I traduttori temono di perdere il lavoro

Alzi la mano chi non ha mai usato un traduttore automatico, quel programma, su computer o smartphone che in pochi attimi permette di ricavare un senso a una frase o una parola di un’altra lingua. Probabilmente oggi sono in pochi a non affidarcisi. Tutto bene, quindi? Dipende dai punti di vista. Perché non sempre la tecnologia è perfetta. Soprattutto quando mette a rischio la qualità e anche il mestiere di chi ha studiato tutta una vita per arrivare a essere un professionista, a palleggiare con maestria e sapienza, detto altrimenti, le competenze e le conoscenze acquisite. Non è insomma un caso che l’Associazione degli autori e delle autrici della Svizzera (A*dS) ha lanciato un’iniziativa per rafforzare il sostegno alla traduzione a livello cantonale e comunale, con il supporto di Pro Helvetia. «Il crescente uso dell’intelligenza artificiale nella traduzione letteraria comporta una perdita di qualità e mette a rischio la reputazione della professione», ha sottolineato nei giorni scorsi l’associazione. Che facendosi interprete delle preoccupazioni del settore sta portando avanti la campagna «Niente Svizzera senza traduzione» .
«Uniamo le forze»
Insieme, si chiarisce, «dimostreremo che le traduzioni sono indispensabili per salvaguardare e tenere viva la diversità culturale nel nostro Paese». Come? «Migliorando in modo significativo l’attuale situazione precaria dei traduttori in Svizzera, così come degli editori svizzeri che pubblicano traduzioni, presentando domande di finanziamento a livello federale e anche nei Cantoni e nelle città dove al momento non ci sono bandi aperti». Con ogni domanda di finanziamento, questo l’obiettivo, si renderà visibile il valore del lavoro. Perché «ogni domanda presentata è un passo avanti verso migliori condizioni di lavoro: per voi, per le generazioni future e per il panorama letterario nel suo insieme. Unendo le forze, convinceremo i cantoni e le città e tutti gli enti che finanziano e promuovono la letteratura, che le traduzioni meritano sostegni mirati».
Tradurre non è insomma inserire delle frasi di un’altra lingua in un programma informatico che lavora con degli algoritmi. È molto di più. «Dal mio punto di vista - spiega Anna Ruchat, traduttrice, scrittrice e poetessa nata a Zurigo - le scorciatoie nella traduzione sono un controsenso in quanto lo spessore, la qualità di una traduzione sono dati dalla profondità della ricerca e quindi anche dal tempo impiegato».
Il grande pericolo
Ettore Mjölsnes, traduttore nato a Locarno per la Cancelleria federale, va ancora più in là. «La traduzione automatica - scrive in un contributo per il blog delle edizioni Weblaw - misconosce totalmente le particolarità e il valore aggiunto propri all’esercizio stesso di tale attività, non ha alcuna pertinenza con tale processo e presenta anzi il grande pericolo di insinuare nella gestione del plurilinguismo svizzero una concezione liquidatoria dello stesso, non conforme al dettato costituzionale». Tutto questo perché «il plurilinguismo istituzionale svizzero si fonda sull’equivalenza delle lingue ufficial e in un tale contesto, è sì traduzione, ma è anche molto più, è confronto interlinguistico per trovare nella dialettica trilingue la migliore formulazione di un contenuto che non può pretendere di trovare la sua espressione esatta in una sola lingua».
Mjölsnes non usa insomma giri di parole. «Le traduzioni automatiche sono il risultato di un calcolo, e se c’è una cosa che un computer è in grado di fare, e di fare meglio degli esseri umani, sono i calcoli. Peccato solo che la lingua invece non sia il risultato di un calcolo. Come ha detto Francesco Sabatini37, essa ci confronta sempre con «problemi spinosi ma vivi», e altrettanto spinosi e vivi sono i problemi con cui ci confronta la traduzione in quanto operazione fatta per la lingua, nella lingua e con la lingua».
La semplificazione
Anche Anna Allenbach è traduttrice e come i suoi colleghi ha un’opinione altrettanto netta. «Affidando le traduzioni all’intelligenza artificiale si rischia l’impoverimento della lingua e la semplificazione di concetti, proprio per come funziona l’AI che si basa su dati statistici - spiega -. Penso che l'intelligenza artificiale vada considerata come uno strumento, e in quanto tale dobbiamo ancora imparare a usarlo e capire che spazio dargli, sia a livello di società che a livello individuale». Più nel concreto, annota Allenbach, per quel che riguarda la traduzione letteraria «non mi è mai stato chiesto di lavorare su un testo pretradotto con l’intelligenza artificiale. Mi è capitato di usarla come dizionario o per fare delle ricerche (ad esempio citazioni già tradotte), ma i risultati vanno sempre verificati perché in parte sono falsi. Piuttosto che non rispondere, l’intelligenza artificiale tende a dare una risposta che statisticamente potrebbe andare bene, spacciandola per risposta corretta».