Il commento

Il dopo Amherd svela una politica che perde appeal

In altri tempi nessuno si sarebbe lasciato sfuggire il treno che passa una volta sola nella vita e sarebbe saltato agilmente a bordo
Mauro Spignesi
26.01.2025 06:00

Viola Amherd l’altro giorno ha provato a sdrammatizzare. Ha provato a spiegare che «non c’è un obbligo a candidarsi al Consiglio Federale». E ha ragione. Ma certo è sorprendente che gli esponenti di spicco del Centro si siano progressivamente smarcati una dopo l’altro, in un rosario di passi indietro che dovrebbe far riflettere seriamente chi ha a cuore l’equilibrio e la tradizione politica svizzera.  

Perché, come faceva notare Watson.ch qualche giorno fa, un tempo diventare consigliere federale era la massima aspirazione, oltre che un grande onore, per chi sceglieva di far politica e di mettersi a disposizione del proprio Paese incarnandone i valori. Bisogna prendere atto che evidentemente non è più così. E la successione di Amherd è la dimostrazione.

I big del partito - come racconta il collega Andrea Stern in questa edizione - da Gerhard Pfister, da tutti considerato il successore naturale della ministra vallesana (ricordiamolo: la prima donna a dirigere il Dipartimento federale della difesa), sino al grigionese Martin Candinas e al capo del gruppo parlamentare Philipp Bregy, si sono defilati elegantemente. Chi per motivi personali, chi citando la tenera età dei figli, chi dicendo di voler continuare la propria attività professionale. Certo, ci sono anche questi motivi dietro una scelta delicata. Come potrebbero esserci altri motivi, più politici. A cominciare dal fatto che andare a guidare la Difesa - con dossier delicati come il bilancio dell’Esercito e l’acquisto di armi - non è facile, che il rischio è quello di bruciarsi in fretta e essere continuamente impallinati in aula (anche dal fuoco amico). Ma questo è il rischio calcolato di ogni politico. C’è chi ha poi fatto notare che ormai nel governo federale contano soprattutto il Plr e l’Udc e che chi andrà a sostituire Viola Amherd o ha una personalità forte, oppure rischia di fare l’attore non protagonista per otto anni almeno.

Ma di rischi in questa dinamica che si è innescata ne esistono altri, negativi e positivi. Quelli negativi portano a dire - come hanno rilevato diversi analisti politici - che con il passo indietro delle prime linee il timore è che alla fine pur di occupare la casella vuota a Berna venga eletto un esponente delle seconde e terze file. Quelli positivi invece riflettono su un altro fatto: proprio questo scompaginare le carte alla fine potrebbe mettere in pista una persona preparata, che si impegna, che sa il fatto suo, ma che per motivi diversi è rimasto in questi anni nelle retrovie. Detto questo va ricordato che in altri tempi nessuno si sarebbe lasciato sfuggire il treno che passa una volta sola nella vita e sarebbe saltato agilmente a bordo. Questo aspetto dovrebbe far riflettere non solo il Centro, perché il problema non è solo di una parte politica, ma l’intero sistema a tutti i livelli. I grandi rifiuti a occupare posti strategici nelle istituzioni non riguarda soltanto l’ambito federale, ma anche quello cantonale e comunale. È di qualche mese- solo per fare un esempio indicativo - il caso di Wassen (lo abbiamo raccontato con una intervista al protagonista su La Domenica) dove, per fare quadrare i conti in municipio, è stato catapultato contro la sua volontà un cittadino che non si era manco candidato nel Comune urano. Un caso certamente estremo.

Ma la lezione che lasciano questi fatti è una sola: la politica, che già sconta il problema serio dell’assenteismo al voto, è cambiata e va ripensata. C’entrerà il fatto che il servizio di milizia è ormai alle corde, che c’è una forte personalizzazione, che le informazioni e la cultura dei social stanno lentamente e inconsciamente modificando profondamente la percezione delle istituzioni. Ma questo è sotto gli occhi di tutti.

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