Cronaca nera

«Il cadavere era lì, ricordo come fosse ieri»

Sulla scena dei delitti irrisolti: in Ticino la lista è lunga, e per le persone coinvolte non è facile dimenticarli – Proviamo a ripercorrerli
©Chiara Zocchetti
Davide Illarietti
01.12.2024 06:00

Marco Turchetti va ancora a controllare il recinto delle pecore sui monti sopra Gorduno, quando riesce. Oggi ha 78 anni ma ricorda come fosse ieri. A un certo punto della strada si ferma e indica un albero.

«Ecco, era lì».

La neve di settimana scorsa si è da poco sciolta, la scarpata è coperta di foglie secche proprio come la sera dell’8 marzo 1993.

«Il corpo era coperto da un soprabito marrone e si confondeva tra le foglie. Ricordo che aveva la schiena nuda e i piedi scalzi».

Emma Parra era morta già da diverse ore e il pastore non poteva saperlo - «ho provato a chiamarla, non rispondeva, sono sceso a dare l’allarme» - ma aveva appena scoperto un delitto destinato a rimanere per sempre tra i «casi irrisolti» della cronaca ticinese: forse il più efferato.

Sono passati trent’anni dalla chiusura delle indagini, il termine della prescrizione per il reato di assassinio è scaduto nel 2023: nonostante i pesanti indizi raccolti dagli inquirenti nel giro delle luci rosse - la vittima lavorava in un locale erotico di Muralto, il «Caribe»: vedi articolo a fianco - il processo che ne seguì finì con l’assoluzione di un malavitoso locale, un 39.enne residente a Giornico. In seguito non ci sono state altre condanne.

La lista dei cold case

In Ticino, dal 1969 a oggi sono 17 i «casi freddi» di omicidio in cui i colpevoli sono riusciti a scampare alla giustizia. Si tratta in realtà di un numero esiguo: l’ultimo delitto nella lista risale al 2011 - una violenta rapina a Iragna a casa del pensionato Casimiro Pilloud, poi morto in ospedale - e da allora la polizia cantonale ha risolto 21 casi di omicidio, sempre individuando i responsabili. Tra questi figura anche un decesso in precedenza archiviato come suicidio.

Il caso Parra è particolare. La maggioranza dei delitti irrisolti di cui abbiamo notizia - 11 su 17 - sono riconducibili a tentativi di furto o rapina. Da quello di Rosina Mengoni, 72.enne trovata morta l’8 aprile 1981 nel suo negozio di alimentari a Quartino, al già citato Pilloud passando per Piercarlo Rusconi, tabaccaio ammazzato a coltellate nel 1982 proprio davanti alla gendarmeria di Chiasso, il filo rosso sono come sempre i soldi. La lista è lunga ma una buona parte dei fatti di sangue - sei - si concentrano in un decennio tra gli anni ‘80 e ‘90, ad opera di bande di rapinatori attive a cavallo del confine poi sparite nel nulla.

Tra questi non mancano i «gialli» grandi o piccoli. Anita Uphoff, la direttrice del Kursaal di Lugano strangolata nel suo night club la notte del 16 agosto 1983 conosceva l’assassino? Pare fosse stata lei ad aprire la porta a chi - uno o più uomini - la legò e imbavagliò per sottrarle l’incasso. Lo stesso sospetto - «forse vittima e assassino si conoscevano» - riecheggiò sui giornali nel febbraio 1995 per l’omicidio di Rodolfo Lupi, invalido strangolato con un cavo elettrico a casa sua a Balerna: aveva da poco ritirato la liquidazione. E ancora: come è possibile che il corpo di un viaggiatore belga ucciso da ignoti rapinatori a Bellinzona il 29 agosto 1990, su un treno-notte diretto in Italia, sia stato ritrovato dal capotreno solo a Chiasso il giorno dopo?

La prova del Dna

Insomma gli spunti per indagini «a posteriori» da dilettanti Scherlock Holmes non mancherebbero. Al secondo posto nella casistica dei moventi - tre casi: Maruca, Troja e Benz - c’è il regolamento di conti. Nel luglio 1969 i giornali ipotizzarono che dietro all’«omicidio del silos», in cui un giovane calabrese venne ripescato dal Verbano a pochi giorni dal matrimonio - e a pochi metri dall’auto dove fu trovato l’anello di fidanzamento - ci fosse un delitto passionale, una vendetta nell’ambito di una contesa familiare. Ma i colpevoli non vennero mai trovati. In tempi più recenti per la morte del commerciante Max Benz, freddato nel suo negozio a Taverne nel novembre 2001 da un colpo di pistola, venne arrestato un ex socio poi rilasciato per mancanza di prove (nel 2007 il caso è stato archiviato). I due appartenevano all’ambiente della malavita in Svizzera interna - avevano gestito un locale erotico nel canton Argovia - e forse avevano divergenze economiche.

A partire dagli anni Novanta i casi irrisolti sono molto diminuiti, e ciò grazie «all’evoluzione delle tecniche d’indagine» spiega il capitano Orlando Gnosca, responsabile del reparto giudiziario 1 della Polizia cantonale. «La formazione degli inquirenti ha fatto passi da gigante e le competenze sono di gran lunga migliorate». Lo stesso vale per l’analisi del Dna, i cui progressi recenti «hanno rivoluzionato le indagini penali». Eppure «anche così il rischio zero non esiste» ammette Gnosca. «Bisogna essere prudenti, applicare con dovizia le linee guida della comunità forense e lavorare di squadra. In questo modo è possibile ridurre i margini d’errore».

Il giallo di Orselina

Ma un margine rimane sempre. Lo dimostrano i casi successivi più complicati, non solo quello di Emma Parra.

Il 21 gennaio del 2002 in un elegante residence a Orselina viene trovata morta l’insegnante in pensione Irene Schlums. Sono i vicini a dare l’allarme - non la vedevano da giorni - e la polizia trova la porta chiusa dall’interno. La 62.enne viene trovata semi-nuda seduta su una sedia, con diversi lividi sul corpo: l’autopsia dirà che è morta per un ematoma cerebrale. Non ci sono prove che si tratti di un suicidio «sui generis», ma nemmeno dell’intervento di terzi.

Tre anni dopo il giallo di Orselina è ancora tale, quando una perizia richiesta dalla Procura sonda l’ipotesi che la scena del crimine non fosse la casa: aggredita all’esterno, la donna si sarebbe rifugiata nell’abitazione chiudendo la chiave, per cercare di chiamare i soccorsi (il telefono era vicino alla sedia) senza riuscirsi. Ma gli indizi non bastano e il caso - forse il mistero più enigmatico nella lista - è archiviato come «non risolto».

La pistola ritrovata

E il caso di Emma Parra? Qui per gli inquirenti il «giallo» durò poco in realtà. La donna aveva avuto un rapporto sessuale poco prima della morte - lo accertarono le analisi - e le ricerche si concentrarono sul locale erotico dove la vittima lavorava: due clienti erano stati visti allontanarsi con lei la sera del delitto.

«C’era quest’uomo, mi venne mostrato dalla polizia durante un confronto all’americana» ricorda Marco Turchetti. Le foglie scricchiolano sotto i piedi, mentre si allontana dalla scarpata dove giaceva il cadavere. «Io non lo avevo mai visto prima».

Il principale sospettato era un 39.enne residente a Contone, ma che in passato aveva abitato a Gorduno: padre di famiglia, commerciante con frequentazioni nel giro della prostituzione. Viene riconosciuto da una collega di Emma Parra e un amico rumeno - che sarebbe stato presente all’omicidio - lo accusa di avere premuto il grilletto.

La pistola però non si trova e al processo - il 9 dicembre 1984 - l’uomo viene assolto per mancanza di prove. Solo alcuni anni dopo, nell’ambito di un’altra inchiesta che vedeva coinvolta la stessa persona - poi condannata a cinque anni di carcere per una serie di furti nel Sopraceneri - la polizia trova la pistola in un borsone nascosto in un cascinale a Contone, vicino a dove abitava l’imputato. Ma non basta a chiedere la revisione del processo.

Turchetti si avvia verso il recinto, dove oggi le pecore non ci sono più. Le ha portate sul Piano per venderle in primavera. «Colpa del lupo» dice con aria sconsolata. «Non aveva più senso». A volte i predatori la fanno franca - sembra voler dire - e non c’è niente da fare.

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