I salari bassi dietro la spesa oltreconfine
La Migros dice «grazie Svizzera»? Anche le svizzere e gli svizzeri possono dire «grazie Migros». Alzi la mano chi non è mai, almeno una volta nella vita, entrato in un negozio Migros. Quanto creato un secolo fa da Gottlieb Duttweiler non è solo una catena di supermercati: è qualcosa che ha contribuito allo sviluppo della Svizzera moderna, diventando un simbolo praticamente indissolubile del Paese e della sua caratteristica «Swissness» (elveticità). E lo ha fatto non solo distribuendo generi alimentari e di prima necessità a prezzi (e in luoghi) accessibili a tutti, ma anche offrendo impieghi socialmente ed economicamente dignitosi - attuando concretamente quella responsabiltà sociale d’impresa molto prima dell’invenzione del relativo acronimo, CSR, che molte imprese di oggi sbandierano senza conoscerne il significato più profondo.
Ma come per tutte le realtà ben radicate nella società, con il trascorrere del tempo ci si dimentica forse del perché esistono. Anzi, sono date per scontate e, quindi, facilmente attaccabili.
Le recenti polemiche scatenatesi a seguito delle affermazioni del numero uno del gruppo Migros, Mario Irminger, in merito alla questione del turismo della spesa, ne sono una dimostrazione. In un’intervista ha dichiarato, riguardo al limite di esenzione dall’IVA svizzera (abbassato dal primo gennaio a 150 franchi) per le merci acquistate oltreconfine, che «una riduzione a 50 franchi sarebbe stata ideale». In Ticino le sue parole hanno scatenato un vero e proprio putiferio, via social ma non solo: anche contro Migros e il suo vertice. Va detto che Irminger non ha tutti i torti, così come i consumatori arrabbiati. Questi, forse ancora di più. Puntare però il dito contro Migros non solo non serve a nulla, ma è pure sbagliato. Non sta lì il problema: se sempre più persone faticano ad arrivare alla fine del mese e sono «costrette» a emigrare oltreconfine per fare gli acquisti, è perché, semplicemente, i loro salari sono insufficienti. Va detto che fare la spesa all’estero non è necessariamente più conveniente: oltre ai costi di trasporto, l’inflazione ha colpito in modo più marcato i Paesi dell’Unione europea. Chi fa la spesa regolarmente in Italia, oppure in Germania o in Francia, se ne sarà accorto. Ma per i consumatori che si sono scagliati contro Irminger, la Migros è ritenuta troppo cara. Da quando? La sua concorrente principale è notoriamente più cara su tutta una serie di prodotti, eppure pare che gli affari vadano bene e non soffra della concorrenza né dei discounter tedeschi, né del turismo della spesa oltreconfine. Ecco che probabilmente questa rabbia ha un’altra origine e obiettivo - ed è forse anche un po’ ipocrita.
Sì, perché chi sono veramente queste persone che, con vari livelli di veemenza, si scagliano contro la Migros? E, soprattutto, perché - almeno qui in Ticino - molti turisti della spesa non sono persone in difficoltà economica? Davanti all’evidenza sulla concorrenzialità della Svizzera (per il caso ticinese si vedano i servizi di «Patti chiari» o le analisi dell’Associazione dei consumatori) la risposta più comune è che all’estero «la qualità è migliore», oppure «c’è più scelta». La soggettività prevale, una scusa per non fare la spesa in Svizzera la si tira sempre fuori. E allora, chiediamoci se nelle regioni di confine, vittime del turismo della spesa, valga ancora la pena che Migros, o altri, mantenga una presenza. Una presenza, tra le molte altre cose, che offre impiego a oltre un migliaio di persone (posizioni a tempo pieno equivalente), in grande maggioranza residenti in Ticino. Immaginiamoci allora come sarebbe vivere, in Svizzera, senza la grande M arancione. Certo, se il buon Duttweiler non avesse avuto successo con la sua rivoluzionaria impresa oggi avremmo altri supermercati, magari stranieri e probabilmente senza il valore aggiunto sociale dato dalla forma cooperativa dell’azienda che era anche un progetto di società. E allora poniamoci una domanda profonda: cosa sarebbe, davvero, la Svizzera senza la Migros?