenti è risultata la stessa di quella degli studenti di Zurigo, notoriamente i primi della classe da sempre rispetto a tutte le altre università; ciò mi riempie di orgoglio, significa proprio che la strada che abbiamo imboccato è quella giusta».
Per Giovanni Pedrazzini ci vorrà ancora un po’ di tempo: cinque, massimo dieci anni «fin che la comunità svizzera si convinca che in Ticino si sta facendo qualcosa di prezioso che è per il bene di tutti, visto che nel Paese c’è un immenso bisogno di formare medici del nostro territorio».
Formazione da prendere sul serio
Intanto il modello di master ticinese continua a ruotare attorno ad un approccio particolare, incentrato sia sui contenuti, sia sul rapporto diretto con gli studenti. La famosa «dimensione famigliare» tanto apprezzata da Linda Eisenegger e Matthias Schrämli.
«Fin dall’inizio ci siamo fissati un obbiettivo ben preciso - spiega Pedrazzini - volevamo trasmettere competenza e passione per questo mestiere; non volevamo formare soltanto dottori, ma bravi dottori, coscienti del loro ruolo e del fatto che non si tratta di un mestiere facile». Uno dei grandi problemi della medicina moderna è il tasso di abbandono unito al burn out dei dottori. «Secondo me - dice il decano - l’antidoto passa proprio dalla formazione: occorre prenderla sul serio, cercando di tramandare ai futuri medici tutti i valori necessari». Conoscenza, studio, ma anche tanta passione «per permettere di vivere bene questo mestiere, al di là del carico amministrativo e delle ore di lavoro. Se un medico viene formato in un modo che è convinto che quello che fa è giusto e che è importante che lo faccia bene, lavorerà bene per tutta la sua vita, che diventi medico di famiglia, ricercatore o neurochirurgo».
Grazie al master, guardiamo di nuovo a nord
C’è un altro fattore importante legato al master in medicina made in Ticino: riguarda il nostro modo di relazionarci con il resto del Paese.
«Negli ultimi anni - spiega Luca Gabutti - la medicina ticinese sembrava più orientata verso l’Italia, lo sguardo di noi medici era spesso rivolto alla Lombardia. Il master ci ha permesso di tornare a guardare a nord del Gottardo. Abbiamo studenti di Zurigo, della Svizzera romanda dei Grigioni. Offriamo esami in italiano e in tedesco e abbiamo intensificato i rapporti con le università del resto del Paese. Credo che grazie al master abbiamo contribuito a riportare gli ospedali ticinesi in una dimensione elvetica, senza togliere nulla alla sanità d’oltre il confine».
È vero - conferma Giovanni Pedrazzini - il master ha riportato in Ticino la sana cultura medica svizzera, con la sua storica tradizione della centralità del paziente. Da una parte introducendo da subito tutte le giornate cliniche durante le quali gli studenti vedono i pazienti. Dall’altra perché i nostri studenti vengono da università che hanno una cultura svizzera molto forte. Non si tratta di essere discriminanti, ma penso che faccia bene a tutti questo modello culturale».