Storia

Il battello da Brissago ad Auschwitz

L'incredibile vicenda della famiglia Grünberger, a cui saranno dedicate le prime «pietre d’inciampo» del Ticino, raccontata da chi l'ha scoperta
Davide Illarietti
09.06.2024 10:30

Al momento sono ancora in viaggio: dalla Germania al Ticino, arriveranno nei prossimi giorni. Le quattro «pietre d’inciampo» stanno facendo il percorso inverso, rispetto alle persone di cui portano stampati i nomi: Egone Grünberger, Adele, Regina ed Erico. Respinti il 19 dicembre 1943, messi su un treno per i lager il 30 gennaio. Verranno posate venerdì davanti all’imbarcadero di Brissago, per ricordare le tante vittime dell’Olocausto che in Ticino furono respinte e, spesso, dimenticate assieme alla loro tragedia.

Il viaggio di Egone Grunberger
Il viaggio di Egone Grunberger

Dall’Istria al Ticino

La vicenda della famiglia Grünberger è per certi versi unica. Rispetto al più noto dramma di Liliana Segre, la senatrice italiana che nelle stesse settimane subiva un destino analogo alla frontiera di Arzo, assieme al padre e a due parenti, la storia di Brissago non è meno sconcertante anche a 79 anni di distanza, ma l’esito se ne discosta almeno in parte.

Egone Grunberger (foto Insubriahistorica.ch)
Egone Grunberger (foto Insubriahistorica.ch)

Anzitutto perché dei nomi raccolti e fatti stampare sui «lingotti», assieme alle date di nascita e decesso, ne manca uno: quello di Edith Grünberger. I promotori dell’iniziativa (un neonato «Gruppo della Memoria» locale) sono contenti di averlo omesso perché Edith, giovane sposa del commerciante di tessuti Egone, con cui fuggì dalla città istriana di Fiume (oggi in Croazia) per scampare ai rastrellamenti, sul treno per Auschwitz non ci salì. A differenza del resto del gruppo, che aveva attraversato a piedi il monte Limidario dopo un lungo viaggio passando per Milano e Cannobio, la donna fu accolta dalle Guardie di confine perché «incinta di cinque mesi». Potè rimanere in Svizzera. Gli altri, lo sposo e il fratello di lui, con la suocera e una zia, furono imbarcati su un battello per Dirinella e là catturati dai tedeschi della «Zollgranschutz».

La salvezza in Valle Onsernone

Ironia della sorte, al destino spietato che toccò a oltre 700 profughi di «razza» ebraica ma anche dissidenti politici transitati invano dal confine italo-ticinese, a cavallo tra il 1943 e il 1944, riuscì a sfuggire anche un altro dei nomi incisi sulle pietre di Brissago. Il marito di Edith, Egone. Deportato con altri 600 detenuti dal carcere milanese di San Vittore al famigerato «binario 21» della Stazione Centrale, fu caricato sullo stesso treno - quello partito il 30 gennaio e arrivato ad Auschwitz-Birkenau il 7 febbraio - in cui viaggiava anche la piccola Liliana Segre: dei passeggeri giunti a destinazione ne sopravvissero solo una ventina. Ma tra questi non c’è Egone: poco prima di Verona, assieme ad altri tre detenuti, riuscì a saltare dal treno in corsa e si diede alla macchia. Il 19 febbraio dopo varcò di nuovo il confine svizzero, a Spruga in Valle Onsernone, dopo due giorni di cammino nella neve. Questa volta viene accolto: dopo pochi giorni può riabbracciare la sua Edith, trasferita nel frattempo nel Mendrisiotto.

Edith Grunberger (foto Insubriahistorica.ch)
Edith Grunberger (foto Insubriahistorica.ch)

Pochi giorni, pochi chilometri di distanza, un trattamento completamente diverso. La storia di Egone è significativa perché, sottolinea lo storico Raphael Rues che ha condotto le ricerche d’archivio, dimostra «la discrezionalità del sistema di accoglienza svizzero in quei mesi della Guerra». La presenza a Brissago di reggimenti provenienti dalla Svizzera interna «ha certamente avuto un peso nel determinare il destino di questa come di altre famiglie in fuga dagli orrori del nazi-fascismo» osserva Rues. «Un antisemitismo latente era diffuso purtroppo anche tra i soldati svizzeri, in particolare in alcuni cantoni svizzero-tedeschi. I profughi che si imbattevano nelle Guardie ticinesi, che probabilmente erano di stanza al valico della Valle Onsernone, erano decisamente più fortunati».

L’eccezione e la regola

Ricerche recenti hanno dimostrato che, dopotutto, i respingimenti non erano così comuni. Su 24.500 profughi civili (ebrei soprattutto) che ripararono in S vizzera durante la Seconda Guerra Mondiale, circa la metà varcarono il confine in Ticino e al massimo 760 - probabilmente meno - dovettero tornare indietro: un tasso di respingimento del 14,4 per cento, molto inferiore rispetto a quanto stimato dalla Commissione Bergier nel secondo Dopoguerra. «L’atteggiamento ticinese fu nel complesso improntato all’accoglienza e alla solidarietà e dobbiamo esserne orgogliosi» sottolinea Pietro Majno-Hurst, chirurgo e professore all’USI, membro del comitato di cittadini brissaghesi che hanno promosso l’iniziativa. Anche suo padre, dissidente politico di origini ebraiche, attraversò il confine a Lanzo D’Intelvi per sfuggire alle persecuzioni razziali ed ebbe sorte migliore dei Segre e dei Grünberger. «Ho sempre pensato che fosse un’eccezione. Ho scoperto con gioia che era piuttosto la regola, ma sento il dovere di ricordare coloro che pagarono con la vita i momenti di maggior chiusura delle frontiere svizzere. È una lezione che deve valere anche oggi».

Di qui, l’iniziativa di Brissago. Le pietre d’inciampo (Stolpersteine) sono comparse nel 1992 in Germania per ricordare gli orrori dell’Olocausto: da allora ne sono state posate oltre 70mila in Europa. Nessuna, prima d’ora, in Ticino. Alla cerimonia di venerdì sarà presente anche Alberto Belli-Paci, figlio di Liliana Segre e membro del Comitato Pietre d’Inciampo di Milano. «La posa di queste pietre è sicuramente un momento importante: non è solo un monito alla memoria, ma un modo per ridare identità a persone che sono state intenzionalmente annientate» sottolinea Belli-Paci, che in passato è stato altre volte in Ticino, in particolare ad Arzo, sul luogo del respingimento di sua madre bambina. «Anche lì c’era una pietra, un cippo nel bosco che segna il confine tra Svizzera e Italia» ricorda. «Per mio nonno e mia madre è stato un limite invalicabile. In un altro momento forse sarebbe andata diversamente». Alle pietre di Brissago, auspica Belli-Paci, potrebbero seguirne altre lungo la frontiera ticinese. «Siamo a disposizione per collaborare». Per quanto doloroso e scomodo, inciampare nel passato può aiutare a non cadere di nuovo in futuro, magari proprio negli stessi errori.

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