Il progetto

Il Canton Ginevra svuota le celle con l'AI

Nella città di Calvino un innovativo progetto pilota per assegnare le pene alternative tramite l'Intelligenza artificiale
©Chiara Zocchetti
Matteo Galasso
09.03.2025 06:00

Nel Canton Ginevra, un innovativo progetto pilota sta aprendo nuove prospettive nel campo dell’esecuzione penale. Di cosa si tratta? Il Consiglio di Stato ha avviato un programma che sfrutta un sistema di intelligenza artificiale (IA) per selezionare con maggiore rapidità e precisione i casi di persone che non hanno saldato sanzioni pecuniarie e che, in mancanza di un pagamento, rischiano di passare qualche giorno in cella. L’obiettivo è sostituire la pena carceraria con misure alternative, come i lavori di pubblica utilità, laddove tali percorsi risultino più adeguati dal punto di vista sia sociale che economico.

L’iniziativa risponde a un’urgenza di portata crescente: il sovraffollamento carcerario costituisce un problema in diverse regioni della Svizzera e, in particolare, nel Canton Ginevra. Molte persone che versano in condizioni di precarietà, incapaci di pagare multe o altre sanzioni pecuniarie, finiscono in prigione per pochi giorni o poche settimane, perdendo talvolta il lavoro e l’alloggio. Questo circolo vizioso non solo compromette la dignità e la stabilità delle persone, ma determina anche un costo elevato per l’intera collettività, senza offrire reali benefici in termini di prevenzione e di riduzione della recidiva.

Per approfondire il tema, abbiamo intervistato Carole-Anne Kast, consigliera di Stato a capo del Dipartimento delle Istituzioni e del Digitale del Cantone di Ginevra, la quale ha illustrato i princìpi ispiratori del progetto e le sfide che lo attendono.

Perché il Canton Ginevra ha deciso di puntare su pene alternative per chi non è in grado di pagare le sanzioni pecuniarie?
«Il problema più pressante è il sovraffollamento delle strutture detentive, che in molti casi non riescono a distinguere tra reati di maggiore gravità e infrazioni minori legate all’insolvenza. In effetti, alcune persone si ritrovano in carcere semplicemente per non aver saldato una pena pecuniaria convertibile in detenzione. Questo fenomeno comporta l’ulteriore aggravamento di situazioni personali già fragili: si perde il lavoro, la casa, e si rischia di disintegrare i riferimenti sociali che ancora sostengono l’individuo. Il nostro progetto intende invece riconoscere e valorizzare le potenzialità di forme di pena più costruttive, come i lavori di pubblica utilità (TIG), a tutela sia del singolo sia della collettività».

Attualmente la possibilità di convertire la pena pecuniaria in forme alternative è già prevista dalla legge. Qual è dunque la novità?
«Effettivamente, la normativa federale ammette da tempo la sostituzione delle pene detentive di breve durata con il lavoro di pubblica utilità o con altre misure di esecuzione. Tuttavia, nella pratica, l’accesso a queste soluzioni può risultare complesso. Spesso chi è destinatario della sanzione non conosce l’esistenza di tali percorsi, oppure non presenta la domanda entro i termini stabiliti, vanificando la possibilità di evitare il carcere. Con il nostro progetto pilota, puntiamo ad analizzare 200 dossier selezionati grazie all’ausilio dell’IA. L’obiettivo è individuare in modo mirato quei casi in cui la precarietà economica costituisce l’unico ostacolo al pagamento e la detenzione risulterebbe sproporzionata».

Sotto il profilo sociale, quali conseguenze comportano le brevi detenzioni per insolvenza?
«Gli studi dimostrano che un breve periodo di detenzione può essere un fattore di «acculturazione criminale»: le persone entrano in contatto con realtà deviate, sviluppando legami che aumentano il rischio di recidiva. Sul piano umano, inoltre, la permanenza in carcere, anche se di pochi giorni, provoca spesso la perdita del lavoro, la rottura di legami familiari e un generale peggioramento delle condizioni di vita. Dal punto di vista economico, poi, la detenzione implica costi non trascurabili per lo Stato, senza un tangibile beneficio in termini di prevenzione o rieducazione».

In che modo l’IA selezionerà i casi idonei e come verranno protetti i dati sensibili?
«Il nucleo tecnologico di questo progetto consiste in un algoritmo di intelligenza artificiale generativa, sviluppato e gestito interamente a livello cantonale, senza appoggiarsi a piattaforme esterne. In questo modo, garantiamo un elevato livello di protezione dei dati, che resteranno riservati e gestiti unicamente su server statali. L’IA analizzerà complessivamente oltre 800.000 dossier, vagliando i criteri legali previsti dalla normativa per proporre la conversione della pena. Senza questa innovazione, saremmo costretti a impiegare un gran numero di funzionari per esaminare manualmente ogni singolo caso, con un dispendio di tempo e risorse poco sostenibile».

Quali sfide dovranno essere affrontate per estendere effettivamente l’utilizzo dei lavori di pubblica utilità?
«Uno degli ostacoli maggiori è l’offerta limitata di enti disposti ad accogliere coloro che hanno ottenuto la conversione della pena. Dobbiamo lavorare sulla percezione di questa misura: i lavori di pubblica utilità non sono un castigo più morbido, ma un’occasione per restituire valore alla comunità. Naturalmente, è essenziale che le mansioni proposte non si riducano a un mero riempitivo: devono avere una funzione sociale e formativa. Stiamo anche valutando soluzioni per coordinare gli impieghi di breve durata, così da non rendere i datori di lavoro riluttanti ad assumere persone che resteranno solo per un periodo limitato».

Che cosa vi aspettate in termini di risultati concreti e come valuterete il successo del progetto?
«In primo luogo, misureremo la diminuzione delle pene pecuniarie convertite in detenzione. Se questo valore calerà in modo consistente, avremo un segnale chiaro dell’efficacia del sistema. Tuttavia, intendiamo anche analizzare l’impatto qualitativo delle misure alternative, verificando se chi ha prestato lavori di pubblica utilità è riuscito a reinserirsi in maniera più stabile nel tessuto socio-economico. Monitoreremo dunque i percorsi di ogni beneficiario, raccogliendo dati su reinserimento lavorativo, tasso di recidiva e benessere personale. L’obiettivo ultimo è imboccare una strada di giustizia che non si limiti a punire, ma che sia capace di prevenire la marginalizzazione definitiva di chi si trova in difficoltà finanziaria».

In questo articolo: